Le Indagini Di Giovanni Marco Cittadino Romano. Guido Pagliarino

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Le Indagini Di Giovanni Marco Cittadino Romano - Guido Pagliarino

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di restare svegli in preghiera con lui, tra gli ulivi.

      Appena un paio d’ore dopo, era il momento più buio della notte, s’era finalmente capito che, proprio come Marco aveva sospettato, il traditore annunciato era Giuda. Ecco che l’Iscariota era apparso alla testa di guardie del sinedrio che impugnavano spade e bastoni e aveva identificato il rabbì, ch’era stato arrestato. Sapendo dell’intenzione del maestro di salire all’uliveto per la notte, il cattivo discepolo ne doveva aver informato i capi d’Israele che avevano capito di poter arrestare segretamente l’odiato e pericoloso nazareno approfittando dell’oscurità e dell’isolamento della zona, senza correre il rischio d’una sollevazione della piazza che simpatizzava per lui. In realtà il giorno dopo la stessa, soggetta come sempre alle ultime, superficiali suggestioni, istigata da agenti del sommo sacerdote Caifa avrebbe chiesto a Pilato che l’arrestato fosse tolto di mezzo9.

      A Giuda, come si sarebbe saputo in Gerusalemme, erano venute in compenso trenta monete d’argento, il prezzo d’uno schiavo robusto o d’un piccolo campo. L’esortazione che il maestro gli aveva lanciato, “Quello che devi fare, fallo presto”, poteva aver adesso un significato, poteva trattarsi, come avrebbe riflettuto Marco, del desiderio del nazareno di non restare troppo a lungo preda dell’ansietà: il rabbì doveva aver realizzato di non avere più scampo, che ormai, essendo troppo inviso ai capi d’Israele per gl’innumerevoli attacchi loro rivolti, ovunque fosse andato sarebbe stato trovato e, dunque, che fosse inevitabile il suo martirio; conosciuta l’intenzione di Giuda di denunciarlo, doveva averla accolta come una liberazione dall’angustiante attesa e per questo, informato il discepolo che sapeva tutto, doveva averlo esortato a non indugiare.

      Al trambusto ch’era seguito all’arrivo delle guardie, i nove che riposavano nel capanno s’erano svegliati ed erano corsi a vedere. Marco, che per essere più comodo dormiva senz’abiti avvolto nel telo, in tale stato era uscito all’aperto. Un soldato, temendo ch’egli nascondesse un’arma sotto il lenzuolo, gliel’aveva tolto violentemente e il giovane, rimasto nudo, era fuggito precipitosamente nel buio. S’era fermato più in là a riprendere fiato, accosciato dietro a un ulivo plurisecolare, battendo i denti per il freddo della notte e maledicendo la sua abitudine di dormire nudo. Aveva udito passi in fuga di molti uomini: in seguito avrebbe saputo trattarsi dei discepoli dell’arrestato che, avendogli promesso di non abbandonarlo mai, stavano scappando a precipizio. Molto tempo dopo, quand’era stato proprio sicuro che le guardie avevano abbandonato il luogo dell’arresto e il Getzemani era rimasto deserto, il giovane era tornato al capanno per riprendersi gli abiti. Rivestitosi, s’era diretto cautamente a casa. Giuntovi, aveva raccontato gli ultimi eventi alla madre che, non appena realizzato il pericolo che Marco aveva corso, l’aveva sgridato severissima: “Hai visto cosa succede a disubbidire alla mamma?! Diventa un figlio buono! Perché mai sei così cattivo con me?”. Solo dopo lo sfogo s’era preoccupata del maestro arrestato.

      Genitrice e figlio avevano saputo il resto degli avvenimenti dai discepoli del rabbì Pietro e Giovanni: tutti gli undici, come lo stesso Marco, erano sfuggiti nell’oscurità all’arresto, ma nove erano sùbito tornati alla spicciolata nel cenacolo mentre i primi due avevano seguito di nascosto gli avvenimenti fin all’alba; quindi Pietro s’era rifugiato anch’egli a casa di Maria e Marco e aveva riferito loro quant’aveva vissuto, mentre Giovanni aveva ancor assistito alla morte del nazareno in croce prima di rientrare e narrare l’ultimo atto della tragedia. In breve: nella notte il rabbì era stato condannato ufficiosamente da quei membri del sinedrio che il sommo sacerdote era riuscito a riunire col buio nel proprio palazzo, quindi alle prime luci era stato condotto in vincoli al procuratore Ponzio Pilato per ottenerne l’ufficiale sentenza di morte quale sedizioso, condanna capitale che, in base agli accordi con Roma, il sinedrio non poteva più comminare sia che fosse riunito informalmente e senza tutti i membri, come quella volta, sia che lo fosse ufficialmente e in seduta plenaria; Pilato, per chetare la folla aizzata dai sacerdoti, aveva fatto flagellare il prigioniero orribilmente e poi l’aveva condannato alla morte in croce sul luogo delle esecuzioni, la collinetta di poco fuori le mura detta Calvario.

