La guerra del Vespro Siciliano vol. 2. Amari Michele
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Tra questi e quanti altri o sudditi o principi furon grandi ne’ fatti nostri di quel tempo, sospinti da ambizione a vizi non senza glorie, spicca per una candidissima fama la regina Costanza, avvenente della persona203, bellissima d’animo, per le care virtù di donna, e madre, e credente nel vangelo. La fine di Manfredi avvelenò il fior degli anni suoi; poi, se vide punito lo sterminator del sangue svevo e libera la Sicilia, ebbe a tremare ad ogni istante pe’ suoi più cari; pianger la morte di due figliuoli, la nimistà degli altri due; nè troppo la poteano far lieta le nozze della figlia nell’abborrita casa d’Angiò. Nacque e fu educata in Palermo204: tornata in Sicilia per sì strane vicende, la governò dolcemente dopo la partenza di Pietro; dettò alcuna legge che infino a noi non è pervenuta; fu amorevole coi sudditi, fino con la insopportabile Macalda. Non ebbe ambizione, lasciando prima a Pietro, poi a’ figliuoli, la corona di Sicilia, ch’era sua per dritto di sangue: nè tal moderazione nacque da pochezza d’animo in costei, che ben seppe in pericolosissimi tempi provvedere alla difesa della Sicilia; e due fiate con assai destrezza salvar Federigo dalla fazione nimica a’ siciliani interessi. Quetata la coscienza con la benedizione papale; posate poco appresso le tempeste di Sicilia, l’anno medesimo milletrecentodue finì i suoi giorni in Barcellona, ove attendeva a fabbricar munisteri e ad altre opere che nella vecchiezza le suggeriva cristiana pietà. Ma in tutto il corso di questa virtuosa e infelice vita, forse non soffrì maggiore strazio, che nel tempo di cui sospendemmo per poco il racconto; vedendo allora, senza alcun chiaro di speranza, l’un contro l’altro armati Giacomo e Federigo205.
CAPITOLO XVI
Ribellione de’ feudi dell’ammiraglio in Sicilia. È spenta, ed egli sconfitto da’ nostri sotto Catanzaro. Preparamenti di Giacomo e di Federigo. Il primo sbarca sulla costiera settentrionale dell’isola; passa ad assediar Siracusa. Fatti della guerra guerriata che s’accende in Sicilia. Giovan Loria vinto e preso nello stretto di Messina; sciolto l’assedio di Siracusa; e Giacomo torna in Napoli e in Catalogna. Nuovo passaggio di lui in Sicilia. Parlamento di Messina. L’armata siciliana debellata dalla catalana a capo d’Orlando. Estate del 1297–4 luglio 1299.
Incominciò Loria il servigio del novello signore, con ritentar tradimento all’antico; arrischiatosi a venire in Sicilia con un sol velocissimo naviglio; non però tramando sì cauto, che Federigo non n’avesse spia: il quale, come era ardente di vendetta contro l’ammiraglio, fe’ armar navi che l’appostassero alle isole Eolie. Scampò Ruggiero per navigar guardingo, e darsi a una rapida fuga come scoprì i nostri, che non seppero o non vollero raggiugner l’antico lor capitano; ma tal contrattempo pur bastò a rompere tutti i disegni. Perchè risaputosi, Giovanni Loria nipote dell’ammiraglio e cresciuto da lui come figliuolo, ancorchè carissimo a Federigo, lasciava improvviso la corte, per levar l’insegna della guerra in Castiglione; tentava Randazzo indarno, armandosi il popolo contro i suoi partigiani206; poneva a sacco ed a guasto il vicin villaggio di Mascali; ma non potè altrimenti offendere il re e il paese senza la persona di Ruggiero. Federigo senza dimora il bandisce nimico pubblico; strigne d’assedio le fortezze feudali dell’ammiraglio; ponendosi ei medesimo a campo a Castiglione, importantissima tra tutte per esservisi chiusi con Giovanni Loria, Guglielmo Paletta quel valoroso del ponte di Brindisi, Tommaso di Lentini207, e molti altri guerrieri di nome, congiunti o clienti dell’ammiraglio. Indi con assai sangue, ma non lungamente, si travagliò quest’assedio nella state dei novantasette; finchè oppugnato da tre bande il castello, crollato da’ tiri delle macchine, fuor di speranza d’aiuto di là da’ mari, Giovanni s’arrendè, salve persone ed averi, e passò in Calabria con Ilaria moglie sua, figliuola del conte Manfredi Muletta, Ruggier Loria figliuol dell’ammiraglio, e tutta lor amistà. Francavilla s’era già data a’ Messinesi, venuti a osteggiarla. Il castel d’Aci, foltissimo sur una roccia che bagnasi in mare, tenne contro gli assalti de’ Catanesi. Ma venutovi Federigo dopo la resa di Castiglione, fece costruir una torre di legname, alta a pareggio delle mura, mobile su ruote interne, congegnata con un sottil ponte che s’addimandava cicogna, la quale approcciata a una picciola gittata di mano, fe’ tosto calare il presidio ad arrendersi. E così fu spenta in Sicilia la ribellione dell’ammiraglio208.
