La plebe, parte III. Bersezio Vittorio

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La plebe, parte III - Bersezio Vittorio

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presente e non si smentiva mai il libertino seduttore, quell'appassionata smania di turbare nuovi cuori, di possedere nuove beltà, cui vieppiù solletica la pura innocenza, quell'empia curiosità sensuale mai saziata, onde la poesia e la tradizione hanno formato il tipo di Don Giovanni. L'ingenuo candore, la grazia ancora quasi infantile, la non regolare ma piacevole, ma freschissima leggiadria della sorella di Francesco, avevano piaciuto, come dice il poeta, agli occhi suoi, e nella sua anima corrotta suscitato un desìo, cui lo sciagurato era avvezzo a volere in ogni modo soddisfatto. Gli suonavano ancora all'orecchio dolcissime le parole con cui la giovinetta, tutto commossa, gli aveva promesso una eterna gratitudine, s'egli riuscisse a salvare il suo diletto fratello; aveva impresso nell'animo il mite sguardo supplichevole, onde quelle parole erano state accompagnate; voleva sentirsi rivolgere con quella voce soave la ricompensa d'un ringraziamento, con quegli occhi tanto espressivi, il premio d'uno sguardo benigno.

      E così fu. Coll'annunzio del prossimo ritorno di Francesco nelle pareti famigliari, Quercia venne accolto da tutta quella desolata famiglia così festevolmente ed amorevolmente che nulla più. La madre pianse di gioia e lo benedisse; Giacomo colle sue maniere brusche e decise lo abbracciò profferendo tutto se stesso e l'aver suo in servizio di quel messaggere di lieta ventura; Maria gli strinse la mano, disse poche parole accompagnate da un caro rossore, ma espresse tante cose, e più ancora di quello che la si pensasse, col suo sguardo amorevole, brillante, umido di lagrime.

      Tosto dopo sopraggiunse il domestico di Virginia col biglietto di lei; ma l'effetto da Gian-Luigi voluto e meditato era già tutto ottenuto. Questo fatal giovane fu ammirevole di grazia, di cortesia, di aggradevolezza. Alla giovane immaginativa di Maria apparve di molto superiore per ogni verso a quanti altri giovani ella avesse ancora visto mai. La sua bellezza, il suo brioso ingegno, le grazie de' suoi modi, della sua voce, de' suoi animati discorsi, non potevano a meno che fare una viva impressione nel cuore di una ragazza di molta sensibilità, giunta a quella fase appunto della vita in cui, come i fiori nella primavera, sboccia nell'animo il bisogno di amore. Voleva piacere e piacque. Padre e madre ne furono incantati; ne rimase rapita la ragazza. Ad un punto egli seppe insinuare destramente come avvenissero nelle relazioni sociali certi fatti che di presente stringevano in amichevole attinenza due individui, due famiglie, che prima od appena si conoscevano o niente affatto. Di questo genere parevagli essere l'avvenimento che quel dì l'aveva posto a contatto con quella casa. Di Francesco prima d'allora era stato appena se conoscente; affermava adesso parergli d'essere amico da tempo; coi parenti di esso non aveva avuto mai la menoma relazione: gli era con vera commozione d'affetto che ora si rallegrava d'aver potuto giovare in alcun modo a sollevarne il dolore, di partecipare alla gioia ch'essi provavano, come aveva partecipato al cordoglio di prima.

      Il padre di Francesco ne prese occasione per esclamare che da quel momento essi avrebbero ritenuto il loro generoso protettore, il zelante loro amico poco meno che se fosse della famiglia; e lo scellerato, interrompendo vivamente ed accompagnando le parole d'uno sguardo che fece arrossare la giovinetta, uscì a dire:

      – E così imploro che sia veramente; e volesse la mia buona fortuna che io potessi davvero appartenere a questa egregia famiglia, che stimo ed amo sopra ogni altra mai.

      Erano accorte parole codeste che, indirettamente e senza comprometterlo il meno del mondo, lo ponevano frattanto appetto a quelle brave e leali persone come aspirante ad imparentarsi con loro, come pretendente alla mano di Maria. Ciò aveva due effetti, ed era ciò appunto a cui intendeva: gli dava tosto una maggior libertà verso tutti, e specialmente con Maria, una domestichezza di cui egli faceva conto di approfittarsi; inoltre atteggiandosi subito innanzi alla fantasia della pura e virtuosa giovanetta come aspirante di cui sapessero e cui aggradissero i genitori, sperava di meglio, era sicuro di entrare senza contrasto nell'animo di lei.

