La guerra del Vespro Siciliano vol. 2. Amari Michele
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Più segnalato avvantaggio s’ebbe per mare. Saputo l’assedio del castel di Patti, spiccavansi al soccorso dal campo sotto Siracusa trecento cavalli capitanati dall’ammiraglio, e venti galee cariche di vivanda con Giovanni Loria. Dei quali l’ammiraglio, con ardire e fortuna, cavalcando per lo mezzo della Sicilia nemica, giunse a Patti, e dileguò l’assedio; perchè i nostri, com’era intendimento di quella guerra, scansaron venire a giornata: e dato lo scambio al presidio del castello, stracco o dubbioso nella fede, velocissimo al campo tornò Ruggiero. Dopo lui giunse a Patti l’armatetta di Giovanni, e vittovagliò anco il castello, ma non fu felice al ritorno, Perchè Federigo vedendo qual destro gli offriva la fortuna, di combattere contro una punta sola delle navi nemiche, sopraccorre di Catania a Messina; gittasi nelle braccia dei cittadini, scongiurandoli a montar sull’armata; nè molto penò a infiammarli, sì che avean allestito sedici galee, quando si seppe da’ riconoscitori l’armatetta catalana navigar ne’ mari di Mirto, e poi fur viste le prime galee, che abbandonate da’ venti si sforzavan remigando a valicare lo stretto. S’odono in Messina squillare le trombe per ogni contrada; corrono armati al mare giovani e vecchi; il fratello, scrive Speciale, chiama all’armi il fratello, il padre non respinge i figli che il seguono al rischio; in tutti è una brama, di perire o pigliar vendetta di cotesti Catalani, predon venderecci, venuti a portar guerra ingiusta a’ lor liberatori della vittoria di Roses. Disordinatamente vogan dunque i Messinesi all’affronto, con tal furore che il disordine stesso non nocque. Per breve zuffa, senza molto lor sangue, trionfarono de’ nemici, contrariati dal vento; ogni galea messinese ne cattivò una Catalana; le altro quattro si salvaron fuggendo; ma Giovanni Loria restò tra i prigioni. Al ritorno de’ vincitori, non furono spettacol nuovo a Messina, un re piangente di gratitudine che mescolavasi tra il popolo e combattenti; le donne che traeano agli altari, recando la offerte votate nell’ansietà del rimirar la battaglia. I prigioni più notabili furono chiusi in castello; i minori in altre carceri di Messina e di Palermo, ch’eran Catalani la più parte, e i nostri, com’è aspro il risentimento dopo dimestichezza e vicendevoli obblighi, non contenendosi che non aggravassero la prigionia col dileggio e chiamaronli garfagnini226. Dopo questo disastro poco giovò ai nimici la ribellione di Gangi; ove se vennero il traditor Barresi, Tommaso Procida, e Bertrando de’ Cannelli, catalano, a confortare la terra a difesa, non tardavano a presentarsi ostilmente con armi siciliane Matteo di Termini, maestro giustiziere, uom nuovo, ascendente a possanza nella corte di Federigo, e Arrigo Ventimiglia conte di Geraci s d’Ischia, d’antica nobiltà e nimistà a parte angioina227; i quali trovando ostinati i terrazzani e fortissimo il luogo, davano il guasto al contado228. Ma un altro più grave effetto ebbe il combattimento del Faro. Perchè arrivate al campo di Siracusa le navi fuggenti, ristretti a consiglio Giacomo, Roberto e il legato, co’ principali capitani, consideravano la resistenza durissima di Siracusa, da non vincersi di leggieri: le molte migliaia mancate all’oste229; la flotta menomata, ch’essi in paese nemico non potrebbero ristorare, ma ben i Siciliani la loro, incoraggiati dall’ultima vittoria: e certo fu tra le principali ragioni, che la guerra andava in lungo, e gli stipendi della gente catalana correano scarsamente230. Perciò, messo il partito da un Pietro Cornel, assai riputato tra i condottieri di Giacomo231, si deliberò la ritirata. Raccolsero sulle navi gli arnesi e le tende di maggior prezzo; poser fuoco agli alloggiamenti; e l’armata fe’ prora a settentrione. Lasciati da cinquecento cavalli e duemila fanti nelle occupate