La guerra del Vespro Siciliano vol. 2. Amari Michele
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Esposta l’ambasceria, si dava liberissimo voto a ciascuno; e pendeano i più alla ripulsa, per amor di Federigo o di sè stessi, temendo Giacomo noli seducesse, allorchè Loria col pianto sugli occhi, quasi per pietà del paese, s’alzava ad orare: «Non ingannassero sè medesimi; sarebbero irresistibili le congiunte forze di Giacomo e di Carlo; ripiglierebbero le Calabrie in un batter d’occhio; porterebbero in Sicilia fame, incendi, stragi; pagherebbe di molto sangue la Sicilia questo insensato ostinamento, All’incontro, qual danno nell’andata di Federigo? e forse, per l’amor che gli porta, si volgerà a noi il re d’Aragona. Ma s’ei verrà da nimico, pensate quanti Catalani e Aragonesi mancheranno alle vostre bandiere. Posson essi prender le armi per chi lor piaccia, ma son traditori se combattono contro le bandiere del re d’Aragona177.» Gran bisbiglio seguì a questo parlare, vergognando gli stessi partigiani dell’ammiraglio ad assentir con parole, ma chinavano il capo; e gli altri altamente dicean contro: onde dopo lunga contesa, nulla deliberavasi.
Il dì seguente tolse ogni dubbiezza il re, surto egli stesso a concionar l’adunanza. «Non ripeterò, disse, le parole che si son fatte, che sono pur troppe. Io penso che dal trattare, altro non tornerebbe che più fuoco d’ira, tra Giacomo, soldato de’ vostri nimici, e me, che tutto alla Sicilia sonmi giurato: e tra la Sicilia e’ suoi nimici non è via di mezzo; o libera com’oggi, o calpestata oltre ogni antico strazio di servitù. Su questo partito deliberate dunque, non sull’andata del vostro re ad Ischia. Ma tu, Ruggier Loria, che parlavi misterioso di leggi e usanze d’Aragona, ricorda che io son re in Sicilia quanto Giacomo altrove: che s’ei mi porta ingiusta guerra, non sarà traditore se non chi me tradisce! E quanto a’ pericoli dipinti sì atroci, richiama al tuo cuore l’antica virtù; pensa che Iddio combatte contro gl’ingiusti e i superbi.» Coronò tal generoso parlare il decreto del parlamento, che vietò l’andata all’abboccamento con Giacomo. Il fece intendere Federigo all’ambasciadore; accomiatollo178; e cominciò ad apparecchiar la Sicilia a validissima difesa.
Ma non son da pretermettere gli altri atti di questo parlamento di Piazza, non sì scosso dal grave partito politico, che non pensasse, quasi posando in pace, a molti statuti, trasandati in mezzo alle leggi fondamentali del parlamento di Palermo, o suggeriti da novella esperienza, o portati dallo sviluppo di novella forza civile. Ed in vero si favorì tanto sopra l’aristocrazia l’elemento municipale, che se ne scorge evidentemente la preponderanza della parte popolana, e l’intendimento di Federigo a fondarsi in su quella, più che sul baronaggio, fattosi torbido e parteggiante; e s’ha valido argomento che la parte popolana, alla quale, com’avviene, accostavansi anco parecchi nobili, fosse stata quella che vinse il partito della guerra in questo parlamento, e sostenne Federigo e la rivoluzione. Certo quegli statuti danno a vedere, secondo i tempi, assai civiltà. Decretavasi: i castellani non s’ingerissero nelle faccende de’ vicini municipi; non i nobili nelle elezioni de’ magistrati comunali; i feudatari non pretendessero dritti sul passaggio degli armenti; non levassero a lor posta gabelle sulle grasce; non frodassero i vassalli nella misura de’ poderi soggetti a terratico; nè terratichi nuovi riscuotessero su i feudi conceduti testè dal demanio: si vietò l’alienazione de’ feudi oltre i termini della recente legge; si die’ obbligo a’ baroni di soggiornare in Sicilia o tornarvi in corto tempo: e che il principe solo potesse assentire i matrimoni delle lor figliuole co’ figli de’ nemici allo stato179. Altri statuti, proclamando che i deboli non debban soggiacere ai potenti, studiavano nuovi argini ai radicati abusi degli uficiali sull’avere dei privati180; innalzavano in ogni comune un ministero pubblico di tre cittadini, obbligati per giuramento a denunziare tutti gli aggravi de’ giustizieri e uficiali qualunque, e sì i misfatti contro la sicurezza delle persone; i quali, dal sacramento che davano, si appellaron giurati181. Fu decretata libertà universale d’importazione ed esportazion di vini e altre derrate; inibito di prender le persone o i letti, o diroccar le case pei debiti delle collette; francati da queste i militi182. Si rinnovi il divieto d’ingiuriar altrui con gli odiosi nomi di guelfo o ferracano: riabilitati agli ufici i sospetti di queste opinioni politiche, non rei di alcun fatto183. La quale benignità di principi s’osserva non meno nei molti ordinamenti sopra gli schiavi saraceni e greci, che numerosissimi erano in Sicilia per causa del corseggiar nelle ultime guerre: statuti tendenti a procacciar la conversione de’ primi alia fede di Cristo, de secondi a’ dommi ortodossi, o mantenere il pubblico costume; ma si fe’ divieto ai cristiani di usar con giudei; a costoro di tenere ufici ed esercitar la medicina184. Scagliossi pena del capo contro gli avvelenatori, stregoni, indovini, incantatori, che spargon, dice lo statuto, profani errori, e ingannano i popoli con empie fallacie185: talchè nè corsero quegli antichi nostri legislatori all’atroce e usato supplizio del fuoco, nè mostrarono prestar fede a negromanzie, ma puniron solo la frode e il disordine civile. A questo medesimo effetto con molto studio vietaronsi i giochi di sorte, non di destrezza; e si commendaron que’ d’esercizio nelle armi186. Allo zelo di religione e morale, ch’appar da cotali ordinamenti, s’aggiunse un particolare statuto contro la usurpazione de’ beni ecclesiastici; un divieto di portar armi, ferro, o legname a paesi d’infedeli; ma si pagò il tributo a’ tempi con lasciar salva alla santa sede la riforma; e non si dice sol delle leggi per le quali poteano vedersi incerti i limiti tra il sacerdozio e l’impero187. Su questi capitoli di Piazza, perchè essi contengono più numero di sanzioni penali che niun degli altri anteriori di Federigo stesso o dì Giacomo, noteremo, ch’eccetto il sommo supplizio contro i maestri di veleni e malie, le pene son pecuniarie o di privazione; poche di carcere a tempo; e pei giochi vietati s’aggiungono in un caso le battiture. Riserbossi il principe di gastigare ad arbitrio alcuni abusi degli uficiali, e dichiarar secondo i casi la qualità del carcere detto dinanzi188. Talchè possiamo anco dir mite e non troppo disuguale il penal sistema che si tenne di mira.
