La Macchina Per Scrivere. Andrea Lepri
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Читать онлайн книгу La Macchina Per Scrivere - Andrea Lepri страница 9
«Dica pure» replicò senza alcuna partecipazione.
«Mi è stata appena diagnosticata una malattia per la quale devo prendere un farmaco molto costoso… sono venuto a chiedere l’esenzione.»
«Allora dovrà tornare, intanto le do questi due fogli. Sono la domanda da compilare e la lista dei documenti da allegare.»
«Non c’è bisogno che io torni, ho tutto qui con me. Se mi concede tre minuti compilo la domanda mentre lei controlla i documenti, così potrà avviare subito la pratica» replicò lui.
La donna lanciò un’altra occhiata all’orologio a parete e sospirò, poi tornò a guardare di sbieco Carpetti.
«Vediamo… la dichiarazione dei redditi l’ha portata?» gli chiese, e lui annuì.
«Lo stato di famiglia?»
«Si.»
«Il codice fiscale?»
«Se invece di farmi tutte queste domande mi lascia compilare il mio foglio e guarda nella cartella che le ho dato, vedrà che non manca niente! Ho portato tutti i documenti necessari» fece lui bruscamente.
La signora buttò gli occhi al cielo e sbuffò, indecisa se ribattere o meno, poi pensò che il venerdì era vicino e scorse distrattamente i fogli.
«A prima vista non mi pare che lei rientri nella fascia di reddito per cui è prevista l’esenzione» sentenziò.
«Ma com’è possibile? Con quello che guadagno arrivo appena a fine mese!» domandò stupito lui.
«Non si scaldi» replicò la donna con voce calma, aveva trascorso anni in quella trincea e disponeva di mille risorse per combattere chi stava dall’altra parte della barricata.
«Mi scusi, non volevo essere scortese… è che ne ho proprio bisogno, di quelle medicine» fece lui quasi sottovoce guardandosi le scarpe.
«Bene, allora intanto veda di calmarsi perché io non c’entro niente, non le faccio certo io quelle tabelle» puntualizzò lei in un tono lievemente inacidito sbirciando ancora una volta l’orologio.
«Mi scusi di nuovo, è che sono molto teso… quelle medicine mi servono davvero urgentemente» insisté Carpetti. La donna alzò la testa e col dito indice si spinse indietro gli occhiali sul naso come per metterlo meglio a fuoco.
«Senta, io vedo dozzine di persone ogni santo giorno. Vengono a chiedere l’esenzione perché denunciano un reddito molto minore del suo, e poi magari se ne vanno al ristorante tutte le sere e girano in auto di lusso. Certamente lei non farà parte di quella categoria, ma io non posso davvero farci niente. Vada a protestare con chi le crea, queste situazioni, e soprattutto con chi le sfrutta» sentenziò. Ci furono pochi istanti di silenzio, durante i quali Carpetti valutò tutte le possibilità. Sapeva che mettersi a gridare non gli sarebbe servito.
«E allora cosa devo fare?» chiese nel tono più gentile che gli riuscì.
«L’unica cosa che può fare è una inoltrare una domanda di rimborso speciale da inviare al Presidente di Regione. Se le verrà accordato provvederanno a rimborsarla entro due anni, le sarà sufficiente conservare le ricevute delle spese che ha sostenuto per acquistare le sue medicine.»
«Forse non mi sono spiegato bene» rispose lui cambiando di colpo espressione e tono di voce. «Io non dispongo del denaro sufficiente per comprarmi le medicine, altrimenti non sarei qui a umiliarmi davanti a una perfetta sconosciuta! E senza quei farmaci, ogni due giorni che passano perdo la possibilità di viverne uno in più!»
«Non so cos’altro dirle, se non è convinto si rivolga a qualche altro ufficio» ribadì la donna dopo un lungo istante di silenzio, per niente toccata dalle parole di Carpetti. «Mi dispiace» aggiunse più per abitudine che per altro, poi allungò la mano verso la cordicella per abbassare la tapparella.
