Mater dolorosa. Gerolamo Rovetta

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Mater dolorosa - Gerolamo Rovetta

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cominciato e ha finito, dichiarandomi soltanto che oggi o domani al più tardi vuol ritirarsi a Santo Fiore.

      – Bisognerebbe cercare di persuaderla che si è ingannata o che è stata ingannata. La cosa per altro mi sembra difficile.

      – Per ciò appunto sono qui a seccarti. Tu dovresti dire a Maria che io non sono… che lei non è… quantunque alcune apparenze abbiano forse potuto far supporre che fra me e quella signora… insomma, mi capisci?…

      – Già, già; ho capito.

      – E poi…

      – E poi? Che cosa?

      – Tu dovresti farle notare che il suo disegno è sconveniente sotto ogni rispetto. Per un dubbio soltanto, ella non ha diritto di allontanarmi dalla mia famiglia.

      – È vero. La duchessa non può sapere fin dove arriva la tua… cioè la sua… – Giorgio adesso si trovava impacciato, anche lui, a spiegarsi chiaro.

      – In secondo luogo – ripigliò il duca – con un tale procedere ella darebbe aiuto ai pettegolezzi e ne potrebbe venire uno scandalo.

      – Tenterò di convincerla, e davvero sarebbe il minor male per tutti; ma non avresti qualche altra persona più influente di me?

      – No; perchè lo zio, il conte di Santo Fiore, capirai, non mi conviene di metterlo a parte… di adoperarlo in codesto affare. -

      – Certo non sarebbe opportuno; tenterò io.

      Il conte Della Valle era buono: Prospero Anatolio aveva bisogno di lui, e ciò bastava perchè questi ottenesse l’indulgenza del giovanotto.

      – Quando credi che io vada dalla duchessa?

      – Anche subito, non c’è tempo da perdere.

      Si concluse che il d’Eleda si sarebbe fermato là ad aspettar le novelle.

      Come quell’altro aveva fatto prima, adesso anche Giorgio, durante la corsa, studiava tranquillamente il suo piano, non immaginandosi certo di quante commozioni doveva essere feconda, per la povera donna che gli voleva bene, quella visita così inaspettata.

      Appena Lorenzo annunziò il conte Della Valle a Maria, ella si fe’ pallida in volto e tutto il sangue le corse al cuore. Pensò di non riceverlo, ma poi riflettendo che in tal caso egli sarebbe tornato, disse a Lorenzo di farlo entrare.

      Uscito il servo, sedette per meglio nascondere il tremito convulso da cui era presa; le bastò un minuto per padroneggiarsi, per ricomporsi, e quando Giorgio fu innanzi a lei, la sua voce era tranquilla, la sua mano era ferma. Il giovanotto trovò Maria mutata, – diversa dal solito – la trovò più sostenuta, e, quando egli disse la causa di quella sua visita, fu costretto a notare in lei un vivo malcontento.

      – Se io vi parlo di ciò, lo faccio perchè ne fui pregato da Prospero e perchè sentirei di essere per lo meno sconoscente se mi tenessi estraneo a quanto succede nella vostra famiglia. – Giorgio, a mano a mano, sempre più accalorandosi, fece la sua brava difesa, tentando tutti gli argomenti. Parlava col cuore ed era eloquente, perchè in lui la sicurezza di fare un’opera buona suppliva il difetto di convinzione. Maria non parea persuasa, e neanche commossa; ma dentro di lei() c’era un cozzo di affetti, una battaglia angosciosa, indescrivibile. Giorgio le inondava il cuore di una gioia suprema, rivelandosi come lo aveva sognato, onesto, nobile, generoso; ma, nel confronto ch’era costretta a dedurne fra lui e suo marito, confronto che terminava coll’essere troppo favorevole al cugino, la coscienza, giudice severissimo, le faceva scontare quella gioia, rimproverandola, quasi fosse una colpa.

