La guerra del Vespro Siciliano vol. 2. Amari Michele
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Читать онлайн книгу La guerra del Vespro Siciliano vol. 2 - Amari Michele страница 12
Ansiosi in questo tempo pendeano tutti gli animi in Sicilia. Ma alla prima certezza di quelle nuove, ed anzi che tornassero gli ambasciadori, Federigo, sostando d’un tratto dal viaggio per val di Mazara, adunò in Palermo conti, baroni, cavalieri, e i sindichi delle città di qua dal Salso: ai quali, come per tener le promesse di Milazzo, palesava la non dubbia cessione dell’isola; la compiuta pace; la risposta a’ legati. Allora il fatto, soprattenuto per salvar le apparenze, pieno si consumò. Il parlamento di Palermo, a dì undici dicembre, ritirò la rivoluzione a’ suoi principi con esaltare a una voce Federigo; ma, da riverenza all’universal voto della nazione, il chiamò solamente signor dell’isola, volendo più solenni comizi per dargli nome di re; onde disse generale adunata in Catania il dì quindici gennaio, e che non solamente i sindichi vi si trovassero, ma giusto numero dei primi d’ogni terra e città, per facultà, sapienza e riputazione, con pien mandato a partecipare in quel principalissim’atto di sovranità. Federigo protestando la santità della causa, e affidarsi in Dio e nei Siciliani, accettò il dominio; si votò con persona e facultà a difenderli. Cominciava allora a intitolarsi signor di Sicilia. Il dì appresso promulgava unitamente le novelle di fuori, le recenti deliberazioni, e richiedea le municipalità di sceglier tosto i deputati al parlamento di Catania137.
In questo generale assentimento fu agevole ridurre i baroni recatisi in parte. A Ramondo Alamanno, afforzatosi nel castel di Caltanissetta, andavano Ruggier Loria e Vinciguerra Palizzi, con molti altri grandi del regno; ed ei cominciando a mostrar l’animo con liete accoglienze, sincerato della rinunzia, piegossi, e tutti gli altri con esso138. Poco stante venner ordini di Giacomo, che richiamava di Sicilia i Catalani, e gli Aragonesi, e comandava l’abbandono delle fortezze; compiuto a nome del re dall’Alamanno e da Berengario Villaragut, con questo rito, che gli uficiali, fattisi alla porta, gridavan alto tre fiate: se fossevi alcuno che prendesse la fortezza per la santa romana Chiesa? e niun rispondendo, si ritraeano col presidio, lasciavano schiuse le porte, appese le chiavi; e le municipalità incontanente se n’insignorivano a nome di Federigo139. Tornarono in patria quelli e altri cavalieri spagnuoli. Molti altri restarono in Sicilia a seguir la fortuna di Federigo; tra i quali eran primi Ugone degli Empuri e Blasco Alagona, che dopo la rinunzia di Giacomo, era fuggito dalla sua corte: e altri nobili avventurieri aspettavansi di Spagna, a dispetto anco di Giacomo, che secondo il dritto pubblico di quel reame non potea lor vietare che militassero per cui lor piacesse. Così Blasco, confortando i suoi compagni, ricordava che lor nazione, libera sopra ogni altra ch’avesse re, non ubbidiva a voler di principe, ma a giustizia e ragione. Filavan indi il creduto testamento di Pietro, l’espresso d’Alfonso; che Giacomo potea risegnare alla Chiesa il proprio diritto al reame di Sicilia, non già l’altrui; che ben se insignoriva Federigo140. Con questi argomenti mal colorivano di legittimità quel reggimento per sè legittimissimo. Nè badavano che per dritto di successione potea il trono appartenere alla sola Costanza; e che nè Piero, nè Giacomo altrimenti v’ascesero, che, come or Federigo, per la elezione del popolo.
E già la Sicilia a questo solenne atto metteva il suggello, ad onta della romana corte, di Napoli, Francia, e Aragona, contro lei congiurati. Il dì quindici gennaio milledugentonovantasei, nella cattedral chiesa di Catania, s’assembrarono frequentissimi i rappresentanti della nazione, con quanti nobili catalani e aragonesi sperassero ventura qui, più che in lor patria. Ruggier Loria primo parlò; poi Vinciguerra Palizzi, prestante per forza d’ingegno e di parola; e seguendoli ogni altro, d’un accordo gridavano re Federigo; decretavano si fornisse la coronazione in Palermo141. Fu secondo di questo nome in Sicilia; ma s’intitolò terzo, per esser terzo de’ figliuoli di Pietro, o dei reali d’Aragona qui dominanti, o per errore diplomatico piuttosto, credendosi secondo di Sicilia Federigo lo Svevo, che fu secondo degl’imperadori, primo tra nostri re142.
