La plebe, parte III. Bersezio Vittorio
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– Vedo che non ho la fortuna di farmi capire da Lei: disse colla sua voce lenta e cascante Carlo Alberto; o ch'Ella non ha desiderio e volontà di capirmi.
Non capire il suo Re! Non desiderare e non volere capirlo! Un servitore come quello! C'era da mandarlo alla disperazione per una simile accusa. Barranchi nel suo dolore trovò l'ardire e l'eloquenza delle più vivaci proteste. Il Re lo lasciò parlare guardando traverso la finestra, con occhio sbadato, la neve che continuava sempre a fioccare. Quando il conte ebbe esaurito il suo sacco non troppo voluminoso di frasi, di giuramenti e d'interiezioni, Carlo Alberto continuò in quel suo atteggiamento in cui pareva pensare a tutt'altro, e lasciò il generale sotto il grave peso del più impaccioso silenzio. Il cortigiano poliziotto sudava freddo. Lo sguardo plumbeo del Re si sviò finalmente dalla piazza reale deserta e si posò sull'uomo dal petto ingemmato di decorazioni, che gli stava dinanzi.
– Converrà, signor conte, disse il Re, non toccando più l'argomento di prima, che Ella dia gli ordini opportuni perchè i giovani arrestati sieno rimessi in libertà.
Barranchi s'inchinò. Era questo uno degli ordini che eseguiva meno volontieri: l'ordine contrario invece la trovava sempre disposto ad obbedire con entusiasmo; ma tuttavia s'inchinò profondissimamente.
– Però prima di rilasciarli, quei malintenzionati avranno da ricevere un'ammonizione… una piuttosto severa ammonizione… perchè imparino a non dilettarsi di pericolose letture sovversive, a non isparlare di quel potere che la Provvidenza ha voluto si raccogliesse nelle Nostre mani ed a non tentare di sfatarlo. Quanto all'avv. Benda soprattutto gli si farà sentire tutta la sua colpa nel contegno tenuto ieri sera, e inoltre gli si dovrà imporre la promessa che egli non avrà l'audacia più di provocare in alcun modo il conte di Baldissero.
L'inchino del generale oltrepassò il superlativo della profondità.
Congedato dal Re, Barranchi corse a casa sua e mandò a chiamare con premurosi ordini il Comandante della cittadella dove era ritenuto Francesco Benda, e il commissario Tofi.
Al primo diede le istruzioni perchè il prigioniero fosse mandato sciolto col voluto accompagnamento di ammonizione e d'intimazione; al commissario Tofi, che ricevette il secondo e che ritenne in più lungo colloquio, fece una sfuriata maledetta che era il minore sfogo cui il bravo generale si potesse concedere pel dolore e il crudelissimo disappunto di avere incontrato il malcontento del suo Re.
Ah! com'era fiero, ah! come stava diritto impettito, ah! come appariva imponente nella sua divisa e colle sue decorazioni che specchieggiavano sul suo largo petto il bravo generale! Ora egli era che stava rampognatore con un subalterno in condizione di colpevole; ciò che aveva preso di su egli rendeva di sotto con aumento di dose, generoso come egli era in questa razza di affari. Tofi, la faccia ispida più del solito, il mento quadrato appoggiato fermamente al suo duro cravattone, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo chino a terra per deferenza al suo superiore, immobile e dritto come un soldato in servizio, aveva un contegno assai meno raumiliato e confuso di quello che avesse poco tempo innanzi, il superbo, prepotente conte Barranchi, in cospetto del Re.
– Ecchè? gridava il generale andando su e giù del suo gabinetto con passo che suonava secco sul pavimento e faceva quasi tremar le pareti come un peso che cadesse ad ogni volta per terra, ecchè? gli è così che mi obbedite, così che si rispettano i miei ordini? Che cosa vi ho detto questa stessa mattina, quando siete venuto a disturbarmi in sì indiscreta maniera?
– Signor conte: disse con rispetto ma senza la menoma confusione il Commissario: questa mattina io sono venuto appunto a pregarla di darmi le norme opportune di agire, e non ho fatto cosa che non fosse secondo le sue istruzioni.
