La Macchina Per Scrivere. Andrea Lepri
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Читать онлайн книгу La Macchina Per Scrivere - Andrea Lepri страница 8
E’ davvero ora che vada a dormire, sono completamente distrutto. No, maledizione, si disse sbattendo un pugno sul tavolo, devo andare a prendere le sigarette. Sono giorni che non fumo, se continuo così impazzisco. Adesso è sera inoltrata e non fa più troppo caldo, non vedo cosa mai potrebbe accadermi di male se esco di casa per dieci minuti. Si infilò frettolosamente una maglietta e passando davanti si soffermò a guardare incredulo la propria immagine riflessa, per un lungo attimo aveva stentato a riconoscersi.
Accidenti, come mi sono sciupato. La barba lunga, questi capelli… e sono anche dimagrito un sacco! E questo sguardo…. non ho mai avuto questa espressione… chi se ne frega, tra pochi giorni andrò in ferie e mi rimetterò in sesto cercò di rassicurarsi, si riavviò con le mani i capelli spettinati e uscì. Devo pazientare ancora solo pochi giorni, poi la convalescenza sarà finita e sarò di nuovo un uomo libero, si stava dicendo poco dopo, mentre tornava a casa con le tasche piene di pacchetti di sigarette. Era ansioso di ritirare il risultato di quei dannati esami che gli avevano azzerato la vita, per potersi finalmente ricongiungere ai suoi familiari. A cavallo di questi pensieri, proprio mentre infilava il vialetto del giardino condominiale giudicando che quella passeggiata gli aveva fatto addirittura bene, si ritrovò disteso a terra perché per un attimo la vista lo aveva abbandonato. Maledizione, ma che accidenti mi sta succedendo? si chiese impensierito, intanto una sensazione simile a quella che aveva descritto poco prima nel suo racconto si stava rapidamente impadronendo di lui. E’ impossibile che io sia malato sul serio, ho sempre fatto vita sana e regolare… e poi non ho mai fatto male a nessuno: non lo meriterei… accidenti, ora parlo proprio come Carpetti! …che stupido, mi sono immedesimato a tal punto che mi sto condizionando da solo! Devo smetterle di pensare a queste sciocchezze! Ma invece, malgrado i suoi ripetuti tentativi di pensare ad altro, quell’angoscia profonda come il mare non voleva proprio saperne di abbandonarlo. Sapendo che teso com’era non sarebbe riuscito a dormire, quando rientrò sedette alla scrivania. Vampate di calore gli salivano dal petto verso le tempie, con mani tremanti aprì il pacchetto e sfilò una sigaretta. La mise in bocca e l’accese, ma non la traspirò perché era ancora spaventato dall’episodio che gi era accaduto poco prima. Trovò che l’odore era buonissimo, gli aveva ricordato la prima sigaretta che aveva fumato tanti anni prima nascosto in giardino, in una bella mattina di Sole. Tirò una boccata e cominciò a tossire. Si sentiva la bocca amara, il sapore sgradevolissimo gli aveva contaminato ogni angolo della lingua e adesso lottava per tenere a freno l’impulso di vomitare. Ma sapeva perfettamente cosa doveva fare per tornare a provare il piacere illusorio del fumo: tirare di nuovo, e poi ancora, e ancora. Aspirò una nuova boccata e la sua tosse si placò, tutto sembrò cominciare a tornare normale.
Potrei chiamare Silvia, magari sentire la sua voce mi calmerebbe… no, è meglio di no. Se la chiamassi a quest’ora, si spaventerebbe. Devo soltanto riuscire a tranquillizzarmi e andare a dormire. Sono solo un po’ stanco, e soprattutto nervoso. Intanto, dopo appena altre due boccate di sigaretta la testa aveva preso a girargli di nuovo e la sua fronte si era imperlata di sudore freddo. Alcune gocce caddero sul foglio a sbiadire le parole scritte da poco, allora si alzò e cominciò a camminare lentamente avanti e indietro per la casa. Sto male, devo sentire Silvia si disse afferrando la cornetta, ma dopo aver composto il numero per metà riattaccò. Andò in camera e si stese sul letto, ma non riusciva a prendere sonno. Una brezza leggera scuoteva le tapparelle producendo un suono simile al ticchettio dei tasti di una macchina per scrivere, il profumo dell’erba umida penetrava fino in casa. Gli tornò a mente la corsa e si rese conto di quanto gli mancasse, il pensiero che presto avrebbe potuto ricominciare ad allenarsi non riuscì a rasserenarlo. E’ inutile pensò dopo aver sbuffato una volta di più. Si portò davanti al frigorifero e prese una lattina di birra, la stappò e si accese un’altra sigaretta, infine tornò ancora una volta a sedersi davanti alla scrivania.
