Spagna. Edmondo De Amicis

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Spagna - Edmondo De Amicis

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lontani si vedon rovine di castelli enormi, sormontate da torri tronche, spaccate, corrose, simili a grandi moncherini di giganti prostrati che minaccino ancora.

      A ogni stazione della strada ferrata comprai un giornale; prima d'arrivare a metà viaggio n'avevo un monte: giornali di Madrid e d'Aragona, grandi e piccini, neri e rossi; nessuno, sfortunatamente, amico di Don Amedeo. E dico sfortunatamente, perchè, a legger quei giornali, c'era da cadere in tentazione di voltar le spalle a Madrid e tornarsene a casa. Dalla prima all'ultima colonna, eran tutt'una sfuriata d'ingiurie, d'imprecazioni e di minaccie contro l'Italia: corna del nostro Re, roba da chiodi dei nostri ministri, ira di Dio del nostro esercito; tutto fondato sulla voce, che allora correva, d'una prossima guerra, nella quale l'Italia e la Germania alleate si sarebbero gettate sulla Francia e sulla Spagna, per distruggervi il Cattolicismo, nemico eterno di tutt'e due, e mettere sul trono di San Luigi il Duca di Genova, e assicurare il trono di Filippo II al Duca d'Aosta. Erano minaccie nell'articolo di fondo, minaccie nell'appendice, minaccie nelle notizie, in prosa, in versi, con figurine, con lettere cubitali, con lunghe righe di puntini; dialoghi tra il padre e il figlio, l'uno da Roma, e l'altro da Madrid, questi che domandava: “Che cosa ho da fare?” quello che rispondeva: “Fucila!” di tratto in tratto un: “Vengano! siamo pronti! siamo sempre la Spagna del 1808; i vincitori degli eserciti napoleonici non hanno paura nè del muso degli Ulani di re Guglielmo, nè del gridío dei Bersaglieri di Vittorio Emanuele.”—E poi Don Amedeo designato coll'appellativo di pobre bambino, l'esercito italiano chiamato un esercito di ballerini e di cantanti, gl'Italiani di Spagna invitati a sfrattare col poco gentile avvertimento di:—Italianos al tren!—(Italiani al treno); in somma, chiedete e domandate, ce n'era una per sorte. Vi confesso che, su quel subito, rimasi un po' turbato; m'immaginai che a Madrid gl'Italiani fossero poco meno che segnati a dito per le vie; mi ricordai della lettera ricevuta a Genova; ripetevo tra me e me quell'Italianos al tren, come un consiglio che meritasse una seria meditazione; guardavo con sospetto i viaggiatori che entravano nel carrozzone, e gl'impiegati della strada ferrata, e mi pareva che, al primo vedermi, tutti dovessero dire:—Ecco là un emissario italiano; mandiamolo a tener compagnia al general Prim.—

      Avvicinandosi a Miranda, la strada s'inoltra in una contrada montagnosa, varia, pittoresca; dove da qualunque parte si volga lo sguardo, non si vedon che roccie grigiastre, a perdita d'occhio, che rendon l'immagine d'un mare petrificato nell'atto della tempesta. È un paese pieno di bellezza selvaggia, solitario come un deserto, silenzioso come un ghiacciaio, che rappresenta alla fantasia come una visione di pianeta disabitato, e desta un senso misto di tristezza e di paura. Il treno passa fra due pareti di roccie puntagute, incavate, crestate, faccettate in tutti i sensi e in tutte le forme, che par che intorno a ciascuna abbian lavorato tutta la vita una folla di scalpellini furiosi, facendo alla cieca a chi ci lasciasse le traccie più capricciose. La strada riesce poi in una vasta pianura piantata di pioppi, nella quale sorge Miranda.

