La plebe, parte III. Bersezio Vittorio

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La plebe, parte III - Bersezio Vittorio

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Non seccatemi dell'altro e partite, se non volete ch'io vi faccia ricondurre in qualcuno de' miei salotti qui sotto nei fossi del castello.

      Maurilio non aprì più bocca, e Don Venanzio, che fece saluti rispettosi e vivaci per tuttedue, lo trascinò fuori sollecitamente. Nell'anticamera il parroco riprese la sua mazza e il suo cane che gli fece mille feste; e quando ebbe oltrepassata la sentinella che passeggiava dinanzi al portone, Don Venanzio mandò un gran sospirone di sollievo, strinse al suo petto il braccio di Maurilio su cui s'appoggiava affettuosamente e disse:

      – Uhff! fa piacere l'essere fuori di lì, e faccio voti che per nessuna ragione, nè tu ned io non abbiamo da tornarci mai più.

      Il povero prete doveva tornarci pur troppo per una dolorosissima cagione, onde assai aveva da soffrire la sua bella, onesta ed amorevol anima!

      Camminato un poco in silenzio, Maurilio ad un tratto si fermò e scosse la testa, come uomo a cui una vicenda è troppo grave a sopportare.

      – Lasciare nelle loro mani quello scritto! esclamò egli; ma colà dentro vi è tutta la mia anima, vi sono tutte le evoluzioni del mio pensiero; vi è quella parte della vita intima del nostro io, in cui non deve penetrar mai, è un sacrilegio che penetri occhio umano – e stento a credere perfino che penetri l'occhio di Dio… Ah! questa è la peggiore delle tirannie, questa è un'empia offesa alla libertà ed alla dignità della persona umana… E se mi presentassi al Governatore a richiamarmene, se invocassi colla forza del mio diritto la restituzione di ciò che è più mio di qualunque altra cosa possa appartenermi mai, di quello che è parte, si può dire, di me stesso, qual accoglienza mi si farebbe? qual risposta degnerebbero farmi?.. Quella di questo villano di Commissario: la minaccia di un carcere.

      Don Venanzio, tutto spaventato, lo stringeva pel braccio, guardava intorno con occhio pieno di sgomento, e tirandolo per fargli riprendere l'andare, dicevagli sottovoce con accento di amorevole rimprovero:

      – Vuoi tacere?.. Ve' se si ha da parlare in questa guisa!.. E ad alta voce ancora, in una piazza!.. Per fortuna che con questo tempo c'è poca gente… Ma certe cose, Gesù buono, non bisogna nè anche pensarle. Vieni, vieni, andiamo a casa tua che abbiamo un milione di cose da dirci… Quanto al tuo manoscritto, credo di potertene dare le novelle, che l'ho visto io co' miei occhi non è più di un'ora.

      – Davvero! esclamò Maurilio stupito non poco. Non è dunque più in mano del Governatore?

      – No.

      – E dov'è? chiese sollecito il giovane. E come fu dato a Lei di vederlo?

      – L'ho visto fra le mani di quel medesimo personaggio a cui tu hai già dovuta quell'altra volta la tua liberazione, ed a cui tu la devi anche adesso.

      In Maurilio queste parole produssero una subita emozione, cui Don Venanzio, se l'avesse osservata, avrebbe dovuto trovare strana ed inesplicabile.

      – O chi? domandò egli con impeto, tremante la voce.

      – Il marchese di Baldissero.

      Maurilio mandò un'esclamazione dall'imo petto, d'una meraviglia che quasi pareva dolore.

      – Il marchese!.. Lui?.. O fatalità! Il mio destino mi vuole dunque affatto perduto?

      – No, no, calmati: s'affrettò a dire il parroco vedendo tanta commozione e tanta ansietà nel giovane. Il marchese bene trovò ardite le idee espresse in quello scritto, ma notò in esso tali traccie d'ingegno, che anzi desiderò vederti e parlar teco. Io gli promisi che nel giorno stesso di domani t'avrei condotto al suo cospetto.

      Queste parole, invece che rassicurare, parvero turbare vieppiù il povero Maurilio.

