Ogni Minuto. C. J. Burright

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Ogni Minuto - C. J. Burright

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trattenne dal canticchiare He’s a Pirate. Deve aver dimenticato la sua bandana. Per un momento l’uomo guardò verso Adara, come se cercasse di individuarla tra le ombre e la folla. Poi, chiuse gli occhi e appoggiò l’archetto sulle corde.

      Dal violino si diffusero note lente e lamentose e Adara si rilassò immediatamente ascoltando la melodia familiare. Somebody to Love dei Queen - niente classico, niente che potesse raggiungere la sua anima. Era al sicuro per qualche minuto.

      Dopo una breve e lenta introduzione, il violinista batté il piede seguendo il ritmo di una batteria e la folla impiegò meno di due secondi per iniziare a battere le mani, prendendo il ritmo da sola. Al ritornello, tutti cantavano insieme - una folla felice e saltellante per le vacanze.

      Adara tenne le braccia incrociate e lasciò che Gia applaudisse abbastanza forte per entrambe. Aveva sopportato la festa per quasi due ore, più a lungo di quanto avesse pianificato, ma era passata un’eternità da quando aveva visto Gia divertirsi senza indossare una maschera sorridente per nascondere la sua perdita.

      Adara sapeva tutto sul bisogno di indossare delle maschere.

      Continuando a suonare, il musicista fuse le note con quelle di un’altra canzone e, mentre gli applausi e l’ondeggiamento continuavano, il canto si spegneva.

      Adara si morse il labbro, quasi tentata di sorridere per la seconda volta quella sera. Teddy Bear, una scelta decente di Elvis Presley. Vicino al palco, il signor Hamilton scoteva la testa, manifestando chiaramente che era un fan del Re. Tutti gli altri, non tanto. La tensione residua sulle sue spalle svanì. Non avrebbe dovuto rinforzare le sue difese, non per la selezione musicale di questo tizio, ma doveva ammettere che era bravo. Veramente bravo. Coinvolgeva la folla, mostrando chiaramente di essere a proprio agio con l’attenzione. Prendeva ogni nota con una precisione esperta, la relazione d’amore con il suo strumento era evidente in ogni corda pizzicata e in ogni movimento dell’archetto. Il sorriso sognante che indossava parlava di segreti condivisi solo tra un musicista esperto e la melodia che si diffondeva. Aveva visto la stessa espressione sul volto di Joey.

      Il vuoto nella sua anima risuonava al ricordo. Quel violinista era tutto ciò che Joey avrebbe potuto essere. Avrebbe dovuto essere.

      Senza perdere un colpo, il violinista fuse di nuovo una canzone all’altra, cambiando genere, in modo sottile e inaspettato. Dolci note avvolsero Adara, facendo scivolare lentamente un ago affilato nel suo cuore. Il battito delle mani si spense in un silenzio attonito e il violino gemette, riempiendo tutti gli spazi vuoti, di nuovo solo, più vivo e terrificante nel suo isolamento.

      Adara soffocò un singhiozzo immane che le saliva dal profondo. Think of Me. Invece delle mille altre canzoni che non riuscivano a toccarla, lui ne aveva scelta una che aveva distrutto le sue difese. Il Fantasma dell’Opera era stato il primo musical cui Joey l’aveva trascinata, la prima volta che aveva pianto in pubblico, il primo passo per convincerla a unirsi a lui nel suo amore per la musica.

      Punto dopo punto, la musica la squarciava. Il vuoto le artigliava la gola come se un demone volesse farsi largo fino in superficie, un vuoto che non poteva affrontare, non in quel posto, non in quel momento. Non importava come fingesse, come cercasse di affrontare la situazione, non stava bene.

      Prima di crollare completamente sotto gli occhi di tutti, Adara superò Gia e si affrettò a uscire dalla sala poi dalla villa, incamminandosi nella notte fresca. Non rallentò fino a quando il rumore del lastricato sotto i suoi tacchi cambiò in un tintinnio di ghiaia e si fermò solo quando le luci della villa diventarono un riflesso opaco sulle auto parcheggiate.