      Quando partì da quella casa il perfido Gian-Luigi recava seco la simpatia più accesa del padre e della madre di Maria, e di questa povera giovinetta la mente ed il cuore.

      Il Re frattanto aveva mandato a chiamare il conte Barranchi. L'altezzosa arroganza di costui divenne l'umile piacenteria d'un cortigiano innanzi all'ombra di severo malcontento che copriva la fronte sovrana, come una nube la cima dell'Olimpo.

      Carlo Alberto, per quelle sue informazioni particolari che ho detto, aveva saputo colle altre cose anche il modo barbaro ed indegno con cui era stato trattato dagli agenti di Polizia nell'essere arrestato il signor Giovanni Selva. Codesto gli aveva dispiaciuto moltissimo, tra perchè alla sua natura in fondo mite e generosa ripugnava la incivile prepotenza di quei mezzi in atti di cui per l'assolutismo del regime sino a lui saliva la risponsabilità; tra perchè già era egli finalmente un po' più inclinato, nel suo sino allora incerto oscillare, verso la parte della popolarità e del liberalismo monarchico.

      – Signor conte, aveva incominciato il Re, appena il Comandante della Polizia ebbe fatto un arco della sua schiena di generale: duolmi che l'evento d'oggi abbia da mostrare così tanto fallace la mia speranza che le ho manifestato ieri: cioè non avessi ad udir più richiami di sorta per eccessi della sua Polizia.

      Barranchi drizzò un momentino la spina dorsale e tentò sollevare uno sguardo all'altezza della faccia smorta del suo sovrano: ma vide che da quelle labbra non aveva finito di scendere a lui la manna amara delle parole di rimbrotto, e tornò a piegarsi sollecito in un arco più curvo di prima.

      – Per Torino oggi non si parla d'altro che dei maltrattamenti fatti subire a quel giovane avvocato Selva, ed è una indignazione universale. Così facendo non si fa rispettare il potere, gli si acquista odio. Dopo le ammonizioni che avevo già avuta la spiacevole occasione di farle altra volta a questo proposito, dopo le parole che le ho detto ieri sera stessa, non credevo di aver più da farle un simil rimprovero.

      Il conte, che non aveva già per natura e nelle circostanze ordinarie la parola molto facile, a quest'intimata, se la sentì mancare affatto come se la lingua gli si fosse annodata.

      – Maestà, balbettò egli. Sire… Maestà. Creda… Sire…

      Carlo Alberto ebbe pietà di tanta confusione; rispianò alquanto la sua fronte corrugata e soggiunse con accento di voce mitigato:

      – Capisco che simili eccessi sono da imputarsi agli agenti subalterni: ma Ella, caro conte, deve inculcare ben bene ai suoi subordinati che si guardino oramai dal cadere in tali errori che non voglio assolutamente si rinnovino più.

      Il nuovo tono del discorso e la parola caro che suonò al suo orecchio come una melodia fecero del generale dei Carabinieri reali quello che di Dante (se questo paragone è lecito) le parole di Virgilio, quando lo rianimi a imprendere il cammino per la valle dolorosa:

      «Come i fioretti dal notturno gelo

      Chinati e chiusi, poi che il sol li imbianca,

      Si drizzan tutti aperti in loro stelo;»

      così si ridrizzò la persona impettita del generale e si rasserenò la sua faccia raumiliata. Sulla sua anima risplendeva di nuovo a riscaldarla un raggio della grazia sovrana, il sole di quelle piante parassite da stufa di Corte.

      – Sì, Maestà, gli è il fatto degli agenti subalterni: potè egli dire allora con abbastanza di scioltezza nella loquela: e procurerò che codesto non abbia da succeder più.

      Carlo Alberto fece il suo pallido lieve sorriso e chinò leggermente il capo in segno d'approvazione.

      Questo più vivace raggio di sole abbacinò il povero conte; e non gli lasciò più discernere la vera strada: credette d'avere una idea felice e diede tosto in un inciampone.

      – Quantunque, aggiunse egli, tutto superbo della sua ispirazione, delle ciarle di quattro arfasatti di borghesi che si danno le arie di costituire l'opinione pubblica, non si ha poi da prendersi la menoma cura. V. M. non avrebbe che da desiderarlo, ed io prendo l'impegno di far tacere tutti quanti e di far disdire chi ha

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