Ogni Minuto. C. J. Burright

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Ogni Minuto - C. J. Burright

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labbra di Adara si contrassero in un lieve sorriso.

      Forse l’espressione era intesa come condiscendente o maliziosa, ma lui la prese come un incoraggiamento. Qualsiasi cosa anche solo vicina a un sorriso da parte di lei, se la sarebbe tenuta stretta al cuore. “Ho vinto la scommessa, quindi sono io che devo scegliere il luogo.”

      Adara sollevò gli occhi al cielo ma la tensione tra i due non tornò.

      Dopo qualche minuto arrivarono a destinazione, e Garret parcheggiò nella prima fila del lotto del centro scientifico, vicino alla porta d’ingresso.

      Quando il motore tacque, Adara si chinò in avanti, quasi premendo il viso contro il vetro. “Sono abbastanza sicura che la caffetteria del centro scientifico sia chiusa per la notte. Bene. Possiamo tornare indietro per il corn dog.”

      Garret fece tintinnare una chiave, aggrottando le sopracciglia. “È tutto chiuso, tranne che per noi.”

      Adara sembrò veramente impressionata. “Hai rubato la chiave di proprietà dell’università? Hai imparato da Tatum?”

      “Non rubato... manipolato. C’è una grande differenza.” Garret scese dalla macchina e si affrettò a raggiungere lo sportello dalla parte di lei, troppo lentamente. I muscoli delle gambe gli bruciavano ancora per il suo tentativo di jogging mattutino nell’inferno ghiacciato. Adara aveva già chiuso lo sportello e, quando lui la raggiunse, stava con un fianco appoggiato all’auto e teneva lo sguardo rivolto verso il centro scientifico. Senza l’agitazione degli studenti o della facoltà, il posto aveva l’aspetto inquietante e silenzioso di un cimitero.

      “Se sei un serial killer che si nasconde dietro la maschera da musicista che scommette con le donne ai giochi di carnevale sperando di vincere per poterle trascinare di notte in centri scientifici deserti, luoghi perfetti per uccidere, sii sincero e dillo.”

      “Un assassino sincero? Sembra legale.” Garret le fece cenno di seguirlo sul sentiero di cemento che conduceva sul retro, spalato per lo più senza neve.

      Dopo un attimo di esitazione, Adara lo seguì.

      Il pizzicore nelle sue spalle si attenuò. Non gli sarebbe piaciuto doverla trascinare con sé e confermare la teoria di lei. “E se fossi un musicista che commette semplicemente dei piccoli crimini?”

      “Come le molestie?” Gli occhi di Adara scintillarono, mettendo in ombra la sua espressione seria.

      “Più che altro attraversamento fuori dalle strisce pedonali, eccesso di velocità e, ogni tanto, aver fatto il bagno nudo.” Anche se aveva oltrepassato alcune linee semplicemente per portarla lì, non si era guadagnato lo status di stalker molesto. Lo stalking sfiorava il limite dell’ossessione egoistica, qualcosa che non avrebbe mai fatto. Ma se Adara avesse deciso di perseguitarlo, sarebbe stato una vittima volontaria.

      “Il bagno nudo?” Lei lo guardò, abbastanza a lungo da dare l’impressione che lo stesse immaginando in acqua. Nudo.

       Bene.

      “Non hai vissuto veramente finché non ti sei ghiacciato i testicoli nel lago dei Quattro Cantoni in primavera.” Garret rabbrividì. “Quella era una scommessa che ho perso.”

      “Oh, accidenti. Immagino che non vivrò mai quest’esperienza.” La bella bocca di Adara, la bocca cui lui non aveva smesso di pensare, si contorse. “Perché non ho i testicoli.”

      “Esilarante.”

      Si fermarono davanti alla solida porta di metallo che conduceva al planetario. Garret premette il codice dell’allarme, aspettò il bip e aprì la porta con la chiave che aveva scambiato per una futura esibizione al violino. C’era voluta più una negoziazione amichevole che una manipolazione con il direttore - il legame tra compagni di band della scuola media era eterno - ma Adara non aveva bisogno di saperlo. Inoltre, si sarebbe abbassato alla manipolazione, se necessario. Non gli dispiaceva infrangere qualche piccolo codice morale per una buona causa.

