La guerra del Vespro Siciliano vol. 2. Amari Michele
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Il quale risoluto a spiccarsi da Federigo perchè nol potea governare, operava sempre più baldanzosamente. Un dì cavalcando il re con Corrado Lancia per la spiaggia di Musalla a Messina, fattosi tra loro, mostrava lettere di Giacomo che il chiamavano a un abboccamento; prometea di adoperarvisi per Federigo, e tornare. E il re, incauto o superbo, a’ conforti di Corrado gli dava il commiato; assentivagli ancora due galee per andare in Calabria a munir sue castella in questi nuovi pericoli di guerra. Ma quando l’ammiraglio ritornò in Messina per prender il viaggio di Roma, trovò il giovan principe, che suscitato dalle parole de’ cortigiani, avea rugumato su tal dimestichezza di Loria co’ nimici, su queste genti, armi, vittuaglie che adunava nelle sue castella; tra i quali pensieri dubbiando Federigo, ch’animo avea generoso con poca mente, tenne la peggior via: nè accarezzar quel grande, nè spegnerlo; ma l’offese. Porsegli ei stesso il pretesto che l’ammiraglio cercava per salvarsi dal biasimo di tradigione, nel che riuscì tanto appo i contemporanei, che qualche istorico in tal sembiante il tramandava alla posterità. In piena corte, fattosi quegli a baciar la mano al re secondo usanza, Federigo ritira a sè la mano sdegnosamente, e a Ruggiero che drizzavasi a domandar perchè tal oltraggio? brusco risponde: «Perchè trami co’ miei nimici»; e seguì più acceso; e finì comandandogli non movesse pie’ dalla sala. Seguitonne uno spaventoso silenzio. Niuno stendea le mani sull’ammiraglio; ei, soprappreso dall’ira del re, non osava partirsi: dispettoso e fremente si trasse in un canto. Ma Vinciguerra Palizzi e Manfredi Chiaramonte, che non amavan forse Ruggiero, ma nè anco l’esempio d’un tal grande spento fuor dagli ordini delle leggi, fecersi a parlare per esso, con dolcezza che poi tornò sì dannosa alla patria. Mitigato da loro, il re li accettò mallevadori dell’ammiraglio; e questi, ch’era già notte, fu lasciato partir dal palagio, libero e ingiuriato.
Vola alle sue case, lieto in volto; convita a cena i molti amici adunatisi a complir del ritorno di Calabria; e mentre s’imbandiscon le mense, precipita per una scala segreta; monta a cavallo con tre fidatissimi; e a spron battuto prende la via di Castiglione. Giungevi all’ora terza del dì, con felice consiglio: perchè già Federigo, levato su dai nimici dell’ammiraglio, tornando allo sdegno, aveal fatto appellare alla sua presenza. Pericoloso ondeggiamento, che mosse tutta la Sicilia. Assai partigiani di Ruggiero, deliberati a correr con esso quantunque fortuna, vanno a trovarlo armati: ei rafforza con estrema prestezza le castella di Novara, Tripi, Ficarra, Castiglione, Aci, Francavilla, e altri luoghi che tenea in feudo: e minaccioso e fiero si stava. Quando i due mallevadori vennero a richiederlo che tornasse alla ubbidienza, e gli offrian sicurtà dalla parte del re, Ruggiero, per sentirsi in colpa o mosso da superbia, con molte ragioni il negò: alfine pagò del suo la enorme somma della malleveria; e tennesi sciolto da ogni vincolo d’onore. Tuttavia nè mosse guerra, nè chiese pace al re. E questi, dopo i primi errori, fatto senno, non osò assaltarlo, per non accender una guerra civile con le armi straniere alle spalle. Ma poco minor pericolo gli era l’indugio197. Di tal frangente il tirò la regina Costanza, con quella medesima riputazione ch’avea due anni prima ammorzato lo scisma di Giovanni di Procida. La regina, chiamata a Roma dal maggior figliuolo per menar a nozze la Iolanda, vinse sè stessa a lasciar Federigo; sperando pure metter pace tra gli sdegnati animi, e guadagnarne alla propria coscienza col rientrar in grembo della Chiesa. Volle per tal andata, con mirabil modestia, la permissione di Federigo: e sotto specie di chiederli compagni al viaggio, levò di