      – Io!.. Presentarmi a lui… dopo ch'egli avrà letto?.. oh no, oh no mai!

      E si coprì colle due mani la faccia.

      – Ma che cos'è? domandò il prete meravigliato di quella tanta commozione, cui, per le ragioni ch'egli conosceva soltanto, trovava eccessiva. C'è alcuna cosa in quel tuo scritto che ti debba far vergognare a comparire innanzi ad un onest'uomo?

      Maurilio strinse forte il braccio di Don Venanzio, che s'appoggiava sul suo.

      – Vergognare, no, perchè non c'è colpa nè viltà qualsiasi; ma temere sì… Innanzi alla superbia aristocratica di quel blasonato, la mia può parere un'audacia insolente…

      – Ma spiegati!.. Che cos'è in fin dei conti?

      – Spiegarmi?.. Non posso… È un segreto della mia anima, effuso entro quelle pagine in versi bollenti che eruppero come una lava; è un atto di quella mia vita interiore che dev'essere, che voglio chiusa ad ogni sguardo indiscreto… Nessuno ha da conoscere quel segreto e meno di tutti il marchese.

      Don Venanzio rimaneva perplesso senza comprendere come alcuna qualunque attinenza, come indicavano le parole del suo giovane amico, potesse esistere fra il marchese e Maurilio che non si conoscevano il meno del mondo.

      Il giovane, sempre agitato, continuava come parlando a se stesso:

      – Può egli comprendere?.. Avrà egli compreso sotto le mie parole la verità?.. Chi non la comprenderebbe?.. A qual altra persona possono convenire quei detti?.. Più volte ne ho scritto il nome… È un nome che portano ben altri eziandio… Ma pure…

      Il buon prete trovò una valida ragione, per lui sicurissima, da tranquillare Maurilio.

      – Se io capisco bene, diss'egli, si tratta dunque di una cosa tua particolare, intima, segreta.

      Il giovane fece un cenno affermativo.

      – Ebbene, io metterei pegno qualunque cosa che il marchese non ne ha letto pure una parola. Conosco la delicatezza di quell'animo. Tutto ciò che gli sarà sembrato attenersi ai particolari della vita privata, egli lo avrà accuratamente tralasciato.

      Maurilio parve acchetarsi; e lungo tutto il cammino che loro restava da percorrere per giungere alla casa dov'egli abitava, rimase taciturno, col capo chino e gli occhi dimessi.

      Quando Maurilio e Don Venanzio giunsero alla porta n. 7 di via ***, dalla loggia della portinaia uscì fuori con impeto sora Ghita medesima scortata come da uno stato maggiore dalla comare Marta, dalla comare Polonia e da non so quali altre comari del quartiere.

      L'evento straordinario dell'arresto dei giovani in casa del pittore aveva radunato colà l'esercito attivo e la riserva delle lingue femminili di pian terreno in tutta quella strada e formava l'argomento delle più vivaci chiaccole di quelle brave sfaccendate; quando ecco uno degli eroi dell'avventura tornare tranquillamente a casa per distrurre tutte le supposizioni di ogni sorta che quelle argute donne si erano già industriate di fare. E il ritorno non era meno strano dell'andata; condotto via da poliziotti, accompagnato da un agente della pubblica sicurezza, se ne tornava come se di nulla fosse stato, a braccio con un vecchio prete. C'era di che mettere in uzzolo altro che la curiosità di un drappello di vecchie comari! Fu perciò che sora Ghita, visto appena, nel campo di visione che apriva ai suoi occhietti sempre in sull'avviso il finestruolo della loggia, spuntare la faccia pallida di Maurilio e le chiome bianche di Don Venanzio, per un subito impulso si cacciò fuori, armata d'interrogazioni, e dietrole tutta la valorosa schiera delle comari.

      – Ah! Ella qui, sor Maurilio! esclamò essa, levando le mani secche e rugose all'altezza della sua cuffia madornale in un atto di meraviglia che voleva esser piena di allegrezza e di consolazione. Oh che piacere! Hanno adunque riconosciuto che la era una gran porcheria lo arrestare della brava gente

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