«Non è vero!» gridò Carpetti sbattendo sul vetro una manata così violenta che strappò un sobbalzo alla donna. «Non è vero che ti dispiace. Di quelli come me non te ne frega niente, tu pensi solo ad arrivare a fine mese per prenderti lo stipendio che ti ho garantito io pagando le mie tasse! Tra poche settimane morirò, e la colpa sarà anche tua perché non hai voluto aiutarmi!» continuò a urlare. La donna scomparve dietro la tendina celeste ma lui continuò a tempestare di pugni il vetro gridandole contro, con gli occhi quasi fuori dalle orbite a causa della rabbia, finché una guardia giurata lo afferrò per la giacca e lo trascinò di peso fuori.
No, no, No! Non mi piace! E’ troppo patetico, troppo noioso! PA-TE-TI-CO! E puerile, infantile, con questa protesta da adolescente che lotta contro il Sistema. Ma perché scrivere una storia deve essere così maledettamente difficile? Eppure sono convinto che qualsiasi idea possa essere interessante, dipende soltanto da come la si racconta. E da quanto amore ci si mette dentro, come in tutte le cose… ma questa è tutta troppo idealizzata, troppo distante dalla realtà. Devo riuscire ad immedesimarmi di più. Devo riuscire a pensare come lui, a sentirmi come si sentirebbe lui. Forse devo rileggere quello che ho scritto finora, magari mi verrà fuori qualche modifica.
CAPITOLO VII (DEVO LAVORARE)
Carpetti rientrò in casa e tirò dritto in corridoio per andare a buttarsi sul letto, l’appetito gli era definitivamente passato. Il pesce nell’acquaio si era ormai scongelato e aveva cominciato a diffondere un odoraccio per la casa, ma quello era l’ultimo dei suoi pensieri. Stava spendendo tutte le sue energie per cercare di ragionare, di farsi venire un’idea per ottenere quei medicinali. Ma stava davvero troppo male. Un malessere quasi fisico lo attanagliava da capo a piedi impedendogli di pensare, si sentiva annullato, come se qualcuno o qualcosa avesse già provveduto a cancellarlo dalla faccia della Terra. Stremato dall’emozione crollò di colpo per cadere in uno stato di tormentato dormiveglia, durante il quale gli riaffiorarono ricordi sepolti ormai da anni in fondo alla memoria. Rivide la casa nella quale era cresciuto, umida e buia, di quelle con i muri spessi e le mattonelle del pavimento in graniglia. Una di quelle case antiche che hanno un odore particolare di umido e di polvere, che ti torna familiare nelle narici soltanto quando lo senti di nuovo dopo qualche tempo. E rivide la strada di periferia nella quale giocava da bambino, sporca, con i lampioni rotti dalle sassate dei suoi compagni di giochi. La stessa strada dalla quale un giorno suo fratello era partito senza più fare ritorno, qualcuno mormorava a causa della droga. E poi sua madre, con quegli occhi sempre tristi, con sempre indosso lo stesso vestito. E suo padre, che tutte le sere tornava distrutto dal lavoro, si sedeva a tavola senza aprire bocca, cenava e andava a dormire. Carpetti rimase in quello stato per tutto il resto della giornata e tutta la notte seguente, il risveglio arrivò presto e lo trovò sempre più confuso. Per qualche istante osò sperare che il giorno precedente non fosse realmente trascorso, sperò che si fosse trattato piuttosto di un brutto e interminabile incubo. Ma dopo aver continuato a fissare per un po’ il soffitto abbandonò quella sensazione di parziale distacco da sé stesso, come se quella cosa stesse capitando a qualcun altro e non a lui, e decise di provare a farsi forza. Si disse che quello non era il modo giusto di affrontare quell’assurda situazione e decise di reagire. Si alzò e andò a studiare il calendario appeso al muro, dal quale una soubrette gli lanciava sguardi sexy. Aveva comprato quel calendario anno dopo anno, era stata da sempre la sua unica concessione alle cose futili e la sua unica Uscita di Sicurezza verso il Mondo della Fantasia. Contò i giorni, e poi le settimane e i mesi, e poi le ore e addirittura