La plebe, parte III. Bersezio Vittorio
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Читать онлайн книгу La plebe, parte III - Bersezio Vittorio страница 16
– Il mio interesse qui si congiungeva con quello del servizio. In quella casa, presso quella donna si reca tutti i giorni; e più volte ogni dì, il sedicente dottor Quercia.
Gli occhi gli balenarono di nuovo come e di più ancora che poc'anzi.
– Gli è di lui che mi do pensiero, continuò con accento più vivace e vibrato. Del Duca che cosa m'importa?.. Ah! gli è quell'uomo ch'io vorrei cogliere alla posta.
Il Commissario degnò finalmente permettere alle sue labbra grosse l'ombra d'un sorriso.
– Sempre quella vostra idea fissa!.. Si direbbe che quel signor Quercia ve ne abbia fatta qualcheduna di grossa.
– È un mistero che voglio penetrare: interruppe vivacemente Barnaba. Ebbene sì, l'odio quel cotale… Non mi domandi il perchè, sarebbe lungo lo spiegarlo… voglio rovinarlo… e lo rovinerò.
– Per intanto: disse colla sua grossolanità Tofi: siete voi che perdete la partita.
Barnaba si morse le labbra sino al sangue.
– Ah! non è persa ancora! esclamò egli con accento quasi feroce. Allontanarmi!.. Sì: Ella ha ragione… È lui che la vince s'io mi allontano. Certo egli che mi ha trovato a fronte questa mattina, ha indovinato, ha sentito da parte sua la lotta che v'è fra di noi… Che! crede Ella che il Duca abbia fatto attenzione il meno del mondo a me?.. La è quella donna che gli ha domandato come un favore io fossi scacciato da Torino… e ciò dietro suggerimento di Quercia. Ne sono sicuro come se avessi assistito ai loro segreti parlari.
Tacque un istante, si concentrò, poi con impeto di quasi selvaggio furore proruppe:
– Invano si lusingano avermi tratto fuor dei piedi nel loro cammino… Non partirò; ad ogni costo non partirò.
– Oh oh, Barnaba: disse il Commissario con meraviglia poco meno che corrucciata; vi ha dato di volta il cervello. L'ordine è preciso, converrà obbedire.
– E se mi vi rifiutassi? domandò l'agente subalterno con un'audacia che fece strabiliare il signor Tofi.
– Rifiutarvi! esclamò questi scandolezzato in sommo grado. Forse che pensate di poterlo fare? Oh quando mai la pialla ha detto alla mano che la spinge: io non voglio muovermi? Non lo sapete ancora che voi siete uno stromento, un infimo stromento nelle mani del Governo? S. E. ha detto: «quell'uomo andrà a Novara o lo si getterà sul lastrico.»
– Ebbene? che m'importa? disse Barnaba con cupa risoluzione: lascierò l'impiego, ma non mi strapperanno di qua… Debbo rimanerci… Vi sono attaccato per tutte le fibre del mio essere… Non posso a niun modo allontanarmi.
Il Commissario, con rozzo atto eppure quasi affettuoso, gli pose una mano sulla spalla e gli affondò entro gli occhi quel suo sguardo d'augel grifagno.
– Sciagurato! diss'egli. Nel nostro ufficio, che è il più grave e il più necessario per la conservazione sociale, uomo non deve aver più nè passioni, nè affetti, nè moventi che del suo còmpito non sieno. È una sacra milizia la nostra in cui più che in qualsiasi religione monacale bisogna rinunziare a tutte le gioie come a tutte le vanità del mondo. Infelice chi non soffoca il proprio cuore; violatore del proprio dovere chi non distrugge in sè quelle tendenze e quei moti dell'animo, il cui giuoco deve osservare in altrui e dei quali frenare il corso e antivenire gli eccessi… Voi partirete.
Barnaba scosse con risoluzione il capo.
– No: diss'egli fermamente: e se si persevera in questa risoluzione, la prego, signor Commissario, di considerarmi fin d'ora come congedato dal servizio.
Il signor Tofi ritirò la mano dalla spalla del suo subordinato ed incrociò le braccia al petto; un lampo di sdegno corse ne' suoi occhi affondati.
