Mater dolorosa. Gerolamo Rovetta

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Mater dolorosa - Gerolamo Rovetta

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palazzone vecchio, di faccia alla chiesa di San Filippo.

      – Va bene. Gli porterete questa lettera. Se non è in casa, aspettate che ritorni; ma non dovete consegnarla che nelle sue mani.

      Rimasta sola nuovamente. Maria raccolse le carte, le buste, le penne sparse sullo scrittoio, e le richiuse in una piccola scatoletta intarsiata.

      Ma, in questo punto, un pensiero che le giunse improvviso le fece prima corrugare la fronte; poi le sue guance, quasi sempre pallidissime, diventarono rosse, di bragia, e corse ella stessa in cerca di Giacomo, fin nell’anticamera.

      – Lorenzo è già andato?… – domandò al servo affannata.

      – Sì, signora duchessa.

      – Correte presto! fermatelo! Ch’egli ritorni qui sul momento!

      Non aveva terminato di parlare, che già il servitore, fatta a salti la scala, usciva di casa, e dopo pochi minuti, che a Maria, la quale stava ansiosa ad aspettare dietro i vetri della finestra, sembrarono eterni, ritornava indietro con Lorenzo, il quale teneva ancora tra le mani la lettera per il conte Della Valle. Maria, vedendola, respirò liberamente.

      – Devo aspettare? – domandò Lorenzo, quando ebbe ebbe restituita la lettera alla duchessa.

      – No, non occorre, andate pure.

      Era assai forte il turbamento ch’ella provava allora, con quel bigliettino fra le mani; perchè era esso appunto la causa di tanta agitazione.

      Sapeva di averlo scritto in un momento di febbre, senza pesarne le parole; e però Lorenzo non era ancor uscito dal palazzo, ch’ella già cominciando a riflettere, sentì subito il timore di aver commessa un’imprudenza. Quanto più ci pensava, tanto meno sapeva rendersi ragione di tutta quella fretta di scrivere al conte Della Valle di quel partito preso così sui due piedi. – Guai, guai, se Giacomo non fosse arrivato in tempo a fermar la lettera!… – A mano a mano la sua inquietudine diventava sgomento, e la imprudenza commessa diventava sempre più grande nella sua mente… – Guai, guai, se Giacomo non fosse arrivato in tempo!… – Pure, anche quando finalmente la lettera le fu restituita intatta, Maria non riebbe la calma.

      Era angustiata dal timore e oppressa da una soggezione strana: guardava la lettera, che teneva sempre chiusa in mano, voleva aprirla e non sapeva risolversi, non osava. Finalmente, si fe’ coraggio, stracciò la busta:

      – Venite subito da me: ho scoperto tutto e ho tanto tanto bisogno di consigliarmi con voi. – Ma s’egli non sapesse nulla, pensava, ho io il diritto di metterlo a parte di un segreto che è il segreto di mio marito? – Ho bisogno di consigliarmi con voi! – Consigliarmi con lui?… No. Io sola devo difendere il mio onore, e poi, non ho forse lo zio a cui rivolgermi, lo zio che mi fu padre e che ho dimenticato!… Il dolore dunque rende ingrati; perchè sono stata ingrata col mio unico parente, e mi sono rivolta per aiuto, per consiglio, a chi?… ad un estraneo!… Un estraneo?… Eppure… scrivendo a Giorgio, ho provato un grande conforto. Ho sentito nel mio cuore che potrei ancora perdonare, che potrei ancora essere felice… Felice?… per lui dunque?!… Ah! mio Dio! mio Dio! sarebbe possibile?!…

      Maria, atterrita, interrogò il suo cuore, e il cuore, duramente, tanto era inesorabile quella risposta, tanto era angosciosa per la poveretta che ormai non poteva più dubitarne, il cuore duramente rispose che ella amava.

      – Sono perduta! è più forte di me! sono perduta! – esclamò piangendo disperata; e allora sentì che nessuno al mondo, nemmeno le carezze di Lalla, avrebbero potuto farle dimenticare quel nuovo affetto che, scorto appena nella improvvisa vicenda dei suoi dolori, già cresciuto gigante, la padroneggiava.

