La famiglia Bonifazio; racconto. Caccianiga Antonio

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La famiglia Bonifazio; racconto - Caccianiga Antonio

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mercato, e invitavano i passanti a non lasciarsi sfuggire la bella occasione; chi cantava e chi urlava i nomi degli oggetti messi in vendita, chi alzava in aria i campioni, chi metteva il cesto sotto il naso dei passanti. E una folla allegra e ciarlona di curiosi e di acquirenti andava e veniva per la via fra quella babilonia di gente e di prodotti di tutti i colori e di tutti gli odori. Quando fu vicina l'ora fissata dal padrone, Mosè dovette allontanarsi da quel bizzarro e rumoroso spettacolo, e si avviò verso la piazza.

      Percorrendo le Mercerie si trovò fra gente affatto diversa, che camminava in fretta, colla testa bassa, verso un altro spettacolo.

      Sotto l'arco dell'orologio si stentava a passare, tutti andavano verso la piazzetta dove sorgeva la berlina, un palco alto, con una colonna tronca nel centro intorno alla quale girava una panca. Una folla immensa si stipava al sole in mezzo ai magnifici edifizi, davanti lo specchio della laguna. Tutta la guarnigione austriaca era sotto le armi, non si vedevano che teste e baionette.

      Comparvero fra gli sbirri, alcuni Italiani ammanettati, salirono sul palco, e rivolti verso il palazzo dei Dogi si udirono condannare a morte, e al carcere duro per aver osato sognare l'indipendenza della patria dallo straniero; e questa sentenza veniva letta da un curiale austriaco da quel palazzo, in quella piazza eretti da un popolo libero, ove tutto attestava quattordici secoli di indipendenza, contro un dominio usurpato da circa nove anni senza l'assenso dei veri padroni.

      Il terrore dominava quella folla, che assisteva in silenzio all'orribile spettacolo. Alle parole «condannati a morte» un fremito di sorpresa, di pietà, di sdegno sorse dalla folla, ma subito dopo ritornò il silenzio della paura.

      Mosè non potendo trovare il padrone in quella calca ritornò all'albergo, e quando vide il capitano gli andò incontro con aria misteriosa e gli domandò:

      – Ha veduto sulla berlina quel signore magrolino cogli occhiali che è venuto a farle visita una sera d'autunno, or son quasi due anni?!

      – Non dirlo nemmeno all'aria, se un giorno non vuoi vedermi al suo posto. Tutti quei condannati sono veri galantuomini, vittime d'una imprudenza. Volevano fare il bene, ma non sapevano farlo colla finezza indispensabile nella lotta del diritto inerme contro la forza armata.

      Mosè restò sbalordito, e pensava agli ordini ricevuti dal padrone poco dopo la visita di quel signore: il cancello del parco sempre chiuso, il cancello del brolo sempre aperto! e cominciava a capire qualche cosa, ma il capitano poteva essere sicuro che il segreto delicato starebbe sepolto per sempre in fondo al cuore dell'onesto e fedele domestico.

      Abortite le rivoluzioni di Napoli e del Piemonte e terminato l'infame processo dei Carbonari colle barbare condanne, il paese, seminato di spie, scoraggiato per le prove fallite, parve immerso in un silenzio di morte. I vecchi patriotti rimasero prostrati, scoraggiati di tentare nuove imprese; i giovani si gettarono negli stravizi, nella vita molle effeminata, che il governo straniero incoraggiava in molte maniere per facilitarsi il dominio d'uomini fiacchi e di anime corrotte.

      Quella fu l'epoca fortunata dei teatri, delle ballerine e delle mime, dei veglioni mascherati, dei carnevali rumorosi, degli intrighi galanti, della vita allegra e spensierata.

      Duravano tuttavia le proteste contro il dominio straniero, ma si limitavano a maledire o beffare il governo, eludere le leggi, burlarsi della dabbenaggine di qualche Tedesco, degli spropositi italiani dei Croati, a canzonare la ingenua semplicità d'un soldato, a guardare in aria sprezzante gli ufficiali dell'esercito austriaco.

      Poi sorsero nuove sétte, ma coi capi cospiratori viventi all'estero, pieni d'illusioni sulle condizioni locali del paese, con forze immaginarie, e con tentativi arrischiati che esponevano le vite dei cittadini, moltiplicando le piccole sollevazioni impotenti, e producendo nuove vittime.