Sicilia, con onor del re e loro, l’ammiraglio, pronto da un dì all’altro a romper guerra, e Giovanni di Procida, sospetto al par di costui, o peggio. Loria, avuta da Federigo sicurtà fino all’imbarco, non lasciò le sue fortezze, senza pria comandare a tutti i vassalli che stessero saldi, e quando Giovanni Loria nipote di lui andrebbe in Castiglione, l’ubbidissero in ogni fortuna. Indi la regina e la principessa, spiccatesi con molto dolore da Federigo, seguite dal vescovo di Valenza e dai due baroni uscenti in esilio sì minacciosi, da Milazzo con quattro galee partivano alla volta di Roma. Come furo in alto, chi favellava, chi adagiavasi, sperando, qual più qual meno, ne’ novelli destini; la sola Costanza, dice Speciale, immota sulla poppa della nave, affisava i monti di Sicilia che fuggiano, gonfia gli occhi di pianto, pensando a Giacomo, a Federigo, e a’ disastri imminenti. Compironsi a Roma le nozze; strinsersi, non ostante il pregar di Costanza, i consigli della guerra; Giacomo ripartì per Catalogna ad allestir la flotta. Loria al medesimo effetto ritornava, amico e ammiraglio di re Carlo, a que’ porti del reame di Napoli ove per quindici anni s’era tremato al suo nome. E prima Giacomo il creò ammiraglio a vita in tutti i suoi reami con grande autorità, gran lucro, e campo illimitato alle rapine; si stabilì il matrimonio di Beatrice sua figliuola con Giacomo d’Exerica, principe del sangue reale d’Aragona. Il papa gli diè in feudo la terra e il castel d’Aci in Sicilia, che tenean dal vescovo di Catania; lo ribenedì insieme con Giovanni di Procida198. Costui fu redintegrato ancora nel possesso dei suoi beni nel reame di Napoli, secondo i primi patti di Giacomo e Carlo199. Così lasciavan insieme la Sicilia, ambo da nimici, i due regnicoli sì famosi nella rivoluzione del vespro, legati strettamente dalla comune fortuna e dalla comune ambizione, compagni nell’esilio, nelle speranze, nella fazione della nuova dinastia in Sicilia, e finalmente nella tradigione. L’uno, allevato infin da fanciullo a corte di Pietro, fu uomo di animo smisurato, di altissimo intendimento nelle cose di guerra, il primo ammiraglio de’ tempi, gran capitano d’eserciti; ma sanguinario ed efferato, avaro, superbo, insaziabile di guiderdoni. Ristorò la riputazione delle armi navali in Sicilia; educò i Siciliani alle vittorie; fu sostegno potentissimo al nuovo stato. Gli si volse contro quando ebbe rivali nel potere; non veggo se più invidioso o invidiato; ed è un’altra macchia al suo nome, che abbandonò Federigo quando parea precipitare la sua fortuna. Portò con seco la signoria de’ mari; e pur non serbò lungi da noi l’antica gloria, perchè, se talor vinse in battaglia i vecchi compagni siciliani, talor anco fu vinto da essi; e appena chiusa con la pace di Caltabellotta la sanguinosa scena di che era stato parte principalissima, or con l’una or con l’altra delle fazioni guerreggianti, come se quel genio sterminatore non avesse più che fare al mondo, trapassò di malattia in Valenza; e le sue ossa andarono a riposare, com’egli avea ordinato molto prima, in un sepolcro posto a piè di quello del re Pietro200. Minore di lui di gran lunga fu Giovanni di Procida, e pur la capricciosa fortuna in oggi fa suonare assai più questo nome. Di ministro abilissimo del re d’Aragona, le corrotte tradizioni istoriche l’han fatto liberator di popoli, l’han posto a canto a’ Timoleoni ed a’ Bruti, han dato a lui solo quel che fu effetto delle passioni e della necessità di tutto il sicilian popolo; alle virtù ch’egli ebbe, sagacità, ardire, prontezza, esperienza ne’ maneggi di stato, hanno aggiunto le cittadine virtù ch’ei non ebbe, che violò anzi, tramando pria co’ nemici, poi brigando sfacciatamente contro la siciliana rivoluzione,
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Surita, Ann. d’Aragona, lib. 5, cap. 25. Veg. la nota a pag. 96 nel presente capitolo.