fortezze, il re d’Aragona, pria di partirsi di Sicilia, sostava a Milazzo, ridomandando a Federigo le sedici galee co’ prigioni; e promettea che mai più non tornerebbe a’ suoi danni. E forse, quant’era stato bene una volta non ascoltar Giacomo, tant’era in questo incontro assentirgli; e Vinciguerra Palizzi sostenealo caldamente nel consiglio del re, mostrando che a sì grande utilità potea ben sagrificarsi un po’ di vendetta. Corrado Lancia, per lo contrario, stigava Federigo ch’usasse la fortuna; che rispinto ogni accordo, di presente uscisse con l’armata a combattere i Catalani fuggenti: e il re, che non sapea reggersi fuorchè ad altrui consiglio, seguì per abitudine quel di Corrado. Data dunque tal risposta ai legati d’Aragona, Federigo, per novella ira di qualche parola di Ruggier Loria riportatagli in mal punto, affretta il supplizio di Giovan Loria e di Giacomo Rocca, condannati nel capo dalla gran corte, a ragione, per ch’eran rei di tradimento; ma costò poi molte lagrime alla Sicilia. Intanto infellonito contro il fratello, messa in punto tutta la flotta in pochi dì, montovvi Federigo, cercando battaglia. Gliela tolsero un vento fortunale che si levò, e la prudenza di re Giacomo, il quale amò meglio affrontar la tempesta, che il fratello in quell’ira; non sappiam se mosso da carità del sangue, o da coscienza delle proprie sue forze. Perdute due navi tra le isole Eolie, tornossi di marzo del novantanove a Napoli; ove Bianca gli partorì un figliuolo, ei fortuneggiò tra vita e morte in breve malattia, e appena sorto dal letto, sopraccorse in Ispagna ad assicurar le sue frontiere minacciate. Federigo, battuto e mal concio dalla tempesta, si ricolse nel porto di Messina. Nè andò guari che Manfredi Chiaramonte ridusse Pietraperzia; il re stesso, con maggior oste e più duro assedio, Gangi, uscitini a patti i tre baroni nominati dianzi; ed ebbe alsì le castella occupate dai nimici presso Siracusa. Quelle della costiera di tramontana, già vicine ad arrendersi non ostanti i soccorsi di Napoli, instando all’assedio Federigo, furon liberate dal nuovo passaggio de’ Catalani232.
Così allenando in primavera del novantanove, ambo le parti ripigliavan forze al nuovo conflitto. Papa Bonifazio, superbo di questo gran colpo di scatenare il fratello contro il fratello, sì che scrivealo fra le principali sue geste in accrescimento del nome cristiano, e vantavasi delle notti vegliate a macchinarlo, e della moneta gittatavi233, raccolse allora sotto il patrocinio della Chiesa il reame di Aragona, che, assente il re, i vicini nol turbassero; die’ a Giacomo per la guerra siciliana le decime ecclesiastiche de’ suoi reami, e il vescovo eletto di Salerno, legato apostolico da maneggiar censure e perdoni234; ma questa fiata men prodigo fu di danari. Smorzava ciò lo zelo di Giacomo, ch’era cominciato a pentirsi, e tornò ciò non ostante a Napoli in fin di maggio235, perchè l’anno innanzi,
223
Diploma del 8 gennaio 1299 (per errore 1297 col computo dell’anno dal 25 marzo), pubblicato dal Testa, Vita di Federigo II, docum. 9.
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Parmi che tornino a questo concetto le parole di Speciale:
Oltre a questo, il governo angioino, per diploma dato lo stesso dì, gli concedea l’aspettativa di altre terre e feudi, del valore d’once cento annuali. Ibid., fog. 158.
Mostra ancora la importanza del Barresi, che fu seguito da un suo fratello per nome Fulcone, un altro documento. A costui Giacomo re d’Aragona die’ in feudo in Sicilia a dì 13 settembre 1298, con diploma dato di Milazzo, pe’ suoi continui e rilevanti servigi a pro della Chiesa, il castello e casal di Chila tra Mineo e Caltagirone, con mero e misto impero. Raffermò questa concessione Roberto a dì 10 settembre 1299 da Aidone; e Carlo II da Napoli a 16 febbraio 1300. Nel r. archivio di Napoli, reg. 1299–1300, C; e ne’ Mss. della Bibl. com. di Palermo, Q. q. G. 2, fog. 88.
