La plebe, parte III. Bersezio Vittorio

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La plebe, parte III - Bersezio Vittorio

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un atto che gli era abituale quando voleva fermare più specialmente l'attenzione della persona a cui parlava, strinse il braccio del bettoliere e soggiunse a voce più bassa:

      – Io sono mandato via dal servizio senza un nè due, sono cacciato sul lastrico come si caccia fuor della porta a calci un cane che ha il torto di non piacer più ad un malvagio padrone. Che diventi arrabbiato, o crepi di fame, o gli uomini del municipio gli facciano tirar le cuoia col boccone avvelenato. Che importa?.. Io, io stesso, ne sono a quella, Pelone.

      Questi non dissimulò punto il grandissimo stupore che gli cagionò un simile discorso di cui non avrebbe mai più sognato avesse da sentir l'uguale.

      – Davvero!.. Possibile!.. Voi privato dell'impiego?

      – Scacciato come un servo inutile od infedele, ti dico: ripetè Barnaba dando alla sua fisionomia tutte le sembianze d'un'ira e di un dolore che in realtà non aveva da far molto sforzo nè impiegar molta arte per fingere.

      Ma in Pelone, che a prima giunta era stato preso dalla sorpresa della meraviglia soltanto, erano ora entrati il sospetto e la diffidenza.

      – Uhm! diss'egli fra sè: adagio Biagio; qui c'è qualche tranello…

      Tossì per due minuti di seguito affine di non aver da parlare, e intanto fissò ben bene quel suo sguardo affondato nella faccia dell'interlocutore; non potè a niun modo penetrare in costui, al di là di quella sembianza esteriore, maschera o verità che fosse, cui mostrava nell'espressione del viso.

      – Ma come!.. Ma perchè successe egli codesto? domandò poscia Pelone quand'ebbe finito di tossire.

      – Come? rispose con amarissima ironia il poliziotto. Perchè? Nella più semplice maniera e per la più legittima ragione del mondo. V'è per costà un'illustre cortigiana venuta su dal fango del trivio alla suntuosità d'un appartamento di primo piano, grazie alla corruttela di ricchi e potenti viziosi, fra cui primo un principotto dal cervello di passero e dal cuore di lucertola…

      – Oh oh! esclamò scandolezzato Pelone; messer Barnaba, come parlate voi?

      E intanto il furbo di bettoliere pensava:

      – Questo è un tranello, gli è certo; in guardia. Pelone!

      Barnaba da canto suo ficcò lo sguardo entro le affondate occhiaie dell'oste.

      – C'è qualcheduno che possa udire le nostre parole qui? domandò egli bruscamente.

      – Nessuno, nessuno affatto: rispose l'oste con premura; e mentre il poliziotto girava intorno uno sguardo scrutatore che pareva voler penetrar le muraglie. Pelone soggiungeva fra sè e sè:

      – Ci sei tu, carino, che il diavolo possa torcerti il collo, maladetta d'una spia… e basta!

      – Se dunque nessuno ci può sentire, lasciami parlare a modo mio, corpo di mille diavoli, chè la bile mi affoga: ripigliava Barnaba. Una sì nera ingratitudine non grida ella vendetta?.. Essi credono di potersi sbarazzare d'un uomo della mia fatta, come d'un babbeo qualunque: e s'ingannano. Darei non so quanto e sarei capace di non so che cosa per farla loro pagare…

      Tornò a mettere la destra sul braccio dell'oste.

      – Dà un po' retta, Pelone: aggiunse abbassando la voce. Ad un'associazione di individui coraggiosi e senza scrupoli che si vogliano ricattare col fatto loro dei torti che subiscono dalla sorte e dalla società, oh non ti pare che sarebbe un acquisto niente affatto disprezzevole quello d'un uomo come son io?

      Pelone tossiva e guardava in terra.

      – Non vi capisco: rispose di poi quando il suo compagno si fu taciuto ed ebbe aspettato per un poco la risposta.

      Barnaba ricorse allo spediente d'un apologo.

