22 e finì al tramonto del 23 ottobre, giorno di sabato, è evidente un lieve sbaglio in tutte quelle date. Qual che fosse stata la cagione dell'errore, mi è parso di ritenere la data del sabato 23 ottobre.
Nella versione del Nowairi, M. De Slane ha detto “quand la maladie interne dont Ibrahim souffrait, etc.;” ma confrontando con Ibn-el-Athîr e Ibn-Abi-Dinâr son certo che si debba sostituire “malattia viscerale.”
195
Johannes Diaconus, op. cit., presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 62; e presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte IIª, p. 273.
196
Vita Sancti Eliæ Junioris, presso Gaetani, Vita Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 74.
197
Chronicon Barense, anno 902, presso Muratori, Antiquitates Italicæ Medit Ævi, tomo I, p. 31; Vita di San Bertario citata quivi in nota dal Muratori; Lupi, Protospatæ (Protospatarii) Chronicon, anno 901, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo V; presso Pratilli, Historia Princ. Langob., tomo IV, p. 20; e presso Pertz, Scriptores, tomo V, p. 53; Romualdi Salernitani, Chronicon, anno 902, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo V.
Non cito la Cronica della Cava, e la Cronica di Calabria pubblicata nella stessa raccolta di Pratilli, tomo III e tomo IV, perchè la prima è interpolata, la seconda apocrifa del tutto.
Il Martorana, Notizie Storiche, tomo I, cap. II, p. 60, pensò di impastare in uno tutti i racconti delle croniche. Scrisse che “annottando l'emiro Ibrahim intorno all'assedio, e accaduto un gran temporale con frequenti detonazioni, vi fu colpito si malamente da un fulmine elettrico, che dovè levarsi tosto dall'ossidione; poi morì di sfracello tra mille dolori entro al suo palazzo, nella città di Palermo.”
198
Per cotesti fatti notissimi non occorrono citazioni. I particolari si possono vedere in Sciarestani e nelle altre opere che mi occorrerà in breve di ricordare.
199
Questo fatto mi è occorso per la prima volta nel Kitâb-el-Fihrist, MS. di Parigi, tomo II, fog. 75 verso. Molti di quei libri trattavano di veterinaria; e forse l'amor dei cavalli fu la prima cagione che conducesse gli Arabi nel santuario delle scienze greche.
200
Veggasi il Libro I, cap. VI, p. 141, 142 del 1º vol.
201
Veggansi in generale Hagi Khalfa nei Prolegomeni; Pococke, Specimen historiæ Arabum; Wenrich, De auctorum græcorum versionibus etc. Il Kitâb-el-Fikrist, MS. di Parigi, tomo II, fog. 67 verso, seg., fornisce dati importanti a chi voglia approfondire questa epoca della storia intellettuale dell'umanità.
202
Tarîkh-el-Hokemâ, MS. di Parigi, Suppl. Ar. 672, p. 13. L'autore, che visse nel XII secolo, afferma aver veduto in una biblioteca di Gerusalemme, tra i libri provenienti dal lascito dello sceikh Abu-l-Feth-Nasr-ibn-Ibrahim di Gerusalemme stessa, un trattato di Empedocle contro la immortalità delle anime, del quale ei non dà il titolo, e nota soltanto che Aristotile l'avesse confutato, e che altri avesse voluto scusar Empedocle supponendo allegorico il suo linguaggio; ma l'autore aggiugne non vedervi punto allegoria. Hagi-Khalfa, ediz. Flüegel, tomo V, p. 144, 152, ni 10,448 e 10,500, attribuisce ad Empedocle: 1º un “Libro della Metafisica,” così intitolato al par di quello notissimo d'Aristotile, e 2º un “Libro su la resurrezione spirituale e su l'assurdo che le anime risorgano come (si rinnovano) i corpi.” Ma il Wenrich, De auctorum græcorum versionibus etc., p. 90, li crede apocrifi entrambi, non trovandoli in Diogene Laerzio.
Che che ne sia di questo argomento negativo, par che appartengano ad Empedocle, o almeno ad alcun di sua scuola, i libri col nome del filosofo agrigentino, dei quali gli Arabi possedeano le versioni. Penso così perchè le opinioni fondamentali attribuite ad Empedocle dal Kitâb-el-Hokemâ, e più distintamente da Sciarestani, testo arabico, p. 260, seg., ben si accordano col panteismo che ritraggiamo dai frammenti di questo filosofo e dalle notizie che ce ne danno gli scrittori antichi. Al dir de' due eruditi arabi, la Divinità d'Empedocle era l'astrazione della scienza, volontà, beneficenza, potenza, giustizia, verità ec.; non già un essere reale dotato di dette qualità e chiamato con que' varii nomi. La nota dottrina di Empedocle su l'amore e l'odio, ossia l'attrazione e repulsione, si vede anco chiaramente nella cosmogonia che gli attribuisce Sciarestani.