Ma come Bonifazio riseppe que’ primi passi del parlamento di Palermo, non essendo in punto a usar la forza, non lasciava intentato alcun mezzo di frode. A Federigo scrisse il due gennaio, ricordando le pratiche dell’anno innanzi, la sollecitudine a trovargli terreno e sposa; che negava Caterina, ma non resisterebbe a nuovi preghi; e sì richiedealo, e lo scongiurava con ogni più efficace parola, che desistesse dalla usurpazione del regno. Al medesimo effetto ammonì la regina Costanza. Lo stesso dì «ai Palermitani e agli altri Siciliani» drizzò un breve pien di mansuetudine: come la romana Chiesa, or che Giacomo le avea risegnato questa bella Sicilia, volea consolar le sue afflizioni, fare il ben pubblico, governarla dassè per un cardinale; vedessero i Siciliani tra’ fratelli del sacro collegio qual più lor fosse a talento, quello il sommo pontefice manderebbe. E con tali missioni inviò il vescovo d’Urgel, e quel Bonifazio Calamandrano, che da quattro anni correa per tutta Europa in questi maneggi, come li chiamavan, di pace. Facean assegnamento altresì sulla fazion d’Alamanno e di Procida, non sapendola per anco spenta: e con tali speranze il Calamandrano a Messina approdò, poco innanzi o poco appresso il parlamento di Catania143. Il pratico negoziatore parlava ai cittadini di maravigliose prosperità lor preparate dal papa, ingeriasi, brigava; alfin vedendo grossa la piena per Federigo, tentò l’ultimo argomento, mostrando pergamene bianche col suggello della corte di Roma; dicea, consultassero i Siciliani tra loro, e assoluzioni, perdonanze, immunità, franchige, dritti, usanze, patti, quantunque vorranno, ei scrìverà sulle pergamene, assentiralli il sommo pontefice. Ma i Messinesi, non che dar dentro la grossolana rete, sen beffavano; rincalzati da Loria, da Palizzi, e dagli altri primi. E Pietro Ansalone, prudente e ornato dicitore, al Calamandrano ne andò senza molte parole. «Sappi, gli disse, che i Siciliani non ubbidiranno a dominazione straniera; sappi che vogliono Federigo per loro re: e vedi qui! (aggiunse sguainandola spada) i Siciliani da questa aspettan la pace, non dalle tue carte bugiarde! Sgombra su dalla Sicilia, se morir non ami!» Il Calamandrano, scrive Speciale, incontrar non volle il martirio per servire a mondane ambizione. Tornato a Bonifazio, il fe’ certo non restare altra speranza che nelle armi144.
CAPITOLO XV
Coronazione di Federigo II di Sicilia. Novelle costituzioni, per le quali è ridotta nel parlamento gran parte della sovranità. Federigo porta la guerra in Calabria,
134
Jerem. Threni, cap. I, v. 12.
135
Nic. Speciale, lib. 2, cap. 22.
Anon. chron. sic., cap. 52 e 54, il quale porta un diploma, che si legge anco in Lünig, Cod. Ital. dipl., tom. II, Napoli e Sicilia, 64.
Geste de’ conti di Barcellona, cap. 29.
136
Diploma citato. Altro del 30 ottobre 1295, in Testa, Vita di Federigo II di Sicilia, docum. 5.
Veggasi anche il Montaner, cap. 182.
137
Diploma del 12 dicembre 1295, nell’Anonymi chron. sic. e Lünig, loc. cit.
138
Nic. Speciale, lib. 2, cap. 23.
139
Montaner, cap. 184.
140
Nic. Speciale, lib. 2, cap. 22, 25.
Del ritorno de’ Catalani alla lor patria, fa menzione il Montaner, cap. 184; e a cap. 185, delle supposte ragioni di Federigo.
141
Nic. Speciale, lib. 2, cap. 23.
142
Tien quell’errore il Montaner, cap. 185, e riferisce gli altri motivi per cui Federigo si chiamò terzo, i quali non meritano che se ne faccia parola.
143
Raynald, Ann. ecc., 1296, §§. 7, 8, 9 e 10.
144
Nic. Speciale, lib. 2, cap. 24.
Bolla di Bonifazio VIII, data il dì dell’Ascensione, anno 2, in Lünig, Cod. Ital. dip., Sic. e Nap., num. 65.