Mater dolorosa. Gerolamo Rovetta

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Mater dolorosa - Gerolamo Rovetta

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più tardi, che cosa ha detto.

      Giorgio alzò il capo e lo guardò senza rispondere. Prospero Anatolio capì di essere andato troppo oltre, ma conoscendo la lealtà del conte Della Valle, pensò d’affrontarlo, e gli ripetè la raccomandazione, guardando intanto Maria come per dirle: – È un tiro solito, ma lo sopporto per amor tuo.

      – Io non vengo al ballo stasera – rispose Giorgio seccato – ma in ogni modo ti farò avere le notizie, se proprio le desideri.

      Il d’Eleda lo ringraziò, sorrise di nuovo stringendo la mano a sua moglie e usci senza presentire l’uragano che stava per addensarsi sul suo capo.

      Il fare asciutto, sgarbato del conte Della Valle aveva indispettito Maria a un punto tale, che rimasta sola con lui, lo trattò con insolita freddezza. Giorgio se ne accorse subito, ma non sapendo come giustificarsi, senza accusar Prospero, non parlò più affatto: tanto che la duchessa, seccata, gli disse di sentirsi molto stanca e che perciò pensava di attendere il dottore coricata.

      – Se credete, per altro, che io mi fermi ancora per attendere le notizie, come mi ha detto Prospero…

      – Grazie: non importa – rispose Maria. – Quando verrà il dottore, lo pregherò di scrivere un biglietto, e glielo manderò io stessa. – Era un tono che non ammetteva repliche, e Giorgio se ne andò indispettito contro il d’Eleda, per la sua cattiva condotta, prima di tutto, ed anche perchè era la cagione della collera di Maria. Scese lentamente le scale, e, nell’uscire, incontrò appunto il medico che entrava allora. Pensò, per un momento, di risalire insieme; ma poi, riflettendoci, accese una sigaretta e rimase ad aspettarlo passeggiando sotto l’atrio. Poco dopo il dottore scendeva. Maria non aveva che una febbriciattola; un po’ di raffreddore; in breve sarebbe stato tutto sparito. Giorgio si strinse nelle spalle e se ne andò al club.

      Maria durò fatica prima di poter prender sonno; quel contegno strano e ingiustificabile la impensieriva e addolorava ad un tempo. Anche in suo marito, è vero, aveva notato alcunchè d’insolito; ma non vi fece molto caso, assorta com’era in altri pensieri. Cominciò dall’accusare Giorgio, nel suo cuore, di non essere più il medesimo di Borghignano; di avere segreti e misteri con lei, che lo amava colla tenerezza confidente di una sorella. Poi, dopo di aver cercato e ricercato seco stessa di scoprire la verità, s’interrogò alla sua volta, domandando a se stessa s’ella pure non aveva dato motivo a quello spiacevole cambiamento; e quantunque si trovasse affatto innocente, finì come finisce sempre chi vuol bene a qualcuno, coll’assolvere questo qualcuno e coll’accusare sè di durezza.

      – Chi sa! – pensava Maria, che nel difendere l’amico provava un vivo piacere – chi sa!… Giorgio avrà forse qualche noia, qualche dolore, ed invece di confortarlo fo peggio. È impossibile ch’egli sia mutato in questo modo senza una ragione seria, molto seria, ed io ho avuto torto di non pensarci. Se ha risposto sì malamente a Prospero, forse avrà avuto ragione di farlo; forse avrà qualche dispiacere che lo turba, ed io aggiungo alle sue pene anche la mia freddezza…

      Ma la duchessa s’ingannava. Giorgio Della Valle, che quella notte era molto fortunato al giuoco, non si ricordava più di lei, ed era allegrissimo. – E se fosse in collera con me e non tornasse? – continuava Maria a pensare, – alla fin fine, se fosse in collera, quasi non avrebbe torto. Sa di non avermi fatto nulla, e, come a me non va più il contegno verso di noi, a lui non parrà scusabile il mio… Come spiegare il nostro malinteso?… Che fare?… – E s’affannava per cercare il modo di rivederlo presto, e scusarsi, senza aver l’aria di corrergli dietro. Si ricordò in quel punto che il giorno innanzi non aveva voluto donare a Giorgio una fotografia, che piaceva molto, della sua Lalla, perchè, essendo una prima copia, desiderava serbarla per Prospero. Ma adesso, riflettendoci, capiva non essere uomo suo marito da badare alla prima copia piuttosto che alle altre; l’affetto paterno del duca, il quale, del resto, idolatrava la bimba, non capiva certe finezze: domani adunque si manderà a Giorgio la() fotografia domandata. In tal modo, naturalmente, egli sarebbe venuto subito per ringraziarnela, e così spiegandosi reciprocamente, avrebbero finito col far la pace.