      La stazione è lontanissima dalla città; dovetti aspettare nel caffè, fino a notte, il treno di Madrid. Per tre ore non ebbi altra compagnia che quella di due guardie doganali chiamate in Spagna carabineros, vestite d'una divisa severa, con daga, pistole e carabina ad armacollo. A ogni stazione ce ne son due: le prime volte, vedendo apparire davanti al finestrino del carrozzone le canne delle loro carabine, credetti che fosser là per chiappare qualcuno, e fors'anche.... e misi, senz'accorgermene, la mano sul passaporto. Son bei giovanotti, arditi e cortesi, coi quali il viaggiatore che aspetta può intrattenersi piacevolmente a discorrer di Carlisti e di contrabbando, come io feci, con grande vantaggio del mio frasario spagnuolo. Verso sera capitò un mirandese, un uomo sulla cinquantina, impiegato, allegro, chiaccherone, ed io lasciai i carabineros per attaccarmi a lui. Fu il primo Spagnuolo che mi parlò profondamente di politica. Lo pregai di dipanarmi un po' codesta benedetta matassa dei partiti, di cui non ero ancor riuscito a trovare il bandolo; ed egli ne fu contentissimo, e mi servì per filo e per segno. “È detto in due parole,” cominciò: “ecco come stanno le cose. Ci son cinque partiti principali: l'assolutista, il moderato, il conservatore, il radicale, il repubblicano. L'assolutista si divide in due: carlisti puri, carlisti dissidenti. Il partito moderato in due: l'uno vuole Isabella seconda, l'altro vuole Don Alfonso. Il partito conservatore in quattro: tenga bene a mente: i Canovisti, capitanati da Canovas del Castillo; gli ex-montpensieristi, capitanati dal Rios Rosas; i fronterizos, capitanati dal generale Serrano; i progressisti storici, capitanati dal Sagasta. Il partito radicale in quattro: i progressisti democratici, capo lo Zorilla; i Cimbrios, capo il Martos; i democratici, capo il Ribero; gli economisti, capo il Rodriguez. Il partito repubblicano in tre: gli unitarii, capo Garcia Ruiz; i federali, capo il Figueras; i socialisti, capo il Garrido. I socialisti si dividono ancora in due; socialisti coll'Internazionale, socialisti senza l'Internazionale. In tutto sedici partiti. Questi sedici partiti si suddividono ancora. Il Martos tende a costituire un partito suo; il Candau un altro partito; il Moret un terzo partito; il Rios Rosas, il Pi y Margall, il Castelar, vanno pure preparando ciascuno un partito proprio. Son dunque ventidue partiti, parte fatti parte da farsi: aggiunga i partigiani della repubblica con Don Amedeo presidente, i partigiani della Regina che vorrebbero dare il gambetto a Don Amedeo, i partigiani della monarchia dell'Espartero, i partigiani della monarchia del Montpensier; i repubblicani a patto che non si lasci Cuba; i repubblicani a patto che Cuba si lasci; coloro che non hanno ancora rinunziato al principe di Hohenzollern, coloro che vagheggiano l'unione col Portogallo; sarebbero trenta partiti. Volendo andar pel sottile, si potrebbe suddividere ancora; ma val meglio farsi un'idea chiara di come stanno le cose. Il Sagasta si appoggia agli unionisti, lo Zorilla si appoggia sui repubblicani, il Serrano sarebbe disposto ad appoggiarsi sui moderati; i moderati, all'occasione, farebbero lega cogli assolutisti, i quali, intanto, danno la mano ai repubblicani, che si uniscono con una parte dei radicali, per mandare in aria il ministero Sagasta, troppo conservatore per i progressisti democratici, troppo liberale per gli unionisti, che hanno paura dei federali; mentre i federali non ripongono alla loro volta una gran fiducia nei radicali, sempre tentennanti fra i democratici e i sagastini. S'è fatto un'idea chiara?”

      “Chiara come l'ambra!” risposi raccapricciando.

      Del viaggio da Miranda a Burgos mi ricordo come d'una pagina d'un libro leggiucchiata a letto, quando gli occhi cominciano a chiudersi e la fiammella della candela a languire: cascavo di sonno. Un vicino mi scoteva di tratto in tratto perchè guardassi fuori: era una notte serena, splendeva un bellissimo lume di luna; ogni volta che m'affacciai al finestrino, vidi dalle due parti della strada roccie enormi, di fantastiche forme, vicine tanto che pareva dovessero precipitare sul treno, bianche come marmo, e così ben rischiarate, che se ne sarebbero potute contare tutte le punte, tutti gl'incavi, tutte le gobbe, come alla luce del sole. “Siamo a Pancorbo,” mi diceva il vicino, “guardi su quell'altura: là era un terribile castello che i Francesi distrussero nel 1813. Siamo a Briviesca: guardi; qui Giovanni I di Castiglia radunò gli Stati generali, che accordarono il titolo di principe delle Asturie all'erede della Corona. Guardi il monte della Brujola che tocca le stelle!”—Era uno di quegli infaticabili ciceroni che parlerebbero anche agli ombrelli; e sempre, dicendo: guardi, mi toccava in un fianco, dalla parte della tasca. Finalmente arrivammo a Burgos; il vicino disparve senza salutarmi, io mi feci condurre a un albergo, e sul punto di pagare il vetturino, m'accorsi che non avevo più un piccolo portamonete da spiccioli che solevo tenere in una tasca del pastrano. Pensai agli Stati generali di Briviesca, e suggellai la cosa con un filosofico:—Mi sta bene!—invece di gridare come fan molti in simili occasioni:—ma per Dio! ma dove siamo! ma che paese è questo!—come se nel loro paese non ci fosse della gente destra che porta via la borsa senza neanco usar la cortesia di darvi una notizia storica o una indicazione di geografia.

      L'albergo in cui scesi, come quasi tutti gli alberghi delle Castiglie, era servito da ragazze. Eran sette o otto bambolone paffute e muscolose che andavano e venivano con grandi bracciate di materassi e di biancheria, curvate indietro in atteggiamenti atletici, rosse, sbuffanti, sghignazzanti, che mettevano allegrezza a vederle. Un albergo servito da donne è tutt'altra cosa che i soliti alberghi: il viaggiatore ci si pare meno straniero, e ci riposa col cuore più queto; le donne gli danno una cert'aria di casa, che fa quasi dimenticare la solitudine in cui ci si trova. Son più premurose degli uomini; sanno che il viaggiatore

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