– Ah sì? esclamò egli. E va bene. Ma ammettendo un momento che io vi dèssi così la vostra licenza, fatemi il favore di dirmi di qual pane vorreste mangiare.
– Non mi sarà difficile procacciarmene un tozzo fors'anco minore… ma meno amaro.
– Come? Come? Insistette Tofi con ironia contenuta ma sdegnosa. Vorreste per caso tornare al vostro primo mestiere dell'infanzia e della gioventù?
Barnaba impallidì.
– Esso non deve avervi lasciato troppo gradevoli memorie; continuava il Commissario con crescente quell'ironia, la quale, al vedere i segni di sofferenza che si manifestavano nel volto di Barnaba, avreste dovuto dire veramente crudele, e poi, ora dopo tanto tempo dubito assai che abbiate ancora le membra abbastanza sciolte per fare l'uomo tartaruga o saltar sulla corda.
Il suo ascoltatore, più smorto d'un cadavere, si appoggiò con una mano alla parete a sorreggersi, sentendo venirgli meno per l'emozione le forze; il capo aveva chino alla terra, il respiro affannoso; però non disse motto, nè mandò pure una voce.
Tofi continuava:
– Oppure potreste, coll'arte vostra abbastanza scaltrita, colla conoscenza che avete dei mezzi di guerra dalla parte nostra recare a quelli che combatteste finora, al campo dei nemici della società di cui foste finora difensore, un valido e prezioso campione che certo da loro otterrebbe infiniti vantaggi. Lascio stare il merito e la moralità di codesta azione; e se voi ne siate capace o no; ma vi dico che voi a niun modo non la potete fare, perchè io non lo permetterò.
Si drizzò vieppiù della sua persona e parve ingrandirsi appetto all'uomo che gli stava dinanzi curvo, abbattuto e disfatto.
– Avete voi dimenticato, seguitò dando maggior vibrazione ed imponenza alla voce senza pure alzarla; avete voi dimenticato che io col segreto della vostra vita passata, tengo in pugno il vostro presente e il vostro avvenire? Che siete in mia balia talmente che il giorno in cui vorreste sottrarvi, io posso infrangervi senz'altro?
Barnaba fu assalito da un fremito; tese le mani supplicante e disse con accento pieno di preghiera e d'angoscia:
– Ah! non mi perda!
Successe un istante di silenzio, in cui que' due uomini stettero di fronte a quel modo; Barnaba gli occhi fitti alla terra, umile e vinto, Tofi dominandolo da tutta l'altezza della sua statura, con uno sguardo imperioso e fiero.
Fu il subalterno che ricominciò a parlare:
– Signor Commissario, diss'egli, Ella ha ragione, Ella può fare di me tutto ciò che le aggrada; ma in nome di quanto vi ha di più sacro, in nome del Re e di questo nostro ufficio di cui Ella sente così a dovere tutta l'importanza e l'altezza, pel vantaggio del servizio di cui le giuro sull'anima mia trattarsi, la prego, la supplico a non mandarmi via così, di subito… Non le domando che un indugio di pochi giorni, di una settimana, di due tutt'al più… In questo frattempo spero di poterle venir a recare tali risultamenti dell'opera mia ch'Ella sarà lieta d'avermi accordata questa grazia. Dopo faccia pure di me tutto quel che la vuole; e se non riesco a nulla, mi punisca poi Lei con tutta la severità che creda opportuna. Mi rassegno fin d'adesso ad ogni suo volere. Ma, per amor di Dio, mi lasci compier l'opera. È un'opera difficilissima, intricata, delicatissima cui non posso cedere altrui, che altri non potrebbe assumersi e continuare in vece mia. È un viluppo di leggerissimi indizi ch'io indovino più coll'istinto di quello che scorga col raziocinio; è un complesso di fili tenuissimi cui bisogna trattare con cura infinita, perchè non si rompano lasciandovi senza scorta nessuna più nel labirinto. Io seguo, traverso un lecceto di circostanze indifferenti che imbarazzano il cammino, le traccie del vero coll'istinto del segugio che