La plebe, parte II. Bersezio Vittorio

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La plebe, parte II - Bersezio Vittorio

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suo uscio; mio marito s'è inciampato e…

      – Ecco! Interrompeva l'ubbriaco. Mi sono inciampato. Non è già ch'io non istia ritto sulle mie gambe… Tutt'altro! Sfido qualunque, io!.. Sono un miserabile… sì, va bene… ma non sono punto ubbriaco… Dunque se ho risicato di rompermi la cassa de' corni contro i chiovoni di ferro di quel maledetto uscio lì, non l'ho fatto apposta… Sono un miserabile, è vero, ma non l'ho fatto apposta… Ecco!

      – Apposta o non apposta: interruppe bruscamente Nariccia; a me poco importa. Del resto opportunamente mi venite innanzi, chè ho da parlarvi, e giusto pochi momenti sono mi son preso l'incomodo di salire fino alla vostra soffitta. E ciò che ho da dirvi, è detto in due parole. Voi mi dovete sei mesi d'affitto: o pagatemeli domani, o doman sera dormirete in altra casa e non più certo nella mia.

      Andrea e Paolina rimasero sbalorditi.

      – Gesummaria! Esclamò la donna stringendo le mani e levandole supplichevolmente verso il padrone di casa. Oh buon signore, abbia compassione di noi!..

      Ma Nariccia fulminando d'uno sguardo velenoso la povera donna col destro de' suoi occhi birci, mentre col sinistro saettava l'oscurità del vuoto della scala, interruppe fieramente:

      – Io non sono un buon signore, io! Sono un ladro, un avaro, una sanguisuga dell'onesta gente. L'avete gridato voi…

      – Signore…

      – L'ha gridato vostro marito.

      – S'accerti…

      – Niente. Non voglio sentir più nulla, non voglio dir più niente. Avete udita la mia volontà. Basta!

      E richiuse con fragore l'uscio ferrato, dietro il quale si sentì il rumore dei chiavistelli ch'egli tirava e dei catenacci che faceva andare a posto.

      – Ah cane d'un cane peggiore d'ogni cane: si diede ad urlare Andrea scaraventando con tutta la sua forza dei pugni contro le imposte dell'uscio, saldo come macigno. Gli è così che si tratta la povera gente? Sulla strada e' ci vuol mettere… Accidenti! Sulla strada i miei figli… Sciagurato! Che sì che se ti prendo per quel cravattino bianco… forca e tenaglie!.. ti faccio schizzar fuori quegli occhi guerci…

      La moglie lo pregava a tacere, a venir via di lì, lo tirava con tutta la sua forza, gli tappava colla sua mano la bocca; ma l'ubbriaco resistendo, aggrappandosi al muro, puntando i piedi al suolo seguitava pur tuttavia a gridare colla voce rauca, avvinazzata, di cose parecchie.

      – Sono un miserabile io, sì, è giusto… Ma mia moglie, giuraddio!.. ma i miei figli, sacramento!.. Cacciarmeli sulla strada? Oh no, oh no, oh no!

      E giù nuovi pugni contro l'uscio e nuove imprecazioni contro il padron di casa.

      La moglie riuscì pur finalmente a levarlo di lì; e contrastando, inciampando, borbottando, Andrea pervenne alla fine sin nella soffitta abitata dalla miserissima famiglia. Là dentro regnavano un'oscurità non rotta che dal riflesso bianco della neve sui tetti vicini ed un silenzio che pareva di tomba. I bambini, dopo aver aspettato, dopo aver pianto, dopo aver chiamato invano durante l'assenza prolungatasi della madre, avevano ceduto alla debolezza della età e del digiuno, e s'erano addormentati. L'occhio di Paolina, esercitato a quella tenebrìa, li vide, appena fu essa entrata, giacere tutti quattro sul loro strammazzo, l'uno accosto all'altro, come raccolti in un gomitolo, scaldandosi a vicenda e sorreggendosi, le piccole testine reclinate come fiori appassiti, le gambe ripiegate, immobili come tanti piccoli cadaveri.

