Mater dolorosa. Gerolamo Rovetta

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Mater dolorosa - Gerolamo Rovetta

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come ieri, come oggi, co-come sempre!

      – For ever?

      – For ever.

      – E vostra moglie?

      – Mia moglie… Vi amo.

      – Guardatela. È bella assai, vostra moglie…

      Fatto il giro dell’appartamento, erano entrati insieme nel buffet, e Renata, dietro a una portiera, gli indicava la duchessa, in mezzo alla sala da ballo.

      Era appena finito un valzer: Maria, ancora ansante, colle guance leggermente colorite, era ammirata, circondata dal fior fiore della gioventù e dell’eleganza.

      – Com’è bella!… No! Non dovete guardarla!

      E Renata si strinse più forte al braccio del duca, piena di fascino e di grazia, fingendosi quasi paurosa, quasi mortificata da quel confronto.

      – Voglio voi… Amo voi… – le balbettò all’orecchio il duca d’Eleda.

      – Vi piaccio dunque… mi amate di più? – esclamò Renata correggendosi a tempo, e con una mano sapiente giuocando colla commenda che brillava sullo sparato tutto a pieghe e a ricami della camicia di Prospero.

      – Lo vedete, Renata, non so-ono qui?!…

      Renata si guardò intorno con un rapido giro degli occhi. Nel buffet non c’era nessuno. Nascosta dietro alla portiera, non poteva certo esser veduta: si alzò ritta sulla punta dei piedi, e con una sua mossa da monello stordito sfiorò colle labbra il volto di Anatolio, che diventò pallidissimo.

      VI

      Tra Giorgio Della Valle e il duca d’Eleda non c’era molta amicizia.

      Giorgio, parlando di Prospero, alzava le spalle chiamandolo clericale; e Prospero chiamava l’altro un repubblicano e faceva altrettanto. Erano rimasti molto tempo salutandosi appena, fatto abbastanza notevole in una città di provincia, fra i rappresentanti di due case cospicue del patriziato; e solo quando successe il matrimonio del duca, cominciarono ad avvicinarsi un po’ più. Il conte Eriprando, lo zio della sposa, era stato tutore di Giorgio, e Giorgio era tenuto dai Santo Fiore come un figliuolo. A poco a poco, la consuetudine di vedersi ogni giorno, se non fece nascere fra di loro una straordinaria simpatia, finì col renderli amici apparentemente.

      Giorgio rispettava le opinioni politiche e religiose del suo avversario; anzi, per la disparità grandissima che esisteva fra quelle opinioni e le sue, diffidava del proprio giudizio, temendolo alterato dalle prevenzioni, e si ostinava, per paura di eccedere, a voler tener il duca d’Eleda per da più assai che non valesse in realtà. Prospero poi, da parte sua, gli accordava un olimpico compatimento, giudicandolo sempre un ragazzo esaltato, ma innocuo; un po’ matto, ma in fondo un ottimo cuore; e sperava, davvero, che maturandosi cogli anni e coll’esperienza avrebbe messo il cervello a partito. Nè lo vedeva di mal occhio in casa; anzi faceva pompa di una tale amicizia; perchè questa amicizia rappresentava la tolleranza del duca verso i suoi avversari politici. Di questa tattica fine egli raccoglieva già i frutti, e durante le ultime elezioni se n’era discorso favorevolmente al gran caffè di Borghignano e su pei giornali.

      Adesso per altro, a Firenze, Prospero Anatolio trovò nel conte Della Valle un cambiamento troppo evidente… Giorgio alle volte era con lui così freddo, che si avvicinava a scortese… nè Giorgio aveva tutti i torti.

      L’amicizia, la stima ch’egli professava a Maria erano sincere e vivissime, e perciò non poteva perdonare al duca d’Eleda di posporre tutte le virtù e i pregi inestimabili di sua moglie ad una cocotte, con tutti i quarti, ma sempre cocotte.