      All’alba del terzo giorno dopo la morte del maestro nazareno, alcune sue seguaci che avevano partecipato alla sepoltura e conoscevano l’ubicazione del suo sepolcro vi s’erano recate per rendere gli onori funebri alla salma ungendola, non essendo stato possibile quand’era stata calata dalla croce, verso il tramonto del sole del venerdì e perciò poco prima del sabato, giorno per gli ebrei del sacro riposo. Del tutto inaspettatamente, le brave donne avevano trovato la tomba aperta e, come avrebbero testimoniato, ma senz’essere credute, avevano visto un giovane uomo vestito di bianco, seduto sulla pietra sepolcrale, il quale s’era rivolto loro affermando che il crocifisso era risorto, e chiedendo di riferire agli undici l’ordine del maestro di recarsi in Galilea dov’essi l’avrebbero rivisto. Erano rimaste esterrefatte e invece d’obbedire avevano vagato senza meta per Gerusalemme; finalmente una di esse, una certa Maria originaria di Magdala, nel passare davanti alla casa di Maria la vedova, sua amica, s’era risolta a entrare e a riportarle l’accaduto. La madre di Marco l’aveva introdotta presso gli undici, ai quali finalmente la donna magdalena aveva riferito gli ultimi straordinari fatti. Tutti, a parte il giovane discepolo Giovanni, erano rimasti increduli e s’erano detti l’un l’altro all’incirca così: Come si potrebbe dar fiducia alle donne?! Nemmeno hanno diritto di testimoniare in giudizio persino sulle più banali cose, figurarsi se sarebbe possibile prestar fede a tale notizia. Un messaggero del Cielo?! Isteria femminile. Anche Marco era restato scettico, pur imprimendosi in mente le parole della donna. Giovanni invece aveva voluto andare al sepolcro e Pietro, mosso da curiosità, fattosi coraggio l’aveva seguito. Erano stati guidati da Maria di Magdala perché, non avendo partecipato alla sepoltura, non conoscevano la tomba. L’avevano trovata veramente aperta e vuota, se non per i lini sepolcrali.

      â€œUn furto del cadavere da parte del sinedrio?” aveva proposto Pietro a Giovanni.

      Dopo averci riflettuto, avevano concluso che i capi d’Israele non avrebbero avuto alcun vantaggio dalla scomparsa del corpo, anzi al contrario essi non avrebbero voluto di certo accreditare voci di prodigi. I due avevano inoltre ragionato che sarebbe stato assai più comodo per i ladri, e del tutto naturale, portare via il corpo avvolto nel lenzuolo, non svolgerlo prima di trasportarlo; e per di più, avevano notato che il funebre tessuto di lino in cui era stato avvolto il cadavere giaceva non in disordine ma semplicemente afflosciato, come se la salma fosse svanita al suo interno. Avevano concluso che, a meno che terzi ignoti avessero organizzato una messa in scena per misteriosi motivi, il crocifisso doveva essere davvero risorto.

      â€œC’è ancora oscurità sufficiente per non crederlo, caro Giovanni, ma c’è chiarore bastante per crederlo”, aveva detto Pietro, più a sé stesso però che al suo compagno.

      Il giorno dopo gli undici erano partiti per la Galilea, non solo nella possibilità che il loro maestro vi apparisse davvero, ma per togliersi finalmente dai pericoli.

      Quanto a Giuda Iscariota, era corsa voce in Gerusalemme che si fosse suicidato dopo aver restituito il prezzo del venduto e aver chiesto vanamente d’esser giudicato dal sinedrio come accusatore insincero d’un uomo retto. Marco, uditi questi fiati e avendo saputo da Giovanni che il traditore era giunto dall’ambiente dei rivoluzionari zeloti, aveva supposto ch’egli avesse denunciato il nazareno pensando che l’arresto avrebbe causato una sollevazione popolare la quale avrebbe posto il maestro sul trono d’Israele; e Giuda si sarebbe confortato nell’idea quando il rabbì stesso non solo gli aveva detto di conoscere la sua intenzione di denunciarlo ma, addirittura, l’aveva esortato a non indugiare; visto però l’esito opposto, il traditore si sarebbe sentito colpevole secondo le leggi di Mosè d’aver denunciato

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