      Le lacrime le bruciavano gli occhi e il suo cuore le trafiggeva il petto a ogni battito, un coltello implacabile che scavava le ceneri della sua anima. Aveva abbandonato Gia e non aveva mantenuto la promessa fatta a Joey.

      La notte e il silenzio la circondavano, due aiuti familiari che la calmarono lentamente, attirandola nel loro abbraccio. Aspirò un respiro tremolante di aria frizzante e sollevò il viso verso il cielo scuro e infinito. Avrebbe rimesso tutto a posto e si sarebbe ricucita, rinchiudendo questa notte con tutti gli altri ricordi. Domani sarebbe tornata alla sua versione di normalità.

       * * * *

      La mattina dopo il debutto nella sua città natale, Garret appoggiò gli stivali sulla scrivania di ciliegio scintillante di Ian e inalò il profumo di cuoio, di scartoffie e di benessere macchiato dal conflitto. “Ieri sera ho incontrato qualcuno alla festa, ma non conosco il suo nome”. Nascose un sorriso osservando il sopracciglio di Ian inarcarsi infastidito. “Tu conosci tutte quelle che indossano una gonna, quindi ho pensato che potresti aiutarmi.”

      “Vero.” Ian si chinò sulla scrivania, spinse via gli stivali di Garret e si raddrizzò la cravatta rosso sangue. “Le mie capacità sono all’altezza del compito, nonostante le innumerevoli groupie che, ieri sera, hanno ceduto alla tua seduzione musicale. È stata la leggiadra assistente legale con i capelli rossi che ti fa pensare se... ”.

      “No.”

      Garret si sistemò di nuovo sulla pomposa sedia di pelle e sorseggiò il suo mocaccino alla menta.

      “La biondina tutta curve con la minigonna nera?”

      “No.”

      Ian strinse gli occhi, l’azzurro scintillante di quelli che dovevano essere i suoi tipici pensieri lascivi. Alcune persone non abbandono mai la mentalità sessuale del liceo. Quando si trattava di relazioni con le donne, il suo più vecchio amico si librava felicemente in quell’abisso emotivamente sicuro. Schioccò le dita. “Quella stagista con la pelle color caffè che continuava a portarti ciliegie ricoperte di cioccolato. Non dirmi che non te la sei fatta!”

      Garret si pizzicò il naso ed espirò forte. “La ragazza che sto cercando è il motivo per cui sono saltato giù dal palco a metà canzone. Se n’è andata mentre stavo ancora suonando. Ho cercato di raggiungerla, ma se n’era già andata!”

      Ian incrociò le braccia sul blazer abbottonato, inclinò la testa, facendo scricchiolare la sedia. “Ho bisogno di altri dettagli. Che aspetto aveva?”

      “Un po’ più alta della media.” Disse Garret portando una mano all’altezza della clavicola. “La sua testa arrivava quasi qui. Bruna. Difficile dire quanto fosse scura con quella luce, ma liscia, non riccia - uno di quei tagli lunghi fino al mento. E la sua bocca, chara”. Il suo polso scalciava al ricordo. “Era fatta per essere baciata.”

      “Parla inglese.” Ian si grattò la mascella pulita e rasata, a quanto pareva quel giorno voleva dare l’impressione del ragazzo della porta accanto. Chiunque lo avesse conosciuto non si sarebbe fatto ingannare. “Sei stato troppo tempo in giro con il tuo chitarrista israeliano e stamattina non ho bevuto abbastanza caffè da sopportare la tua poesia su una donna a caso alla quale hai dimenticato di chiedere il nome.”

      “Non a caso. Magnetica e non l’ho dimenticato. La mia musica di solito non allontana le donne. Mi ha confuso. L’unico trucco che portava era del rossetto rosso su quella bocca deliziosa, quindi perdonami se sono stato rapito. Non credo che lei volesse stare lì e non le piaceva tanto che tu ti avvicinassi alla sua amica.”

      “Le donne sono sempre gelose l’una dell’altra.” Ian si batté il mento con una penna. “Quale amica?”

      “La biondina con il vestito rosso che hai guardato tutta la sera, ma non hai sfiorato e con cui non hai nemmeno parlato.” A Garret non sfuggì la smorfia di Ian, fuori luogo considerando l’argomento in questione: le donne, il suo argomento

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