      Con questo pensiero si addormentò tranquillamente, e si svegliò la mattina dopo con questo pensiero medesimo. Ancorchè il suo raffreddore non fosse sparito interamente, si alzò presto, e sua prima cura fu di farsi portare il ritratto da mandare a Giorgio.

      – E se vi facessi scrivere a Lalla, colle zampine di mosca, il suo nome sotto?… Certo gli riuscirebbe più gradita l’improvvisata!…

      Apparecchiato l’occorrente, Maria fece chiamare la bambina; ma come il solito quel folletto si era liberato dalla vigilanza di miss Dill, col pretesto di andare dalla mamma, ed invece era fuggito di corsa nel quartierino. del duca, il quale era pieno di tolleranza per i capricci della figliuola. Infatti Lalla vi metteva tutto sossopra e torturava la flemmatica pazienza di Ioh, un piccolo inglese, il vero tipo del groom.

      Lalla era fin d’allora (contava sei o sette anni) l’incarnazione di uno di quei tanti demonietti creati e messi al mondo per la dannazione del genere umano. Amava suo padre fin all’idolatria, perchè in lui aveva sempre il condiscendente d’ogni capriccio, perchè, tollerante, compiacevasi d’ogni sua impertinenza, opponendosi a Maria, quando, più severa, trovava da sgridare e magari da correggere castigando. Egli stesso, senza pensare nè all’educazione, nè alla riuscita di sua figlia, la quale con quei principî non prometteva nulla di buono, si divertiva a giuocare con lei. Le insegnava mariuolerie, si lasciava sfuggire parole un po’ ardite, ridendo come un matto quando la piccina le ripeteva. Egli la faceva correre, la faceva saltare, le insegnava la scherma e l’equitazione; e però il quartierino del duca era l’Eden di tutte le delizie di Lalla. Quando poteva scappare da sua madre e da miss Dill era beata; correva là dentro; quei quadri dai colori vivaci, quelle armi, tutto quel disordine era il suo proprio elemento. Ella rifaceva il soldato, la cantante, l’arcivescovo e la duchessa madre nei giorni di ricevimento. Poi si fermava lungamente a divorare collo sguardo le donne nude, scolpite o dipinte; e benchè il duca le avesse insegnato, per tutelare la sua innocenza, che quelle non erano donne, ma anime sante, Lalla faceva già confronti fra quelle anime e sè. Gli astucci, le cassettine, i cassettini, l’armadio, lo scrittoio di Prospero Anatolio non avevano segreti per la sua curiosità infantile, nè riparo alle sue piraterie quotidiane. Prospero quando cercava qualche cosa che non gli riusciva di trovare, andava su tutte le furie brontolando con Maria e con miss Dill perchè non sapevano educare la bimba.

      Anche quella mattina, dopo che la duchessa l’ebbe fatta chiamare, miss Dill dovette cercarla nello studio del duca.

      – Cattiva! – le gridò Maria quando la fanciullina entrò in camera. – Cattiva! Hai disobbedito a tua madre, e hai detto delle bugie a miss Dill!

      Lalla non rispose; ma con un salto fu sulle ginocchia di sua madre, e l’abbracciò stretta stretta. Miss Dill uscì.

      – A voi – disse Maria affettando una severità che era uno scherzo – da brava! scrivete qui, sotto questo ritratto.

      – Lasciamelo vedere, mamma.

      – Lo hai già veduto ieri: è il tuo ritratto.

      – Lasciamelo vedere, mammina bella.

      – A te, guarda, sei contenta?

      Lalla fece una smorfia e poi: – Sono stata più ferma di Mimì, non è vero, mamma? – Mimì era una piccola amica… una piccola rivale.

      – Sì, sei stata più ferma di Mimì, la quale per altro è più ubbidiente di te, e non dice bugie. Scrivi da brava.

      – E a chi regali il mio ritratto? al babbo?

      – No, al tuo amico Giorgio.

      – Al mio amico Giorgio?

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