      – Ci sono due eserciti che combattono: un capitano, un soldato anche solamente, se vuoi, maltrattato da quelli per cui espone la vita, abbandona le insegne e si reca nel campo nemico ad arrecare in servizio di quelli che furono sin'allora suoi avversari un valore che gli sarà di meglio ricompensato. Quando questo nuovo combattente potesse in realtà giovare di molto alla parte a cui è rifuggito, non avrebbero gran torto coloro ai quali si offrisse, di respingerlo?.. Hai tu capito adesso?

      Il bettoliere stette di nuovo un po' di tempo senza rispondere, poscia tentennando il capo ed osando guardare in faccia il suo compagno, disse tranquillamente:

      – Io capisco poco. Le cose mi piacciono dette apertamente, senza arzigogoli e avvolgimenti. Se dunque volete ch'io vi possa fare una categorica risposta, abbiate la compiacenza di spiegarvi pianamente, da buon cristiano, senza favole ed esempi.

      Il poliziotto che aveva preso e tenuto sino allora un tutto nuovo contegno di famigliarità amichevole, quasi da camerata, ritornò di presente in quello che sempre aveva avuto per l'innanzi verso il bettoliere: un contegno di superiorità autorevole insieme e motteggiante, di superbia e di scherno.

      – Cospetto! Non l'avrei mai supposto che fosse così duro il tuo comprendonio. Tu vuoi dunque che io metta, come si suol dire, i punti sopra gl'i?.. Bene! Stammi a sentire. Che tu sei un fior d'onest'uomo, questo si sa. Preso una volta, giovanetto ancora, a rubare con poca prudenza, assaggiasti del carcere; ma codesto fu per te di un meraviglioso profitto. La prudenza ti venne. Comprendesti che colla Polizia era cosa da pazzo l'urtare di fronte. Le diventasti amico e servitore; continuando nelle antiche attinenze coi ladri facesti intanto per essa onestamente la spia.

      Pelone mostrava con evidenza di trovarsi in un poco gradevole momento. Dimenava sulla panca su cui erasi seduto, la sua lunga persona dinoccolata; ed un istante il suo sguardo si volse spaventato verso un punto della parete, tutt'intorno coperta sino ad una certa altezza di tavole di legno. Fu un movimento ratto come un baleno, ma pur tuttavia l'occhio esperto ed osservatore di Barnaba che stava intentissimo a scrutare le sembianze del suo compagno, quell'occhio da uccel di rapina lo vide. Scoccò ancor egli, il poliziotto, una guardata verso quella parte. Pelone s'accorse dell'errore a cui s'era lasciato andare, e curvato più giù il suo corpo macilento, ruppe in una tosse più forte, più violenta e di maggior durata del solito. Barnaba lo guardò a tossire in silenzio: quando l'oste ebbe finito riprese con tutta tranquillità il discorso come se non fosse stato in alcun modo interrotto.

      – Tu dunque da una parte porgi una mano soccorrevole ai ladri che la sanno unger bene, dall'altra prendi dalla Polizia denaro e tolleranza per certe maccatelle, al prezzo di darle di quando in quando tra mano qualche miserabile che tu vendi.

      Un altro accesso di tosse assalì il povero Pelone che si trovava ad un vero supplizio; e anco una volta un intimo impulso più forte di lui gli fece correre lo sguardo a quel certo punto della stanza.

      – Cospetto! che razza di tosse maligna che tu hai quest'oggi!

      – Ah! la ho sempre pur troppo: rispose con tono dolente e colla sua voce più cavernosa che mai l'oste, i cui sguardi esprimevan insieme spavento e supplicazione; ma oggi la mi tormenta ancora di più. Gli è questo tempo così freddo che mi rovina. Se sapeste quanto soffro! Son di belle notti che dormo punto o poco; e giusto la notte scorsa fu per me una delle più triste…

      – Mi rincresce tanto: interruppe con beffarda insolenza Barnaba; ma siccome non ci so che fare, lasciami riprendere il nostro discorso.

      – Il diavolo che lo strozzi, brutto arnese da forca, diceva fra sè stesso, masticando colle denudate gengive la sua stizza, il bravo bettoliere; che sì che là dietro vi può essere qualcheduno della cocca, che udendo codesto è capace di farmi

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