      – Ed io, io che non voleva perdonare…

      In questo punto, ricordando la colpa di suo marito, le sembrò quasi che una mano vigorosa le stringesse il cuore, così da soffocarne ogni palpito. Quella colpa le sembrò odiosa, e la sua virtù, il suo orgoglio, la sua fierezza si ribellarono contro la sua propria passione.

      Fu una lotta accanita, crudele; ma ne uscì vittoriosa. Piangendo sempre, perchè quel sacrificio era enorme, era uno di quei sacrifici che uccidono: non consolata ma sicura; colla fede, che tante volte è l’unica difesa della donna, pregò Dio, invocò sua madre per sè, per la propria creatura…

      Mentre Maria pregava e piangeva, senza ch’ella se ne accorgesse, si aprì lentamente l’uscio della sua camera, e Lalla, che da due ore non riusciva a spiegarsi quel mistero d’ordini e di contro ordini, cacciò fuori adagio adagio il suo scarno visetto, con gli occhi vivi, pieni di furberia e di malizia, fra le tende della portiera, trattenendo il respiro, tentando di capire, fra i singhiozzi della mamma, che cosa fosse accaduto di nuovo.

      Ma quella poveretta non pregava con le labbra, pregava col cuore: e così fu delusa, allora e sempre, la curiosità della piccola imprudente.

      VIII

      Quantunque Maria rimanesse vincente dopo quella lotta, comprese tuttavia che il nemico, se si era ritirato, era per altro troppo forte, e non si poteva fare a fidanza con lui. Una risoluzione occorreva prenderla, e la risoluzione fu presa: quella di allontanarsi da Giorgio.

      Riordinò le idee, ponderò bene i suoi disegni, e quando il duca d’Eleda ritornò dalla Camera, fu avvertito che la duchessa lo aspettava e che voleva parlargli.

      A tale annuncio. Prospero Anatolio si fermò sui due piedi. La novità della cosa, sua moglie che lo faceva chiamare nelle sue stanze e la coscienza che gli rimordeva, non predicevano nulla di buono. Sentì invece che lo aspettava un quarto d’ora assai difficile. Dubitò della lealtà di Giorgio, delle maligne confidenze di una troppo tenera amica, della stessa perspicacia di sua moglie, e a buon conto preparò la sua difesa.

      – Maria minaccerà una tragedia – pensava egli fra sè e sè. – Avrò una scena di lacrime, di gelosie… e, se devo dire la verità, me lo merito proprio. Sono adorato da una moglie che tutti m’invidiano; ed io invece… Già, sicuro, sono molto colpevole. Del resto, Maria non sa fin dove son arrivato; è troppo ingenua per sospettarlo, e così posso ancora difendermi, accusando la solita maldicenza… Povera donna tanto innamorata! – e Prospero Anatolio, mentre, preceduto da Lorenzo, entrava nella stanza della duchessa, si compiaceva ad ammirare la sua figura di Don Giovanni attempatuccio, riflessa dagli specchi delle portiere.

      – Mi hai fatto chiamare? – chiese a Maria appena furono soli; e per anticipare le tenerezze, si chinò (ella era seduta) e un bacio le sfiorò i capelli.

      Maria si alzò vivamente.

      – Che c’è di nuovo? – esclamò il duca stizzito.

      – Devo parlarti di cose serie.

      – Serie proprio?

      – Molto serie.

      – Allora sentiamo.

      – Io conto di partir subito per Santo Fiore. Vi resterò molto tempo. Almeno fino a che Lalla abbia compiuta la sua educazione.

      – Scherzi?

      – No: ti prego di dare gli ordini necessari.

      – Ci siamo, sa tutto! – pensò Prospero Anatolio; e poi riprese subito, fingendo una gran maraviglia:

      – Come? Vuoi andare a Santo Fiore?… ma io non posso lasciar la Camera!

      – So bene. Partirò sola, con Lalla e con miss

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