      Perchè mai lo aveva fatto Iddio così buono, così diverso da tutti gli altri?… Se invece di difendere con tanto calore suo marito, egli lo avesse accusato tentando di volgere in suo pro la collera della moglie tradita: se invece di confortarla al bene, avesse tentato di sedurla al male, allora… oh, allora, infranto l’ideale, il suo cuore avrebbe riavuta la pace.

      Senza menomare i meriti del conte Giorgio, non era Domeneddio che lo faceva sublime; era la donna innamorata, che lo pensava tale in cuor suo. Maria non rifletteva nè punto nè poco, che tutto quel nobile disinteresse nasceva anche dall’indifferenza medesima di Giorgio per lei.

      Intanto, mentre la duchessa d’Eleda imparava a sue proprie spese quanto la passione fosse potente, sarebbe stata più proclive di certo all’indulgenza verso il marito s’egli non l’avesse offesa di nuovo andando a scegliere appunto il conte per suo intercessore. Essa gli aveva pur confessato di amarlo e di volerlo fuggire; perchè dunque lo adoperava in quel modo?… Era una derisione o una sfida?

      – Scusate, conte – disse interrompendolo a un tratto – scusate, ma non c’intendiamo, mi sembra. Voi, come mio marito poco fa, alludete a cose estranee del tutto, che non influirono punto sulla risoluzione che ho dovuto prendere.

      – Nulla di meno…

      – Vi prego, dite a Prospero che vi faccia conoscere, s’egli crede di poterlo fare, la cagione, la vera cagione per cui gli ho detto che volevo ritirarmi a Santo Fiore; altrimenti, credetelo, nemmeno noi due non potremo intenderci.

      – Riporterò al duca le vostre parole; ma vi assicuro, credevo di godere più influenza presso il vostro cuore. – E un po’ indispettito e mortificato, Giorgio era lì per uscire, quando sulla porta, voltatosi per salutarla, vide gli occhi di Maria pieni di lacrime. Prestamente le ritornò vicino e prendendole tutte e due le mani, con leggera violenza, gliele strinse, baciandole:

      – Vi supplico… siate buona… non vi ostinate nel mentire con me; non mi volete forse più bene?… – Lei?… Non volergli più bene?… Poveretta, se lo avesse potuto, si sarebbe attaccata stretta al suo collo, coprendo di baci quegli occhi che sapevano guardarla con tanta soavità.

      – Voi, sempre buona – insisteva Giorgio Della Valle – vorreste essere oggi implacabile?

      – Vi ho già detto, conte, ciò che dovete ripetere a mio marito.

      La duchessa d’Eleda si era fatta di ghiaccio: la commozione, le lacrime erano cessate ad un tratto; ma non mai, come allora, aveva capita la necessità di fuggire.

      – Chi spiega le donne? – pensava Giorgio Della Valle, ritornandosene a casa. – Ieri pareva una sorella per me, ed oggi non mi può soffrire. Se veramente fosse stata un’amica, non avrebbe fatti tanti misteri, nè avrebbe mantenuto tutto quel sussiego. Per dire la verità, ella pareva molto offesa, ma poco addolorata. Ci sarebbe dubbio che avesse anche lei più orgoglio che cuore?

      – Dunque… fiasco?… – domandò Prospero Anatolio, quando lo vide entrare con una faccia che non lasciava sperare nulla di buono. Prospero, adesso, sapeva fingere con Giorgio abbastanza bene; ma era rimasto là ad aspettarlo con mille sospetti e mille inquietudini nel cuore. Egli vedeva a mano a mano farsi sempre più grave la propria imprudenza e il rischio sempre maggiore. Cominciava a dubitare della lealtà dell’amico, della fedeltà di sua moglie, e si sentiva meno sicuro: ci fu un momento nel quale aveva pensato d’interrompere quel colloquio troppo pericoloso e forse lo avrebbe anche fatto se Giorgio avesse tardato ancor a ritornare.

      – Fiasco… irreparabile.

      – Come ti ha ricevuto?

      – Mi ha ricevuto trattandomi in un certo modo, con una sostenutezza quasi diffidente, che accresceva la scabrosità dell’argomento.

      – Almeno le hai potuto parlare?

      – Cioè,

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