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Surita, ibid., cap. 28.
La bolla è data il 4 aprile 1297, in Raynald, Ann. ecc., 1297, §§. 2 a 16.
Veg. anche Gio. Villani, lib. 8, cap. 18.
Nic. Speciale, lib. 3, cap. 12.
193
Raynald, ibid., §. 17.
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Diploma dell’8 giugno 1297, pubblicato dal Testa, Vita di Federigo, docum. 7.
195
Raynald, Ann. ecc., 1297, §. 18.
196
Ibid., §. 25.
197
Nic. Speciale, lib. 3, cap. 18 e 19.
È gran danno che questo scrittore diligentissimo abbia a sdegno di riportar le date de’ più notabili avvenimenti. In questo di Ruggiero Loria, ancorchè certo si sappia che fin dall’anno precedente ei fosse risoluto a spiccarsi da Federigo, pur importerebbe molto ritrarre appunto il giorno che l’ammiraglio fu sostenuto a corte e poi si fuggi. Perocchè Giacomo a 2 aprile 1297, il creava grande ammiraglio a vita (diploma in Quintana, citato di sopra a pag. 69) e papa Bonifazio il 6 del mese stesso concedeva in feudo a Loria, tornato ad
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Nic. Speciale, lib. 3, cap. 20, 21, 22.
Anon. chron. sic., cap. 56.
Surita, Ann. d’Aragona, lib. 5, cap. 26 e seg.
Gio. Villani, lib. 8, cap. 18.
Veggasi anche il Montaner, cap. 185, il quale seccamente narra l’andata della regina Costanza a Roma con Giovanni di Procida, ove il re d’Aragona era venuto per trattar pace tra Carlo e Federigo. E per le concessioni a Loria veggansi anche i due diplomi del 2 e 6 aprile 1297, citati nella nota precedente.
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Molti documenti fornisce il r. archivio di Napoli intorno i beni di Giovanni di Procida, e la restituzione che ne fece il governo angioino dopo la sua, come piaccia meglio chiamarla, conversione o tradigione. Ecco quelli in cui io mi sono avvenuto rifrustando i registri angioini.
Diploma del…Carlo II concedette ad Anselletto de Nigella, valletto della sua corte:
Diploma del 28 marzo duodecima Ind. (1299), perchè sulle pubbliche entrate di Salerno si pagassero once 12 annuali a Colino di Ducato, in compenso
Diploma del 16 aprile duodecima Ind., perchè lo stratigoto di Salerno facesse rendere al procuratore de’ beni di Giovanni, ereditati da Tommaso di Procida, alcuni beni burgensatici presi da supposti creditori; e se costoro avesser dritto, il facesser valere innanzi il giudice competente. Ibid., fog. 15, a t.
Diploma della stessa data allo stesso effetto, ibid., fog. 210, pubblicato a docum. XXVIII.
Diploma dato di Napoli a 6 maggio duodecima Ind., per lo quale son resi a Tommaso di Procida alquanti beni, già conceduti ad altre persone, e a queste è assegnato un compenso. In questo diploma è notevole il principio:
Altro diploma della stessa data, per altri beni dello stesso Procida, simile al tutto. Ibid., fog. 56 a t.
Diploma del 18 agosto duodecima Ind., perchè senza strepito di giudizio si rendesse ragione a una vedova, che chiedea il pagamento di un debito che avea contratto con lei
Diploma della stessa data del 18 agosto. Compenso di alcuni beni, ch’erano stati di Giovanni di Procida, e i presenti possessori li aveano ceduto al fisco per renderli a Tommaso. Ibid., fog. 137 a t.
Diploma del 29 settembre 1300, cavato dallo stesso r. archivio di Napoli e pubblicato dal Buscemi, Vita di Giovanni di Procida, docum. 8.
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Quintana, Vidas, etc., tom. I, pag. 170, dice che questo sepolcro si vedea ancora nel monastero di Santa Croce dell’ordine di san Bernardo in Catalogna; e trascrive la modesta iscrizione che vi si leggea ancora, secondo la quale Loria morì il 17 gennaio 1865. Ibid., tom. II, pag. 125, è pubblicata la disposizione testamentaria dell’ammiraglio per la sua sepoltura.