– Le mie istruzioni un corno: proruppe sbuffando il nobile Capo della Polizia. Vi ho detto che lasciavo a voi la risponsabilità di tutto, vi ho detto che guai a voi se mi buscavo un rabbuffo da S. M. E me lo sono buscato, e che rabbuffo!.. Non sapete mai far altro che compromettere i vostri superiori voi!
– Signor conte: riprese il Commissario impassibile, se volesse specificarmi in che cosa propriamente ho meritato queste sue severe parole…
– In che cosa? Ah in che cosa?.. E me lo domandate? Chi è quello sciagurato figliuolo d'un asino che ha fatto la perquisizione in casa Benda ed arrestato quel cotal Selva?
– Gli è l'agente Barnaba.
– E va bene… Lo sapevo ch'era lui!.. Gli è sempre lui che ne fa delle belle… Già è il vostro protetto… Voi lo portate sempre in palma di mano.
– È un agente, disse coraggiosamente Tofi, di cui in verità non posso che lodare l'intelligenza e lo zelo.
– Bell'intelligenza! bel zelo! gridava sempre più furibondo il generale, che si ricordava allora i lagni fattigli poc'anzi di quel medesimo dal duca di Lucca e la raccomandazione di levarglielo dai piedi. In alto si è indignati del modo con cui si è proceduto all'arresto di quel Selva che il diavolo si portasse anche lui; in alto si vuole che si vada coi dovuti riguardi. E poi che impertinenza è quella di questo cotal Barnaba di cacciarsi nella vita privata degli alti personaggi di cui dovrebbe rispettare i segreti? S. A. R. il duca di Lucca è su tutte le furie contro di lui. Per apprendere a vivere a questo impertinente gli laverete il capo di santa ragione e gli notificherete ch'egli abbia a partirsi tosto da Torino per andare addetto al Commissariato d'una qualche città di provincia… per esempio Novara… sì, va benissimo, Novara.
– Signor conte: riprese col medesimo tono il Commissario.
– Ho detto! esclamò Barranchi coll'accento e l'aspetto d'un Cesare in caricatura.
– Allontanando questo tale, continuò Tofi come se nulla fosse, mi si toglie uno dei migliori e più fidi miei strumenti, in un'epoca in cui molti e gravi sono i pericoli e gl'intrighi d'ogni fatta contro la pubblica sicurezza e contro l'assetto politico dello Stato. La Polizia ha impreso una lotta con quella tremenda cocca che sempre le si sottrae di sotto mano ed ha bisogno di avere, per vincerla, tutte le sue forze radunate…
– Baie! Bubbole! Storie! gridava il conte crollando le spalle. Quando dico, dico!.. Quel Barnaba andrà a Novara; o sarà messo sul lastrico… Avete capito?.. Basta, non più una parola. Andate e fate mettere in libertà quei giovani arrestati, ma prima regalateli di una buona ramanzina in tutte forme, e che se ci ricascano li facciamo senza tante cerimonie filare a Fenestrelle o in Sardegna. E se lo tengano appiccato alle orecchie… Non ho più nulla da aggiungere… Sapete quel che avete da fare… Marche!
Il Commissario stette ancora un istante immobile, quasi volesse prima di partirsi aggiungere alcune parole: poi si decise a partire senz'altro: girò sui talloni come un soldato che fa dietro-front e senza pur salutare partì col suo passo lungo, sollecito e regolato, cacciandosi sino agli occhi il suo cappello a larga tesa ed affondando nelle tascaccie laterali del suo soprabito le sue mani grosse, tozze e villose.
Il Commissario entrò nel suo antro al Palazzo Madama, più scuro e più brutto in viso che un temporale. Passando egli nell'anticamera, tutte le guardie in uniforme e senza che vi erano sorsero in piedi coi contrassegni del più timoroso rispetto. Un vecchio prete con bianchissima e folta capigliatura che sedeva sur una di quelle panche appoggiandosi alla mazza che teneva fra le gambe, con un cagnuolo di pelo nero accovacciato a' piedi, vedendo quel drizzarsi e quel contegno di tutti i presenti innanzi a colui che attraversava con passo da padrone la sala, senza dar segno nessuno di saluto, come se il luogo fosse deserto, capì che gli era un personaggio d'importanza, e levatosi in piedi ancor esso con umile atteggio, domandò timidamente sotto voce alla guardia che gli era più vicina:
– Chi è?
– È