Nello stesso tempo la fortuna peggio l’umiliava in Calabria. Con un grosso di cavalli di re Carlo209 si pose egli a sfogare il fresco dispetto, sugli acquisti nostri di quelle province, mescolando pratiche e forza210; che fin tirò Blasco Alagona a un abboccamento, per tentarlo, o metterlo in sospetto di Federigo; ma riuscì solo a questo intento. Il dubbioso principe chiamava Blasco in Sicilia: e Loria colsene il tempo a ribellar la città di Catanzaro, e patteggiar col castello che si desse a capo a trenta dì, se non fosse soccorso. Nè a ciò Federigo, impacciato in quegli assedi in Sicilia, ben potè riparare. Rimandò in fretta in Calabria il generoso Blasco e con esso Calcerando e Montecateno; ma la più parte dei feudatari non fu pronta a partirsi dalla Sicilia, per anco non queta; talchè il termine strignea, nè v’avea de’ nostri meglio che dugento cavalli, raccolti a Squillaci, mentre Loria con quattrocento minaccioso aspettavali. Era la notte anzi il trentesimo dì, e Blasco, fitto in questi pensieri, sforzavasi indarno a rifocillarsi con un po’ di sonno, quando un de’ suoi scorridori affannoso viene a dirgli, esser testè giunto al campo nimico Goffredo di Mili con trecento cavalli. Saltò Blasco dal letto; l’afferrò pel braccio, e «Taci, gli disse, o morrai; niuno de’ nostri nol sappia:» e il cresciuto pericolo dileguò nel suo grand’animo ogni dubbio al combattere. Innanzi dì, consultatone con gli altri due capitani, fa cibar le genti; muove da Squillaci su Catanzaro. Giunsero a vespro, in un vicin rispianato tra letti di torrenti, che s’addomandava Sicopotamo, e trovaron Loria uscente a battaglia.
Settecento cavalli avea, con ventiquattro bandiere di signori, ordinati in tre linee: e comandava egli il primo squadrone, l’altro Reforziato cavalier provenzale, l’ultimo Goffredo di Mili. De’ siciliani uomini d’arme, partitisi ventiquattro anzi il combattimento, restaron centosettantasei, che Blasco, per la pochezza del numero, strinse in una sola schiera, toltone un drappelletto che pose all’antiguardo con Martino Oletta: e della battaglia ei comandò il centro, la destra Calcerando, Montecateno la manca; i lati assicurò con almugaveri e gente dell’armata, sparsi sulle ripe di due torrenti. In tal postura aspettavan lo scontro.