      Anche a Maria non passò inosservata la freddezza del conte verso Prospero; e questa novità, ch’ella non riusciva a spiegarsi, la infastidiva, la addolorava, la teneva continuamente sopra pensiero, tanto che una volta, non potendo più oltre frenarsi, domandò e volle saperne il motivo. Giorgio, preso così all’improvviso, non ebbe tempo di potersi schermire con arte, e la duchessa gli serrò i panni addosso sì fattamente che, pur di uscirne, egli ne attribuì la cagione alle aspirazioni politiche del deputato di Borghignano, troppo contrarie alle sue.

      Ma la scusa non poteva soddisfare, perchè quelle aspirazioni erano pur sempre le stesse, mentre invece la freddezza era nuova. Giorgio allora, vedendo di non potersi giustificare, promise di correggersi, e benchè questa promessa non fosse poi mantenuta, Maria non entrò più in tale argomento. Sentiva che Giorgio le nascondeva un segreto, ch’egli non aveva per lei la confidenza di un tempo, e se ne offese.

      Intanto anche Prospero Anatolio che, con un grosso rimorso sulla coscienza, avea paura di tutto, non mancò alla sua volta, di far cadere il discorso, trovandosi colla moglie, sullo strano contegno del suo amico, per prevenire il pericolo di qualche inopportuna confidenza e prepararsi, per tutti i casi, il terreno alla propria difesa. Egli pure, come avea fatto Giorgio, non trovando da dire meglio, ne dava la colpa alla politica. – Nemici politici e amici personali, è una bella frase d’effetto, come – Libera Chiesa in libero Stato – del conte di Cavour, – concludeva il duce d’Eleda. – Tutta roba da leggersi sulle gazzette; tutta rettorica! Ma, in pratica, oh! in pratica è un ben altro affare! Oggi un’allusione, domani un equivoco, la corda si fa tesa e si rompe, quando tu meno lo crederesti. Anch’io – continuava – anch’io, se devo dire la verità, ho sempre tollerato Giorgio per un riguardo verso i tuoi, per riguardo a te stessa.

      Maria ascoltava e taceva; ma in fondo al cuore sentiva che Prospero, come il conte Giorgio, non era affatto sincero. Impaziente, inquieta, avrebbe voluto ad ogni costo scoprire il mistero, indovinare il perchè della freddezza e degli sgarbi dell’uno, dell’imbarazzo dell’altro.

      Povera Maria! pur troppo era vicino il giorno che doveva sciogliere l’enigma e distruggere per sempre la serenità della vita sua!

      Nel lunedì ultimo di carnevale si preparava a Corte una festa che chiudeva per quell’inverno i ricevimenti privati. Era grande l’aspettativa e grandissimo nei pochi eletti il desiderio d’intervenirvi. La duchessa d’Eleda, naturalmente, era una delle signore invitate e più delle altre desiderata. L’uomo propone, per altro, e Dio dispone; e il mal di capo che aveva tormentata Maria per tutto quel giorno si accrebbe nel dopo pranzo, accompagnato da brividi molesti che facevano temere la febbre. Giorgio si trovava presente e consigliò a Prospero di mandare pel medico. Il servo va e torna, e riferisce che il medico era uscito di Firenze il mattino e ritornerebbe col diretto delle undici; appena giunto lo manderebbero.

      – E se ne chiamassimo un altro?

      Maria preferì piuttosto aspettare.

      Prospero, suonate le dieci, cominciava ad essere sulle spine, e brontolava fra i denti che il male non bisogna troppo ascoltarlo; poi da un momento all’altro, quasi temendo gli potesse mancare il coraggio se aspettava a risolversi, si fermò sui due piedi, guardò l’orologio e borbottò accigliato che egli doveva recarsi al ballo subito, dovendo conferire col presidente del suo ufficio.

      Maria, che aveva notato con inquietudine il crescente malumore di suo marito, non lo trattenne, e così il duca si sentì libero e padrone di andarsene a suo piacimento. Allora, colla tenerezza, tornò ad essere gentile e affettuoso verso Maria; le fece raccomandazioni e carezze, le baciò i capelli e le mani; ma poi, la prudenza gli mancò sul più bello. Era già sull’uscio quando, rivolgendosi a Giorgio, disgustato di quella commedia, gli domandò se si fermava ancora molto tempo.

      – Mi fermo ancora un pochino, se la duchessa non è troppo stanca.

      – No, no; poi a momenti verrà

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