La Macchina Per Scrivere. Andrea Lepri
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Читать онлайн книгу La Macchina Per Scrivere - Andrea Lepri страница 6
«E’ una cosa lunga?» replicò lui, allungando una mano verso una busta con il suo nome scritto sopra.
«Debbo parlarle» lo informò il medico tirando a sé la busta un attimo prima che lui riuscisse ad afferrarla. Allora lui si lasciò cadere di malavoglia sulla sedia, indispettito perché il dottore gli aveva sottratto la sua busta, e incrociò le braccia al petto a mostrargli tutto il suo disappunto. Di tanto in tanto il vento spingeva i rami ormai quasi del tutto spogli di un’acacia contro il vetro della finestra, producendo un orribile rumore stridente, il cielo si era rabbuiato e pareva indeciso se piovere o no.
«Avanti, la ascolto» lo esortò Carpetti richiamando il medico, che si era come distratto.
«Lei ha un problema» esordì questi a bassa voce, senza guardarlo negli occhi.
«Accidenti… niente di grave spero.»
«Mi spiace dover essere brusco, ma purtroppo temo di sì.»
Il disagio di Carpetti si trasformò subito in un’angoscia profonda, adesso le parole del dottore avevano fatto sì che la stizza lasciasse il posto alla paura.
«Si spieghi meglio, per favore.»
«Vede, lei deve cominciare ad abituarsi all’idea che non potrà più fare le cose come prima» cominciò a spiegargli l’altro da dietro gli occhiali. Qualche schizzo di pioggia aveva intanto preso a battere sulla finestra per scivolare veloce sul vetro lindo. Il dottore, sempre più imbarazzato, aveva preso a caricare l’orologio da polso, Carpetti sentì il proprio sangue farsi strada a fatica nelle vene, come se fosse diventato improvvisamente densissimo.
«Non capisco» mormorò, e adesso un artiglio gli torceva lo stomaco. Intanto lottava contro un presentimento improvviso, le mani gli si erano fatte umide e gelate.
E ora che malattia gli faccio venire? Mica sono un dottore! Temo di aver scelto un passatempo troppo difficile, forse sarebbe stato meglio provare a scrivere qualcosa di comico pensò Franco mentre si dirigeva verso il frigo per prendere una lattina di birra fresca. Aveva trascorso diverse ore a sedere, giunto davanti al frigo si stiracchiò e un nuovo senso di vertigine lo fece quasi cadere. Ma cosa diavolo mi sta succedendo? si chiese leggermente spaventato, appoggiandosi alla spalliera di una sedia. Non vedo l’ora che mi consegnino i risultati delle analisi, questi giramenti di testa cominciano a preoccuparmi. Tolse la sigaretta di bocca e se la incastrò nell’incavo tra l’orecchio e la testa, poi stappò la lattina e diede una lunga sorsata. Volendo, la malattia di Carpetti me la posso anche inventare. In fondo si tratta di un’opera di fantasia, e poi deve essere quasi una cosa psicosomatica, quindi può essere qualsiasi cosa. Una cosa che deriva dal suo male di vivere, come se lui si stesse pian piano lasciando morire. Magari facendo una scorrazzata su internet trovo qualcosa di interessante, più tardi darò un’occhiata. Seguendo il corso delle sue riflessioni era di nuovo arrivato davanti alla macchina per scrivere.
CAPITOLO III (OTTO MESI)
«Questa malattia nasce nell’emisfero destro del cervello e va a interessare diversi organi, rallentandone progressivamente l’attività fino a bloccarla del tutto.»
«Per favore, dottore, sia più chiaro! Ancora non capisco, dal suo tono di voce sembrerebbe che io stia per morire» lo interruppe Carpetti, a quelle parole il dottore ebbe un sussulto e l’orologio gli scivolò via dalle mani. Non appena toccò terra, il vetro a protezione del quadrante si incrinò mandando un suono secco e aspro. Un’espressione di disappunto attraversò la faccia del medico, ma solo per un fugace attimo, poi questi prese a guardare alternativamente il paziente e la sua busta contente il referto, senza però dire una sola parola.
«Dottore…» lo incalzò allora Carpetti con un filo di voce.