Dall’alto al basso caricò l’ammiraglio con la prima banda; nè pur fe’ tanto, che rompesse il nostro antiguardo: onde, perduta la foga, da paro a paro cominciò a combattere, e impedì Reforziato, che seguiva a corsa con l’altra schiera credendo compier la vittoria. Si distende Reforziato dunque su i fianchi dell’oste siciliana; donde i fanti a furia di dardi e sassi il ributtavano con molta strage. Ma Goffredo di Mili, movendo con la terza schiera, perplesso per l’inaspettata resistenza, postosi a canto a Ruggiero, per la strettezza del luogo, o non l’aiutò, o l’impacciò, mentr’ei si travagliava duramente con Blasco: ambo ostinati, l’uno, dice Speciale, per uso alla vittoria e fidanza nel numero; l’altro per vedere i suoi sì feroci e serrati, e non aver giammai voltato faccia in battaglia. Ruggiero, ferito al braccio, mortogli sotto il cavallo, sparve un istante in mezzo la mischia; la sua bandiera, assalita da un nodo di uomini fortissimi, balenò; l’alfier che la reggea, ferito in volto, non vedendo più il signor suo, die’ le spalle alla zuffa. Allor Blasco con terribil voce incalza, gridando: «Avanti, cavalieri, or che cede il mico:» e i Siciliani, nel decisivo momento fatti maggiori che uomini, aprono gli squadroni nimici, li squarciano e sparpagliano. Di qui «Alagona» gridan essi, di lì «Aragona» le genti dell’ammiraglio, sperando invano l’usata vittoria in quel grido; e or nocque, perchè Goffredo Mili, nell’agitazione e rovinio del conflitto, credendo sentirsi gridar Alagona a’ fianchi, come circondato e perduto, fuggì, traendo con sè le altre schiere; e fece compiuta la disfatta.
202
Ricordinsi i documenti che ho notato nel cap. precedente a mostrare il tradimento di Giovanni di Procida alla Sicilia.
203
204
Veg. le autorità allegate dallo Inveges, Palermo Nobile, parte 3. Anni 1260–61–62.
205
In gran parte ho tolto queste riflessioni su la regina Costanza, da Speciale, lib. 3, cap. 20, 21.
Nelle costìt. di Federigo II (capitoli del regno di Sicilia), si confermano tra gli altri privilegi quei della regina Costanza:
Per la morte della regina Costanza veggasi il Montaner, cap. 185.
206
Federigo rimeritò la lealtà di Randazzo con alcune franchige nelle dogane di terra e di mare, per diploma del 15 giugno 1299, pubblicato dal Testa, op. cit., docum. 17.
207
La fellonia di Tommaso di Lentini è confermata da un diploma del 18 febbraio 1299, col quale Federigo die’ in feudo a Bartolomeo Tagliavia la terra di Castelvetrano, posseduta da quello. Nei Mss. della Bibl. com. di Palermo, Q. q. G. 3.
208
Nic. Speciale, lib. 3, cap. 22.
Anon. chron. sic., cap. 57.
La presenza di Federigo all’assedio di Castiglione, si attesta da un diploma del 27 agosto 1297, dato nel campo sotto Castiglione, pubblicato dal Testa, Vita di Federigo, docum. 11. La dedizione del castel di Aci è da porsi nel mese di novembre 1297, perchè non tardò guari dopo quella di Castiglione ma infino al 18 novembre sapeasi in Napoli che tenesse pur quel castello; come si scorge da un diploma pubblicato dal Testa, ibid., docum. 14.
209
Sembra che questa guerra di Calabria, di che parla Speciale, sia stata la cagion della chiamata al militar servigio in tutto il reame di Puglia, della quale ci restan moltissimi diplomi dati a 19 aprile, 7, 22, 23, 25, 27 e 30 maggio, 2, 11, 17, 18, 20, 22 giugno 1297, nell’Elenco delle pergamene del r. archivio di Napoli, tom. II, pag. 179 a 188. Ivi si legge a pag. 180 un altro diploma del 4 maggio, che accorda once 10 a un Giovanni
210
Conferma questo attestato dello Speciale un diploma del 29 aprile 1297, col quale Roberto vicario generale dava a Riccardo de Avenis alcune terre in Calabria,