I Robinson italiani. Emilio Salgari

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I Robinson italiani - Emilio Salgari

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      — Cominciamo dai germogli, se vuoi: ti piacciono gli asparagi?

      — Gli asparagi!... Ma cosa c'entrano quei deliziosi....

      — Ah!... ti piacciono assai!... — lo interruppe il signor Albani. — Allora ti dirò che le giovani gemme di queste canne, cucinate in acqua e condite, somigliano ai nostri asparagi.

      Costruzione della capanna aerea. (Pag. 50).

      — Scherzate!...

      — No, quando avremo una pentola e dell'olio, te li farò assaggiare.

      — Dell'olio! — esclamarono il marinaio ed il mozzo stupiti. — Ma sperate di trovare degli olivi qui?...

      — No, poichè qui non crescono, ma lo troverò anche senza quelle piante.

      — Uomo miracoloso!... — esclamò Enrico.

      — Da questi bambù, specialmente da quello comune, si può estrarre lo zucchero o meglio una materia zuccherina che gl'indiani chiamano tabascir.

      — Terremoto di Genova!

      — Zitto, marinaio. I semi del bambù comune vengono mangiati come riso da molte popolazioni dell'Indo-Cina.

      — Anche il riso!...

      — Non è tutto. Colle foglie e coi fusti schiacciati, poi stemperati in acqua e uniti con un poco di cotone si ottiene una buona carta molto usata dai Chinesi. Coi fusti poi, tagliati a metà, si fanno condotti d'acqua per l'irrigazione dei campi, oppure si adoperano come tegole, o si fanno capanne solide e leggere, o aste per le lance, o scale, o palizzate mentre quelli spinati servono per fare dei recinti così formidabili da arrestare qualsiasi assalto. Colle foglie poi si possono fabbricare dei panieri, delle stuoie, dei tralicci, ecc.

      Volete infine dei recipienti?... Basta tagliare un bambù sopra e sotto i due nodi ed ecco un barilotto dove l'acqua si conserverà benissimo. Volete anche una barca?... Tagliate un bambù gigante, turate le due estremità, oppure serbate i due nodi a prua ed a poppa ed ecco un'ottima scialuppa. Cosa volete ottenere di più da una pianta?

      — No, Enrico, non bastano, e nella foresta troveremo altre piante più preziose che ci procureranno quello che non possono darci queste. Basta: al lavoro, amici. —

       Indice

      I tre uomini si misero al lavoro, abbattendo grande numero di bambù, specialmente dei più alti, ma molti anche di quelli spinosi, volendo il signor Albani costruire anche un recinto, per meglio difendersi dagli assalti delle tigri e che potesse anche servire per racchiudere gli animali che proponevasi di addomesticare.

      Atterrate le canne, il marinaio ed il mozzo cominciarono a trasportarle alla spiaggia, di fronte alla piccola cala, avendo scelto quel luogo per erigere la capanna, mentre il signor Albani, armato della lancia, entrava nella piantagione per cercare gli avanzi della grossa preda uccisa dalla tigre.

      Doveva avere però un altro scopo, perchè di tratto in tratto si arrestava, spostava i bambù ed esaminava il terreno con profonda attenzione, scavando qua e là delle buche, talvolta assai profonde. Pareva che volesse accertarsi della qualità della terra su cui crescevano quelle canne giganti.

      Aveva già fatto numerosi buchi servendosi della lancia, quando si arrestò dinanzi a un piccolo bacino pieno d'acqua, che si celava nel più fitto della piantagione.

      Esaminò il fondo, essendo l'acqua limpidissima e pochissimo alta, poi si risollevò, mormorando a più riprese:

      — Credo d'aver trovate le mie pentole!... Se quest'acqua non è stata assorbita, è segno che sotto lo strato di terra vi è uno strato impenetrabile. — Si rimboccò le maniche, si denudò le braccia e le immerse, rimuovendo la terra del fondo. Scavò per parecchi minuti esaminando sempre il fango che levava, poi estrasse una materia grigiastra, lievemente grassa.

      — Argilla, — disse, con una certa soddisfazione. — Non mi ero ingannato; ho trovato le mie pentole. —

      Continuò a scavare ricavando dell'altra argilla, ne fece una grossa palla che avvolse nella propria giacca, poi continuò a inoltrarsi nella piantagione, seguendo una specie di sentiero cosparso di bambù spezzati o piegati, che doveva essere stato aperto dal felino. Dopo dieci minuti giungeva in una piccola radura in mezzo alla quale scorse, distesa a terra, una grossa carcassa semi-spolpata e sanguinante.

      — Adagio, — mormorò, impugnando la lancia. — La tigre può trovarsi vicina. —

      Fiutò più volte l'aria per sentire se c'era odore di selvatico, odore che tradisce la presenza di quei grossi e feroci felini, poi s'avanzò cautamente, guardando dinanzi, a destra ed a sinistra.

      La preda abbattuta dalla tigre era un babirassa, animale grosso come un cervo, la cui carne è eccellente avendo il gusto di quella del cinghiale. Attorno alle ossa vi era ancora tanta polpa da nutrire dieci uomini affamati.

      Tagliò un bel pezzo che pesava parecchi chilogrammi, poi abbandonò rapidamente quel luogo pericoloso, temendo di venire sorpreso dal felino, il quale forse sonnecchiava nei dintorni.

      Quando uscì dalla piantagione, il marinaio ed il mozzo stavano trasportando gli ultimi bambù.

      — Avete trovata la colazione, signore? — chiese Enrico.

      — Sì, amico, e anche delle pentole.

      — Delle pentole!... Eh! via, scherzate?

      — Non dico di averle trovate già fatte e pronte per metterle sul fuoco, ma porto con me dell'argilla per fabbricarle.

      — Ma voi siete la provvidenza in persona, signore! Mio Piccolo Tonno, ti farò assaggiare il giupin!... Terremoto di Genova! Ti leccherai le dita!...

      — Ed i maccheroni, signor Emilio?... Ah!... Cosa darei per averne un piatto!... Altro che giupin!

      — Ehi, furfante! Non disprezzare il giupin! — esclamò il marinaio.

      — Non vale i maccheroni, — ribattè il mozzo. — Vorrei preparartene un piatto a mio modo e scommetterei che mangeresti anche il piatto, marinaio.

      — Roba da napoletani!...

      — Lave del Vesuvio! Disprezzare i maccheroni! Tu perdi la testa, marinaio!

      — Il giupin, ti dico!...

      — I maccheroni!...

      — Avete finito? — chiese il signor Emilio, che rideva, vedendoli arrabbiarsi pei loro piatti favoriti. — Litigate

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