«Si tratta di una malattia che inibisce lo svolgimento dei processi rivolti al rinnovo dei tessuti dei principali organi, portandoli a invecchiare molto rapidamente.»
Il brutto presentimento che aveva accompagnato Carpetti fin dal primo risveglio si era tramutato in una terribile realtà. Si sporse verso l’altro come per sentire meglio, gli sembrava che tutto quanto attorno a lui fosse diventato confuso e molliccio, ovattato, e lui voleva essere sicuro di non aver capito una cosa per un’altra.
«Questa malattia è molto rara, si chiama…» riprese a spiegargli l’altro con una lentezza esasperante, nel tentativo di portare il paziente al dunque nel modo più dolce possibile.
«Basta!» lo interruppe Carpetti, il tono della sua voce si era fatto piagnucoloso. «Voglio sapere quanto mi resta… cosa vuole che mi importi del nome, mi dica quanto mi resta da vivere» implorò il medico ad afferrandolo per un braccio.
«Otto mesi. Forse un anno, se seguirà le cure che le prescriverò. Sono costosissime, dovrà chiedere l’esenzione dal pagamento al Distretto Sanitario della sua zona» sentenziò finalmente tutto d’un fiato il dottore, dopodiché si sentì improvvisamente più leggero. Carpetti si buttò a terra tenendosi la testa tra le mani.
«Otto mesi…otto mesi…»
Franco sfilò il foglio dalla macchina, che gli rispose col tipico rumore che fa il mulinello di una canna da pesca quando si lancia la lenza. Lo adagiò sulla piccola risma e la compattò con le mani sorridendo molto soddisfatto, ma la sua testa cominciò a essere invasa dai dubbi. E adesso come proseguo? Ho il sospetto di essermi spinto troppo oltre, scrivere una storia che tratta un argomento del genere è difficile, e fare in modo che chi lo leggerà non lo trovi noioso e angosciante è praticamente impossibile. E da adesso in poi per scriverla come si deve dovrei immedesimarmi nel personaggio, dovrei riuscire a provare ciò che proverebbe Carpetti, pensare e vivere come penserebbe e vivrebbe lui. Come un uomo che ha pochi mesi di vita… chissà che cosa farei… dovrei essere proprio lui per saperlo.
CAPITOLO IV
LE ANALISI DI FRANCO
Come se si rese improvvisamente conto di trovarsi in una situazione assurda, o come se gli fosse venuto a noia restare appeso, Franco comincia a far oscillare le gambe con l’intenzione di portare un piede fino al bordo sporgente del terrazzo. In quel modo potrà puntellarsi e sfruttare così al meglio la forza delle braccia, a quel punto dovrà soltanto scavalcare la ringhiera e tornare dentro. L’improvviso urlo di una sirena squarcia il silenzio carico di apprensione, le teste degli spettatori si voltano tutte insieme come in una coreografia. L’ambulanza si ferma facendo stridere i pneumatici, subito dopo ci sono movimenti frenetici e ordini concitati, una barella viene rapidamente estratta dal vano posteriore del mezzo di soccorso. Una macchia bianca che si guarda attorno spaesata attira d’un tratto l’attenzione di Franco. Maledetto testardo, alla fine mi ha trovato! pensa riconoscendo il medico, mentre finalmente appoggia anche il secondo piede sul pezzetto di terrazza che sporge oltre la ringhiera.
«Bravissimo, dacci dentro con quelle gambe. Sei forte, ci sei quasi! Non mollare proprio adesso!» lo incita il Vigile del Fuoco da sopra la scala, vedendo che è quasi riuscito ad arrampicarsi sul terrazzo. «Tra un minuto sarò lì, tieni duro per amor di Dio» insiste, ma Franco non lo sta ascoltando. E’ riuscito a puntellare per bene i piedi e adesso sta forzando per spingersi in alto. Quando si sente sicuro lascia libera una mano dalla presa della ringhiera per afferrare il corrimano e issarsi in piedi, ma mentre allunga il braccio verso la stecca orizzontale, la sensazione di due occhi puntati nella schiena gli fanno perdere la concentrazione. Guarda