CAPITOLO V (AUTOCOMMISERAZIONE)
Ma quale che disgrazia può essere, questa, per uno come me? Quale tragedia può essere per uno che ha trascorso la vita da solo, circondato da manichini che vedono, si muovono, e sorridono sempre allo stesso modo…. e oggi uno di questi manichini viene a dirmi che ho i giorni contati! Proprio io, che pensavo che dover lottare ogni giorno con le mie paure e con la solitudine fosse già una punizione abbastanza severa, dato che non ho mai fatto niente di male si disse Carpetti, andò in corridoio e accarezzò la propria immagine riflessa nello specchio. Rimase in silenzio per alcuni istanti, poi con voce cantilenante cominciò a parlarle.
«Guardati: a cosa ti è servito arrivare fino a oggi? A cosa ti è servito arrivare ogni giorno al Domani, sperando che quel domani fosse migliore, se oggi scopri di non avere più domani? A cosa ti sono serviti i sacrifici e le speranze, se questa è la ricompensa? Tra poche settimane di te non resterà che un vago ricordo in pochissime persone, finché si spegnerà con loro. Persino le tue scarpe, vecchie e consumate come sono, ti sopravvivranno senza neanche sapere perché.» Continuando a farfugliare era entrato nel suo piccolo studio, dove in bella mostra su un ripiano della libreria c’era la sua collezione di animaletti di ceramica dipinti a mano. Si fermò proprio lì davanti, col tono della voce che cresceva di parola in parola.
«Anche voi mi sopravvivrete. Voi, che senza di me non sareste mai esistiti, se non vi avessi creato io non lo avrebbe fatti nessuno! Voi, che senza il valore che vi do io non valete niente… non è giusto… no, non è giusto!» gridò spazzandoli rabbiosamente via dal ripiano con l’avambraccio. Le statuette caddero a terra e Carpetti cominciò a calpestarle e a prenderle furiosamente a calci, urlando e piangendo, finché così come aveva cominciato si bloccò di colpo. Andò a sedersi col vago intento di riflettere, e dell’uomo meticoloso e ordinato che era uscito di casa appena tre ore prima non era rimasto niente. I riccioli neri gli si erano gonfiati a dismisura in tutte le direzioni, la fronte convessa si era riempita di rughe rossastre, le punte interne delle sopracciglia erano protese verso l’alto come in una supplica. Gli occhi erano gonfi come se avesse pianto per giorni, un tremito prepotente lo scuoteva da capo a piedi. Nel volgere di poche ore aveva perso tutto quanto, tutte le inutili certezze che lo avevano portato fino a lì: cercare di vestirsi in modo inappuntabile, controllare sempre che fosse tutto in ordine, arrivare sempre in anticipo di cinque minuti. Guardare il primo telegiornale della mattina per essere informato su tutto, per avere la sensazione di essere padrone degli eventi. Tutte le cose che lo avevano aiutato a non pensare, che gli avevano sempre dato sicurezza, non avevano ormai più alcun senso. Niente aveva più senso, e d’improvviso lo colse il dubbio che niente lo avesse mai avuto.
«Le medicine» si disse a voce alta scattando in piedi, si vestì di nuovo e uscì di corsa. Mancavano pochi minuti a mezzogiorno, presto gli uffici sarebbero chiusi.
Uff, non pensavo che scrivere fosse così impegnativo! E poi, temo che questa storia sia troppo patetica, troppo noiosa… a chi potrebbe mai interessare una storia come questa? E poi ora come vado avanti? Avevo tante idee, ma ogni volta svaniscono di punto in bianco… È strano, è come se io decidessi che il racconto deve procedere in una certa direzione e che invece poi lui facesse di testa sua… Cosa farà adesso Carpetti? E quelle medicine? Gliele daranno, o magari gliele negheranno perché supera il reddito? Non ci sarebbe certo da meravigliarsi, di questi tempi! E la sua guida spirituale come gliela faccio incontrare? E soprattutto, chi diavolo è la sua guida spirituale? Mah, proviamo ad affrontare un problema alla volta! Queste erano le riflessioni di Franco mentre si gustava un tè freddo, disteso sul lettino in terrazza. Intanto si godeva gli odori che salivano con la frescura della sera, dopo che l’aria era stata irrespirabile per tutto il giorno. D’improvviso gli tornò a mente un articolo di giornale che aveva letto qualche tempo prima. Parlava di un vecchio rimasto senza denti durante la guerra, un giorno lo Stato gli aveva intimato di pagare la dentiera che gli aveva dato oppure di restituirla.
CAPITOLO VI (NIENTE MEDICINE)