Il filosofo spagnuolo che al dire del Kitâb-el-Hokemâ tolse sue dottrine da Empedocle, ebbe nome Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-Mesarra-ibn-Nagîh, nato in Cordova l'883 e morto il 931. Costui, dopo avere studiato alla scuola del proprio padre e di due altri dotti spagnuoli, fu perseguitato come zindîk, per troppo zelo di spargere le dottrine d'Empedocle; talchè si rifuggiva in Oriente. A capo di lunghi anni, tornato in Spagna, ricominciò a insegnare la stessa filosofia più copertamente e cadde di nuovo in sospetto d'empietà.
Un compendio di quest'articolo del Tarîkh-el-Hokemâ si legge in Ibn-abi-Oseibi'a, MS. di Parigi, Suppl. Ar. 673, fog. 22 recto, e Suppl. Ar. 674, fog. 40 verso.
203
Abulfeda, Annales Moslemici, an. 449 (1057), notando la morte di questo gran poeta, inserisce senza scrupolo i versi che cito.
204
Sciarestani, Kitâb-el-Milel “Libro delle sètte,” testo arabico, p. 147, seg., nota la differenza che correa tra i Bâteni antichi, ossia filosofi razionalisti, e i Bâteni moderni, sètte miste, chiamate con varii nomi in varii paesi.
205
Makrizi, presso Sacy, Exposé de la religion des Druses, tomo I, p. XIII, attesta questo fatto. La origine arabica si vede anche dai nomi dei capi di parte riferiti da Sciarestani.
206
Veggasi il Libro I, cap. III, p. 69 del 1º volume.
207
Sciarestani, Kitâb-el-Milel, testo arabico, p. 85, seg. L'autore nota tra i principii comuni alle sètte kharegite che il peccato grave porti infedeltà, ma nol ripete tra le opinioni particolari dei primi Khâregi del tempo di Ali.
208
Sciarestani, op. cit., p. 87 a 102.
209
Sciarestani, op. cit, p. 108, 109.
210
È plurale dell'aggettivo Ghâli, che significa “eccedente, smoderato.”
211
Sciarestani, op. cit., p. 109, 132, 133; il quale rintracciando il cammino di coteste opinioni, e ignorando l'origine indiana della incarnazione (Holûl) la attribuisce ai Cristiani. Si vegga anche Makrizi, presso Sacy, Exposé de la religion des Druses, tomo I, p. XIII-XIV.
212
Quest'ultimo fatto da Sciarestani, op. cit., p. 132.
213
Makrizi, presso Sacy, Exposé de la religion des Druses, tomo I, p. XIII.
214
Su le sètte del magismo ci danno molto lume Mohammed-ibn-Ishak, autore del Kitâb-el-Fihrist, e Sciarestani ricordato di sopra; i quali vissero l'uno nel decimo, l'altro nell'undecimo secolo, ebbero alle mani gran copia di materiali persiani, ed erano entrambi uomini da saperne cavare costrutto. Ciò non ostante mancaron loro le cognizioni che a noi fornisce lo studio del buddismo, il quale ebbe tanta influenza su le varie sètte dei magi. Per quella d'Ibn-Daisân si vegga il Kitâb-el-Fihrist, MS. di Parigi, Suppl. Ar., 1400, tomo II, fog. 194 recto, e 211 recto e verso; e Sciarestani, op. cit., p. 194, 196. Il Kitâb-el-Fihrist porta il cominciamento dell'eresia d'Ibn-Daisân una trentina d'anni dopo quella dei Marcioniti, ai quali assegna il primo anno d'Antonino imperatore (138), e alla eresia di Mani il secondo anno di Gallo (252).
215
Questa teoria sociale è attribuita a Mani nella compilazione turca della cronica di Tabari, uno squarcio della quale, tradotto in inglese, è uscito alla luce nel Journal of the American oriental Society, tomo I, p. 443, New-Haven, 1849. Si trova altresì nelle compilazioni orientali che compendiano Tabari e si copian tra loro. Io presto fede