      Garret le fece cenno di entrare e aspettò che lei oltrepassasse la soglia prima di seguirla. La porta si chiuse di scatto, inghiottendoli nel buio più totale.

      “Avrei dovuto chiedere il tuo modus operandi.” La voce roca di Adara attraversò l’oscurità. “Usi un coltello, una pistola o un’ascia? Devo aspettarmi una sessione di tortura con parti del corpo tagliate ogni minuto?” Seguì uno schiocco di dita. “È per questo che mi hai dato quel biglietto con un numero sopra, vero? Ecco quante volte mi pugnalerai.”

      Senza vedere, Garret seguì la voce di lei e il suo braccio percepì il calore di lei. Non si era reso conto che fosse così vicina, ma non aveva intenzione di allontanarsi. Si chinò, dove pensava potesse essere l’orecchio di Adara. I suoi capelli lisci gli solleticarono il mento. “Tatum ha ragione,” mormorò. “Hai una mente malata, Adara. Veramente morbosa. Ma se vuoi saperlo, preferisco una lima per unghie. Riduco le mie vittime, lentamente e inesorabilmente, finché non implorano la resa”.

      Adara sbuffò, un rumore pericolosamente vicino a una risata. “Tatum ti ha detto che ho una mente malata?”

      “Quando ti minacciano di morte con una lima per unghie, è questo che vuoi sapere?” Si arrese all’impulso di sfiorarle i capelli, una breve carezza. Forse lei avrebbe fatto finta di non accorgersene al buio o avrebbe pensato che lui l’avesse urtata. Era seta, morbida e liscia contro i suoi polpastrelli. Dei formicolii gli pulsavano lungo la spina dorsale, una scarica inebriante. Avrebbe voluto sentire anche i suoi capelli sulla bocca.

      “Ci vuole una mente malata per conoscerne una.” La voce di lei si abbassò vellutata nel vuoto, accelerando l’elettricità che gli pompava nelle vene. “Comincio a pensare che sia una caratteristica della linea di sangue degli Ambrose.”

      “Huh. E per tutto questo tempo ho pensato di essere un prodigio, non un genio pazzo.”

      “Wow. Sei così sicuro di te?”

      “Onesto. C’è una differenza.” Garret accese l’interruttore della luce.

      Il planetario era stato allestito esattamente secondo le sue istruzioni. Lampade incandescenti circondavano l’intero pavimento della cupola, una luce appena sufficiente per vedere cosa ci fosse davanti. Un piccolo tavolo era stato sistemato al centro dell’auditorium, le candele al profumo di vaniglia donavano una delicata sfumatura nell’aria ma Adara non sembrò nemmeno notare quei dettagli. Il suo sguardo si sollevò immediatamente e il suo sussulto di meraviglia rese ogni secondo di preparazione utile. Se non avesse saputo cosa aspettarsi, avrebbe sussultato anche lui. Il cielo si estendeva sopra di loro, un cielo notturno limpido che mostrava innumerevoli stelle, nuvole vorticose tinte di rosa e viola, accentuate da uno sfondo di mezzanotte. Era lo spazio portato sulla Terra, solo per lei. In quel secondo, tutte le maschere di Adara caddero, lasciando solo una ragazza impressionata dalla natura, le ombre del suo dolore dimenticate.

      Il petto di Garret si strinse, le meraviglie del planetario sparirono sotto la meraviglia di Adara. Ben-zonna, voleva vederla sempre così, felice, estasiata e libera. Peccato che lei non gli permettesse di usare la sua musica per metterle in faccia la stessa espressione. Un giorno. Un giorno, la meraviglia sarebbe stata solo una delle espressioni che lui le avrebbe ispirato. Lo scenario sarebbe stato pura magia con la musica, ma non voleva ancora mettere alla prova Adara in quell’area. Per lei, aveva scartato la colonna sonora di Star Wars che il regista aveva suggerito e si era accontentato del silenzio. Così com’era, non troppo male.

      “Non

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