La plebe, parte III. Bersezio Vittorio

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La plebe, parte III - Bersezio Vittorio

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udito quel che qui si è detto? domandò egli a Graffigna non senza una certa ansietà.

      – In parte… Quel Barnaba ha detto che sarebbe tornato qui stassera sul tardi: è quello che ci vuole. Bisogna che voi troviate modo di farlo fermarsi qui il più tardi possibile…

      – Come ho da fare? domandò Pelone, che guardava il suo interlocutore con una specie di paura.

      – Che? Non sapreste da voi stesso trovare un espediente per ciò? Ditegli, per esempio, che avete comunicato la sua proposta a certuni, i quali desiderano parlare con lui direttamente e verranno qui dopo la mezzanotte…

      – Ma codesto gli è confessare che io conosco quella certa gente.

      Graffigna si strinse nelle spalle.

      – Trovate voi qualche cosa di meglio. L'importante è che costui non esca di qua se non dopo la mezzanotte. Prima di quell'ora le strade non sono ancora ben sicure per un colpo, e poi c'è grande adunanza stassera e ci avrò da fare. Ch'egli si avventuri in queste strade dopo mezzanotte, e il suo conto sarà saldato.

      Pelone fu preso da un accesso di tosse, il che lo esentò dal manifestare in qualunque modo una sua idea.

      – Siamo dunque intesi: soggiunse Graffigna, che prese il silenzio dell'oste per un assentimento, e se la cosa mi va male per colpa tua, guai a te!.. Ora dammi un paio di bottiglie di quel suggellato e qualche coserella da mettere sotto il dente, che ci ho là un operaio da mantenere in buona voglia e in buon umore.

      Prese vino, pane e salame e tornò pel sotterraneo presso Andrea, che continuava nella sua opera di fabbricar le chiavi.

      Barnaba intanto, uscito dall'osteria di Pelone, diresse i suoi passi verso la più vicina bottega da tabaccaio a cui pensava che quell'imbecille di Meo doveva essere andato. Lo incontrò diffatti a pochi passi da quella bottega, che veniva di ritorno alla taverna.

      – Meo, gli disse arrestandolo, vieni un momento qui sotto questa porta che ti ho da dire due parole.

      Il giovinastro seguì Barnaba sotto la vôlta d'un portone lì presso, e quando furono colà trasse di tasca i due sigari che aveva comperato e i due soldi che glie n'eran rimasti.

      – To'; eccole la sua roba: diss'egli.

      Barnaba prese i sigari e respinse la mano che teneva le due monete di rame.

      – Que' soldi tientili; e' son per te.

      Lo scimunito allargò tanto d'occhi a quel dono che era molto lontano dall'aspettarsi, e mise in tasca i due soldoni con una certa vivacità che svelava come la sua grossa natura non fosse inaccessibile alla seduzione del denaro.

      – Bisogna che io ti parli a lungo e sul sodo di certe cose che ti interessano e ti toccano da vicino più che non credi: così continuava il poliziotto: ma bisogna che ciò avvenga in segreto, senza che alcuno possa sospettare, e tanto meno Pelone e la Maddalena. Per ora tu sei atteso in bottega e non ti conviene soverchiamente indugiarti; ma questa sera bisogna che tu prenda un'occasione qualunque di scappolartela e di venire ad un convegno ch'io ti darò per sentire ciò che occorre… Hai capito?

      Meo guardava chi gli parlava colla sua solita aria melensa e non faceva la menoma parola nè il menomo atto di intelligenza e di risposta.

      Barnaba lo prese ai panni e scuotendolo un poco quasi per destarne gli spiriti, ripetè:

      – Hai tu capito?.. Ho cose gravissime da dirti che t'interessano… Potrai guadagnare delle belle somme…

      Accostò le labbra all'orecchio di Meo e soggiunse:

      – E vendicarti di Maddalena e del suo amante.

      Gli occhi di vetro dell'imbecille Meo all'udire accennate le somme ch'ei poteva guadagnare, mandarono un baleno, ma a quest'ultime parole si accesero vieppiù e sfavillarono come se ad un tratto si fosse suscitata dietro di loro la fiamma dell'intelligenza.

      – Ah vendicarmi di loro! esclamò, di lui sopratutto!.. Certo che sì… Verrò dove Lei vuole… Mi dica pure il luogo e l'ora… Avessi anche da scappare dalle mani di mastro Pelone, verrò.

      – Vieni alle otto ore precise sotto il portico del Palazzo di Città. Ci sarò ad aspettarti; e non mi vi indugierò più di cinque minuti. Se tu manchi, bada bene che perdi l'occasione di fare un buon guadagno e di aver ragione della crudeltà di Maddalena a tuo riguardo.

      – Verrò: ripetè di nuovo l'imbecille rotando furiosamente i suoi occhi. Ne sia sicuro.

      Si separarono; Meo per tornare all'osteria, Barnaba dirigendosi verso la casa abitata da Maurilio e dai suoi giovani amici.

      – Oh stranissima macchina umana! Mormorava fra sè Barnaba, camminando a capo chino: tutte tutte, per quanto forti o intelligenti, per quanto limitate ed imperfette, tutte hanno una susta che toccata le fa agire come si vuole. Benedetta la passione! Essa governa il mondo umano con irrefrenabile potere; e chi sa giovarsene mette le mani sulle briglie con cui si menano gli uomini e quindi gli eventi.

      Quando sora Ghita, la portinaia, vide comparirle innanzi l'incognito della sera precedente, provò un misto tale di sentimenti che perfino la parola le mancò per un momento. Era stupore e indignazione insieme, sospetto e paura. Quell'uomo entrò con tutta franchezza come si entra in casa d'un conoscente, e disse colla domestica scioltezza d'un amico:

      – Buon giorno sora Ghita. Lei sta bene? Ne godo molto. Ho da parlarle da solo a sola. Mi rincresce disturbarla da sì aggradevole compagnia, ma io vengo mandato da tale e per tali faccende che non c'è da indugiare menomamente.

      Si chinò presso la cuffia madornale della portinaia e le disse piano:

      – Vengo mandato dal sig. Commissario di Polizia.

      Ghita mandò un grido di terrore ed alzò le mani al di sopra della sua faccia conturbata.

      Barnaba si volse verso le comari che facevano un circolo di occhi curiosi e di faccie interrogative intorno alla Ghita ed al nuovo venuto.

      – Madame, diss'egli facendo scorrere sulle vecchie uno sguardo severo ed imperioso: abbiano la bontà di lasciarci.

      Le comari, spaventate da quella guardatura, non ostante tutta la loro curiosità si affrettarono verso la porta e parvero gareggiare a chi uscisse prima. Barnaba e Ghita rimasero soli nella loggia.

      – Sora Ghita, incominciò di botto il primo dei due; in alto luogo non si è contenti di Lei.

      La portinaia strabiliò.

      – Come! diss'ella tutto commossa. Non si è contenti di me? Perchè? Che cosa ho io fatto? Nessuno può dir tanto così sul mio conto, per nessun verso; e se il signor Commissario, come Lei dice, la manda qui per rimproverarmi, la lo può accertare che fui calunniata.

      E il poliziotto, coll'aspetto il più severo e minaccioso:

      – Ella tien mano ai nemici del Governo.

      – Io? Gesù buono! Come si può dire una calunnia falsa di questa fatta?

      – Ella sparla degli atti e dei funzionari del Governo di S. M.

      La Ghita si ricordò delle parole che aveva dette poco prima contro le prepotenze della Polizia: ma non si smarrì

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