      Che cosa potevano fare i prodi soldati degli eserciti napoleonici lasciati in disparte? i patriotti intelligenti rimasti senza patria? Crearsi una famiglia, educarla coi sani principii della giustizia, vivere ritirati, apparecchiare i figli per l'avvenire, attendere e sperare.

      E così fece il capitano Bonifazio.

      Andò in Brianza a sposare la sua Maddalena. Le nozze ebbero luogo in primavera del 1822, con semplicità patriarcale, senza feste, senza chiassi, e senza sonetti, come conveniva in tempi tristi, dopo dolorosi avvenimenti.

      La sposa che aveva sempre vissuto in campagna si trovò benissimo nella sua nuova dimora nei dintorni di Treviso. La casa era più grande, il possesso più esteso e più ricco; l'aspetto della pianura era meno pittoresco delle colline di Brianza, ma l'orizzonte più ampio ed aperto, la campagna bagnata da acque correnti, e l'aria pura ed elastica che viene dalle Alpi e passa per l'immenso letto del Piave apporta la salute, esilara lo spirito, ed eccita l'appetito.

      Il capitano riprese i suoi lavori agricoli e di giardinaggio, la Maddalena assistita da Mosè e da una fantesca, ordinò la casa; e così ebbe origine la nuova famiglia Bonifazio, della quale abbiamo raccolto la semplice istoria in queste povere pagine.

      IV

      Talvolta i filosofi hanno il torto di ritenere troppo assolute le loro teorie, se si contentassero di limitarle al circolo ristretto della loro visualità, avrebbero perfettamente ragione.

      Per esempio: se il maestro Zecchini avesse proclamato, che l'uomo è un asino, senza uscire dalla sua scuola, nessuna autorità competente avrebbe trovato un argomento valido per confutarlo: e forse nemmeno lo stesso maestro avrebbe presentata un'eccezione.

      E infatti, studiando sè stesso, egli aveva sovente l'occasione di confermarsi nel suo principio.

      Appena ritornato dalla Brianza, il capitano Bonifazio invitò a pranzo il maestro Zecchini per presentarlo alla sposa, come amico e vicino di casa. Il maestro rimase colpito dalla bellezza lombarda della signora Maddalena, e per esprimere la sua ammirazione in modo che gli pareva molto appropriato, cominciò a raccontare a tutti i suoi amici e conoscenti che la sposa del capitano aveva due occhi da carbonara. E questa fu vera imprudenza, in un tempo, nel quale gli stessi mercanti di carbone non avrebbero osato chiamarsi col loro nome.

      Guai se il capitano lo avesse udito! ma il maestro contemplando quegli occhi bruciava in silenzio, nascondeva le brace sotto la cenere, e pensando al carattere vivace dell'amico celibe, aveva doppia paura dell'amico ammogliato quantunque costui avesse dei pensieri molto più gravi di quello di sospettare del maestro Zecchini.

      Malgrado tutte le precauzioni passibili, il primo tempo di quel matrimonio non poteva essere tranquillo e sereno, come sogliono essere tutte le lune di miele. A certe suonate di campanello il capitano lasciava trasparire un'involontaria apprensione, come al tempo degli arresti, a certi rumori notturni egli si alzava dal letto e andava a spiare attraverso le gelosie. La giovane sposa indovinava la causa di quelle inquietudini, e ne divideva le ansietà.

      Tale condizione di cose rendeva il capitano più bisbetico del solito, e avendo ripreso le partite serali delle carte, ad ogni errore commesso il maestro andava soggetto a dei rabuffi che lo intimidivano; la buona signora si studiava di consolarlo dei modi bruschi del marito con indulgenti sorrisi, e sguardi incoraggianti, e l'asino bruciava.

      Dopo qualche tempo la partita di terziglio fu abbandonata pel tresette. Il maestro pregato dal capitano aveva trovato un quarto giuocatore; certo Giacomo Pigna, fittaiuolo del paese, un po' rozzo, ma galantuomo, laborioso ed allegro, e gran bevitore. Egli capitava ogni sera fedelmente, anche attraverso la neve e le bufere, per fare la solita partita. Gettava il suo tabarro e il cappellaccio a cencio sopra una seggiola dell'anticamera, ed entrava intrepidamente nel salotto coi capelli sulla fronte, l'occhio brillante, il naso violetto, i zigomi accesi, un buon sorriso sulla bocca, il ventre proeminente, e gli stivali sopra i calzoni. Il capitano gli dava la mano, che egli non osava stringere che debolmente, per riguardosa modestia.

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