I Robinson italiani. Emilio Salgari

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I Robinson italiani - Emilio Salgari

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i semi non si mangiano? — chiese il marinaio.

      — Sì, — rispose Albani. — Si arrostiscono come le nostre castagne e ne hanno anche il sapore.

      — Signor Albani, facciamo una raccolta di queste frutta.

      — Si guastano presto, Enrico, non ne vale quindi la pena, e poi questo cibo è sostanzioso fino ad un certo punto. Bisognerà trovare qualche cosa di più solido.

      — Della carne? Credete che vi siano degli animali in quest'isola?

      — E perchè no? Troveremo dei babirussa, dei tapiri forse, delle scimmie e fors'anche degli animali pericolosi, delle tigri per esempio.

      — Delle tigri!... Diavolo!... E noi non abbiamo che una scure e due coltelli! Non so cosa accadrebbe di noi se uno di quegli animali ci assalisse!... Udiamo, signore, cosa avete intenzione di fare? Mi pare che la nostra situazione non sia molto brillante.

      — Sedetevi ed ascoltatemi, amici miei, — disse Albani. — Io non so in quale isola noi abbiamo approdato, ma credo che sia una di quelle che formano l'Arcipelago di Sulu e che sia disabitata.

      Forse m'ingannerò, ma temo che noi siamo destinati a fare la vita dei Robinson e ad intraprendere una vera lotta per poterci trarre d'impiccio.

      Questo mare poco noto, poco frequentato dalle navi, essendo noi lontani dalle linee che ordinariamente tengono i velieri, che dalle isole della Sonda si recano alle Filippine, non ci offrirà tanto presto l'occasione di venire raccolti, e chissà per quanto tempo saremo costretti a rimanere qui.

      Fortunatamente se quest'isola sembra deserta è ricca di piante, e la flora malese può procurare, per chi sappia approfittarne, mille cose sufficienti ai bisogni della vita.

      Non scoraggiatevi quindi: si tratta di lavorare e se Dio ci protegge, spero di potervi far passare tranquillamente, senza timori e senza sofferenze, tutto il tempo che saremo costretti a fermarci su quest'isola.

      Siamo i più poveri di tutti i Robinson, poichè gli altri, cominciando da Selkirk, il capo-scuola, l'eroe di Daniel de Foë, possedevano almeno delle armi da fuoco, mille cose utilissime che traevano dalle loro navi naufragate, ma colla fermezza e colla volontà noi nulla avremo da invidiare agli altri.

      Intanto, amici miei, pensiamo a fabbricare un ricovero che è il più urgente di tutto. Col tempo poi fabbricheremo delle armi mortali quanto i fucili....

      — Delle armi!... — esclamarono i due marinai stupiti. — Ma dove le troverete?...

      — A suo tempo lo saprete, — rispose Albani. — Poi cercheremo il pane....

      — Anche il pane!...

      — Sì, amici, e vi assicuro che il forno che costruiremo avrà molto da lavorare.

      — Fulmini!

      — Terremoto del Vesuvio!

      — Poi verrà il resto. Avremo del vino, dell'olio, le candele, le stoviglie, ecc. Conosco la flora malese e so quante cose indispensabili alla vita può produrre. La natura penserà a darci tutto.

      — Ma voi siete un grand'uomo, signore! — esclamò il marinaio.

      — Niente affatto, — rispose Albani, sorridendo. — Ho viaggiato assai, specialmente nella Malesia, e metterò a profitto tutto ciò che ho imparato nelle mie escursioni. Al lavoro, amici!... Prima di questa sera, bisogna avere un ricovero.

      — Ma non abbiamo ancora bevuto, signore, — disse il marinaio, — ed io sarei ben felice di poter ingollare un sorso d'acqua.

      — Ecco una pianta che ci darà dell'acqua buonissima, — rispose il veneziano. — La natura comincia il suo ufficio di provveditrice dei Robinson. —

      Egli si era avvicinato ad una specie di liana ramosissima che s'arrampicava attorno ad un durion, formando dei graziosi festoni, e aveva impugnato il coltello che aveva preso al mozzo.

      — Preparatevi ad accostare le labbra, — disse.

      Con un colpo secco la troncò e dai due capi si videro tosto sgorgare due zimpilli d'acqua limpidissima.

      — Non sarà velenosa, signore? — chiese il marinaio, esitando.

      — No, uomo diffidente: bevi con tuo comodo che ce n'è per tutti. —

      Enrico ed il mozzo applicarono le labbra ai due pezzi della liana e bevettero avidamente, poi lasciarono il posto al signor Albani che si era rifiutato di accettarlo prima.

      — È vera acqua, signore, — disse il marinaio. — Ma che specie di pianta è questa, che fa l'ufficio delle fontane?

      — Si chiama aier dagli abitanti delle Molucche e d'Amboina, ma è poco conosciuta dai naturalisti europei. Solamente Rumfio e il nostro Rienzi, il valoroso esploratore di queste regioni, ne hanno fatto cenno. È però comunissima e gl'isolani ne fanno molto uso quando l'acqua diventa scarsa nei serbatoi e nei torrenti.

      So che anche le frutta di questa liana contengono molto umore acqueo.

      — Che piante strane! — esclamò Piccolo Tonno.

      — Ne troveremo delle altre che ci daranno dell'acqua. Seguitemi, amici.

      — Dove ci conducete?...

      — A trovare i materiali per la nostra capanna. Vedo laggiù una piantagione di bambù e quelle canne robustissime e facili a trasportarsi, ci serviranno a meraviglia.

      — Ed i rottami, non possono servirci? —

      Il veneziano parve colpito da quella domanda.

      — È vero, — disse. — Vi sono i cordami, le vele e anche le aste di ferro dei pennoni che ci possono giovare per molti usi. È meglio che riportiamo tuttociò a terra, prima che la marea respinga il rottame al largo. Questa notte potremo accontentarci d'una tenda. —

      Tornarono verso la spiaggia cercando un passaggio che permettesse a loro di scendere verso il mare e lo trovarono a duecento passi dalla grande rupe. Colà la sponda s'abbassava dolcemente formando una piccola cala, entro la quale avrebbe potuto trovare un comodo rifugio un piccolo bastimento, essendo difesa da una doppia linea di scogliere.

      Denudatesi le gambe, trovandosi i banchi sabbiosi, che costeggiavano la sponda, sommersi, in causa dell'alta marea, si diressero verso la caverna marina, dinanzi alla quale trovarono ancora arenato il rottame.

      Si misero tosto all'opera per ricavare tuttociò che poteva essere a loro necessario. Il legname era inutile, essendovene ad esuberanza nell'isola e preferendo adoperare i bambù i quali si prestano meglio di tutti nelle costruzioni delle capanne; ma s'impadronirono delle funi, dei paterazzi e delle sartie che potevano essere molto utili, quindi levarono tutte le ferramenta dei pennoni e specialmente le sbarre che servono d'appoggio ai gabbieri e poi le vele che erano tre, quella di gabbia, di pappafico e di contra-pappafico.

      — Serviranno a fare delle amache e dei vestiti, — disse il veneziano. — La tela è ancora in buono stato.

      — Ma ci mancano gli aghi, signore, — disse il mozzo.

      —

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