      La povera madre trasse un sospiro e benedisse in cuor suo la pietà del Signore; dormendo, i bambini almanco non sentivano più il tormento della fame. Oh! avessero potuto dormir così tutta notte, fino a che il domani ella fosse riuscita a procacciarsi un po' di pane per essi! Come avrebb'ella ottenuto codesto? Non lo sapeva, ma confidava nella Madonna, confidava nell'efficacia di quelle preghiere in cui avrebbe consumata tutta la notte.

      Ma sperare che i bambini potessero non venir desti era un fare i conti senza l'oste, o per dir meglio senza l'ubbriaco.

      Andrea, sempre barcollante, cominciò per urtar malamente in un zoppo trespolino che trovavasi fra i pochissimi e poverissimi mobili ond'era composta la masserizia di quella soffitta, e quindi giù una filza di bestemmie a sfogo del suo dispetto.

      – Accendi il lume, Paolina, gridava il marito: oh che io ho da camminare allo scuro come i gatti?

      – Il lume? Rispose la donna con doloroso accento, pure ammorzando il suon della voce. Non ce no ho di lume.

      – Che? Non ce ne hai?

      – No, nè olio, nè candela.

      – Vanne a prendere.

      Paolina mandò un sospiro che somigliava ad un gemito.

      – Se avessi qualche denaro avrei comprato del pane pei nostri figli che dormono digiuni da questa mattina.

      L'ubbriaco portò le mani con atto macchinale alle tasche del panciotto, che sapeva vuote pur troppo.

      – E non ho manco un soldo da darti! Si mise a gridare, cacciando un pugno a quel trespolo contro cui aveva urtato, ed al quale ora sorreggevasi. Oh! sono un miserabile!..

      – Taci, taci: disse la donna: non isvegliare almanco i bambini…

      Ma il male era già fatto. I figliuoli al rumore avevano aperto gli occhi, ed a quell'incerto barlume vedendo le ombre di due persone, sollevandosi sul misero giaciglio, intirizziti dal freddo, si posero a dire tutti insieme colla voce piagnolosa:

      – Sei tu, babbo, sei tu, mamma? Ci avete portato da mangiare?

      – Ho fame, ho tanta fame.

      – Mamma, mamma, sono tutto ingranchito… Ho male… ho fame…

      E il più piccino, senza formar parola, ricorse tosto al più eloquente linguaggio del pianto, nel quale tosto tosto gli tennero bordone anco gli altri.

      Paolina fu presso di loro sollecita, carezzevole, amorosa ad acchetarli, a dir loro fra i baci tante ragioni per cui dovessero aver pazienza e dormire tranquilli per allora e che era troppo tardi in quel momento per trovar da comprar cibo, e che al domattina avrebbero avuto di sicuro pane e companatico e tante tante leccornie. Ma sì! ventre affamato non ha punto orecchi, dicono i Francesi, e i bambini seguitavano a domandare, piangere e strillare della più bella.

      Andrea piantato a mezzo la soffitta si dava sempre più del miserabile a piena bocca e dei pugni nella testa a piene mani.

      La povera madre, mercè le buone parole e le carezze, la stanchezza loro aiutando, riuscì pur finalmente a far azzittire i bimbi che ricaddero in un sonno di abbattimento da chiamarsi quasi torpore; allora essa li ricopri il meglio che le venne fatto con tutti quei pochi panni che rimanevano alla loro miseria, affinchè sentissero meno il freddo di quella notte invernale, e si rivolse ad acchetare eziandio il marito che continuava a strapazzarsi coi più fieri oltraggi.

      – Andrea, gli disse, a qual punto siamo ridotti tu il vedi…

      – Non parlarmi, non dirmi nulla, interruppe egli in cui sotto l'emozione l'ebrietà andava alquanto dileguandosi. Tu non puoi movermi rampogna che io non me ne faccia di peggiori.

      – Nè io te ne farò pure alcuna. Te l'ho detto che non avrei pronunziato un rimprovero… Non è questo che ti voglio dire. Voglio anzi che tu stesso ti calmi e prenda riposo perchè ne abbisogni, e domani,

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