In questo tempo, reggendosi sempre Ischia per noi, Pier Salvacoscia con cinque galee vi combattè bella fazione, assalito da nove teride smisurate, zeppe di armati, che i Napolitani mandavano a acquistar l’isoletta, vergognanti del tributo ch’indi si levava su i vini navigati per lo golfo. Appiccata la zuffa senza curare il disugual numero, vinsero i nostri; ogni galea cattivò una terida; fuggendo le quattro rimagnenti, i cui capitani re Cario fe’ mettere a morte, uscito questa fiata dall’indole sua dolce189: e come disperando delle armi, cavalcò per Roma a ripregar Bonifazio. Costui indi punse nuovamente Giacomo che venisse a Roma; diegli le decime ecclesiastiche d’Aragona per l’armamento190. Giacomo, apparecchiandosi, di febbraio del novantasette mandò per ultimo avviso al fratello il vescovo di Valenza e Guglielmo di Namontaguda, insistendo per l’abboccamento ad Ischia. Ma perchè quei
176
Nic. Speciale, lib. 3, cap. 17.
Surita, Ann. d’Aragona, lib. 5, cap. 21, 23.
177
L’ultimo concetto dell’orazione di Loria, riferita da Niccolò Speciale sembrerebbe triviale e superfluo pei noti principî del dritto comune e feudale. Ma ove si ricordi il dritto pubblico degli Aragonesi e dei Catalani, si vedrà ch’esso era per lo meno assai dubbio intorno il presente caso, cioè di combattere in paese straniero contro i comandi del proprio monarca, e forse contro le sue stesse armi che militassero da ausiliari.
178
Nic. Speciale, lib. 3, cap. 17 e 18.
Questi dice espresso che il re, tornando repente di Calabria per quell’ambasceria, chiamò subito il parlamento a Piazza, e vinse il partito; poi tornato a Messina, rimandò l’ambasciadore con la risposta. Nei nostri capitoli del regno si leggono le costituzioni decretate in parlamento a Piazza il 20 ottobre, promulgate dal re a Messina il 25 novembre 1296, come ben il mostra il comentatore monsignor Testa. Dopo tuttociò non so comprendere come il Testa, nella Vita di Federigo l’Aragonese, porti deliberate in quel parlamento le sole costituzioni, e tenutone un secondo a Messina per quella principalissima faccenda dell’ambasceria, ch’è contro la chiara testimonianza dello Speciale, e contro la probabilità; non potendo supporsi che nel parlamento convocato così in fretta si deliberassero tranquillamente nuove regole di amministrazione pubblica, e si rimettesse ad altro tempo la vital quistione della pace e della guerra. Se il secondo parlamento fosse stato convocato, perchè nel primo non si era potuto conchiuder nulla sull’oggetto principale, nel primo si sarebbero tutto al più prese deliberazioni di poco momento, non quelle riforme a favor dell’elemento municipale che mostrano l’azione d’un partito preponderante. Due cose io credo abbian tratto in errore il Testa. La prima, aver seguito nello Speciale (cap. 18) la lezione,
179
Cap. 45, 57, 37, 40, 42, 43, 44, 50, 51, 52, 54.
180
Cap. 36, 38, 39, 46, 47, 48, 58.
181
Cap. 45.
182
Cap. 55, 41, 56.
183
Cap. 53.
184
Cap. 59 infino al 75.
185
Cap. 76.
186
Cap. 77 infino ad 84.
187
Cap. 82, 83, 85.
188
Questo statuto pel carcere è nel cap. 84.
189
Nic. Speciale, lib. 3, cap. 18.
Questa fazione d’Ischia si dee porre tra il 15 settembre e il 20 ottobre 1296, perchè di questa data abbiam due diplomi di Carlo II, l’uno in Brindisi, l’altro in Roma; e Speciale afferma che il re si trovava in Napoli quando tornaron le quattro teride fuggenti.
190
Raynald, Ann. ecc., 1297, breve del 30 dicembre 1296.