Il di Gregorio, nella Bibl. arag., tom. II, pag. 520, pubblicò un diploma di Federigo, pel quale furon conceduti a Blasco Alagona il castello e la terra di Naso, posseduti una volta da Giovanni e Matteo Barresi traditori. Questo documento porta la data di Palermo a 26 gennaio decima Ind. anno dell’Incarnazione 1297, e 2o del regno di Federigo; ma io credo errata manifestamente questa data, perchè la decima Ind. cadde bene di gennaio 1297 nell’anno comune, ma nell’anno dell’Incarnazione rispondeva al gennaio 1296. Indipendentemente da tal errore, si può corregger senza alcun dubbio duodecima ind. gennaio dell’anno dell’Incarnazione 1298, ossia gennaio 1299 dell’anno comune, perchè Barresi si ribellò da Federigo al passaggio primo di Giacomo, cioè tra agosto 1298 e la primavera del 1299 dell’anno comune. Il riferisce Speciale, diligentissimo nel descrivere questi tempi di Federigo, ne’ quali ei visse ed ebbe alto stato.
225
Nic. Speciale, lib. 4, cap. 6 e 7.
226
Nic. Speciale, lib. 4, cap. 7 e 8.
Tolomeo da Lucca, Ann. in Muratori, R. I. S., tom. XI, pag. 1303. Anon. chron. sic., cap. 60, che porta un po’ diverso il numero delle galee.
Non mi è riuscito di trovare una interpretazione plausibile di questo soprannome di Garsagnini o Garfagnini, con ch’eran proverbiati que’ prigioni catalani. Gli scrittori contemporanei non ne danno la origine; non si trova nella nostra lingua parlata; il Du Cange, nel glossario, la nota senz’altra spiegazione, che d’essere stata adoperata come ingiuria nel caso particolare narrato di sopra. Il Testa, leggendola garsagnini, spiega per
Non credo che questo soprannome potè trarsi in alcun modo dai Garfagnini, abitatori della Garfagnana nello stato di Modena.
227
Nel r. archivio di Napoli, reg. seg. 1271, sì legge un diploma del 12 gennaio decimaquarta Ind. (1278), col quale è conceduta a Guglielmo de Mosterio la terra di Grattieri, posseduta già dal conte Arrigo Ventimiglia, traditore, dicea re Carlo.
228
Nic. Speciale, lib. 4, cap. 9.
229
Speciale dice 18,000 uomini perduti; ma sembran troppi.
230
Si vede dal citato diploma del 23 giugno 1299, Testa, docum. 16.
231
Nello stesso diploma e in un altro della stessa data del 23 giugno, citato nel seguito di questo capitolo, si fa menzione di Pietro Cornel, nominato da Speciale in questo luogo.
232
Nic. Speciale, lib. 4, cap. 10 e 11.
Anon. chron. sic., cap. 60 e 61.
Per la infermità di Giacomo in Napoli e il figliuolo quivi partoritogli da Bianca, veg. Surita, Annali d’Aragona, lib. 5, cap 37 e 38.
La data del ritorno di Giacomo in Napoli dopo questa prima impresa di Sicilia, si conferma per un diploma dato di Napoli a 5 marzo duodecima Ind. (1299), nel quale, dicendosi abbisognar molto frumento
Tra le terre ch’eran rimase a’ nemici in Sicilia fu anche Novara, e tenne per Loria, come si ricava da un diploma del 1 luglio 1299, dato in quella terra col titolo di re Giacomo d’Aragona…
Dal monastero Cisterciense di Santa–Maria di Novara. Tra’ Mss. della Bibl. com. di Palermo, Q. q. G. 1, fog. 178.
Quanto a’ soccorsi di Napoli alle castella che teneansi nelle costiere settentrionali di Sicilia, dà validissimo argomento a supporli un diploma del 1 aprile tredicesima Ind. 1299, col quale è ordinato di mandarsi ad
233
Raynald, Ann. ecc., 1298, §. 17, breve al patriarca d’Armenia, 26 ottobre anno 4.
234
Ibid. 1299, §§. 1 e 2, brevi dell’8 e 9 giugno.
235
Surita, Ann. d’Aragona, lib. 5, cap. 87, 88.