Viaggi di Gulliver nelle lontane regioni. Jonathan Swift

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Viaggi di Gulliver nelle lontane regioni - Jonathan Swift

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per l'addietro si fondavano su puerili finzioni, o divenivano impalcamento ad un sistema d'impraticabili leggi. Era serbato a Swift il condire la morale della sua opera col sale della facezia, il farne sparire l'assurdo col frizzo della satira, il dare agli avvenimenti i più inverisimili l'aspetto della verità mercè il carattere e lo stile del narratore. Il carattere dell'immaginario viaggiatore Gulliver è esattamente quello di Dampier e d'ogni altro testardo navigatore di quell'età, che fornito di coraggio e di comune discernimento, dopo avere solcati rimoti mari, riportava a Portsmouth o a Plymouth i suoi pregiudizi inglesi, e raccontava gravemente e alla buona quanto avea veduto e quanto gli era stato fatto credere nei paesi percorsi. Un tal carattere è cotanto inglese che difficilmente gli stranieri lo possono valutare. Le osservazioni di Gulliver non sono mai più acute o profonde di quelle d'un capitano di bastimento mercantile o d'un chirurgo della City di Londra che torni da una lunga corsa marittima.

      Robinson Crusoè, che racconta avvenimenti ben più prossimi alla realtà, non è forse superiore a Gulliver per la gravità e semplicità della sua narrazione.

      La persona di Gulliver si scorge disegnata con tal verità che un marinaio affermava di aver conosciuto il capitano Gulliver; null'altro esservi di sbagliato fuorchè il luogo del suo domicilio, che era a Wapping, non a Rotherhithe. Una tal lotta tra la facilità naturale e semplicità dello stile e le meraviglie raccontate, è quanto produce uno dei grandi vezzi di questa memorabile satira delle imperfezioni, delle follie e dei vizi della specie umana; i calcoli esatti, che vengono istituiti nelle due prime parti contribuiscono a dar qualche verisimiglianza alla favola. Suol dirsi che ogni qual volta nella descrizione di un oggetto naturale le proporzioni sono ben conservate, il maraviglioso prodotto dall'impicciolimento o ingrandimento enorme dell'oggetto stesso è meno sensibile allo spettatore. Certo è che in generale la proporzione è un attributo essenziale della verità, e che, quando una volta il lettore ha ammessa l'esistenza degli uomini che il viaggiatore narra di aver veduti, egli è difficile il ravvisare veruna contradizione nel suo racconto; sembra al contrario che i personaggi in cui Gulliver si è scontrato, si comportino precisamente come lo avrebbero dovuto nelle circostanze ove gli ha immaginati l'autore. In ordine a che, il maggior elogio che possa citarsi dei Viaggi di Gulliver, è la critica stessa fattagli da un dotto prelato irlandese: È tutt'uno; Swift non m'indurrà mai a credere che tali uomini, tali animali, tali alberi abbiano avuata una esistenza reale. Vi è parimente una grand'arte nel far vedere come Gulliver, per l'influenza degli oggetti dai quali è attorniato arrivando a Lilliput e a Brobdingnag, perda a gradi a gradi le idee che aveva sulle proporzioni di statura, e adotti quelle dei pigmei o dei giganti fra' quali visse.

      Per non protrarre di troppo queste considerazioni eccito soltanto il leggitore a notare con quale infinita maestria, per rendere più solleticante la satira, le azioni vengano ripartite fra quelle due razze di esseri immaginari. A Lilliput i rigiri, i brogli politici, che sono la principale faccenda dei cortigiani in Europa, trasportati in una corte di omettini alti sei dita, divengono un oggetto di ridicolo, intantochè la leggerezza delle donne e i pregiudizi delle corti europee, che l'autore presta alle dame di palazzo del regno di Brobdingnag, divengono nauseanti mostruosità presso una nazione di sterminata statura. Con queste arti e mille altre, dalle quali trapela il tocco del grande maestro, e delle quali sentiamo l'effetto senza arrivare a scoprirne la causa se non in forza di una lunga analisi, Swift ha convertito una fola buona per le balie in un romanzo cui niun altro può essere paragonato sia per la maestria della narrazione, sia pel vero spirito della satira che vi domina. Voltaire, che quando uscì questo romanzo trovavasi in Inghilterra, lo esaltò ai suoi compatrioti; raccomandando loro di farlo tradurre. L'abate Desfontaines si prese l'assunto di una tale versione. Le perplessità, le paure, le apologie di questo Desfontaines si leggono nella singolare introduzione che egli premise al suo lavoro; prefazione ben atta a dare un'idea su lo spirito e le opinioni di un letterato francese di quell'età.

      L'abate Desfontaines crede accorgersi che quest'opera dà un calcio a tutte le regole; chiede grazia per le stravaganti fole che egli si è ingegnato di vestire alla francese; confessa che a certi tratti dei Viaggi di Gulliver si sentiva cader di mano la penna, tanto grandi erano l'orrore e la sorpresa che lo comprendeano al vedere sì audacemente violata dall'autore satirico inglese ogni buona creanza.[10] Paventa non vadano a cadere su la corte di Versaglies alcune frecciate scoccate dalla penna di Swift, si affaccenda con mille circollocuzioni a protestare che la totalità del romanzo è allusiva ai toriz e ai wigts (chiama così i tory e i wigh) da cui è infestato il fazioso regno dell'Inghilterra. Conchiude assicurando i suoi leggitori di aver non solamente cangiati molti incidenti onde accomodarli al gusto dei suoi compatrioti; ma di aver omesse le particolarità nautiche ed una quantità di minuzzame tanto detestabile nell'originale.[11] A malgrado di questa ostentazione di gusto prelibato e di dilicatezza, la versione di cui si parla è tollerabile. L'abate Desfontaines fece la sua palinodia per aver tradotta un'opera secondo lui sì difettosa; col pubblicare una Continuazione dei Viaggi di Gulliver, in uno stile tutto suo e affatto diverso da quello del suo prototipo.[12]

      Anche in Inghilterra è stata pubblicata una Continuazione dei Viaggi di Gulliver, un preteso terzo volume. È questa il più impudente accozzamento di pirateria e di falsità ch'uomo si sia mai fatto lecito nel mondo letterario. Mentre vi era chi sosteneva essere stata composta dall'autore del vero Gulliver questa Continuazione, si scoperse che non era nemmeno l'opera del suo imitatore, ma la cattiva copia d'un romanzo francese affatto oscuro, ed intitolato la Storia dei Severambi.

      Indipendentemente dalle indicate continuazioni, era impossibile che un'opera di tanto grido non facesse nascere la voglia d'imitarla, di farne la parodia, di pubblicarne la chiave; com'era impossibile che non somministrasse inspirazioni a qualche poeta; che non fruttasse al suo autore ora encomi, ora satire, in somma tutto quanto per solito si connette con un trionfo popolare, non omesso lo schiavo incatenato al carro, le cui grossolane ingiurie ricordano all'autor trionfante ch'egli è sempre uomo.

      I Viaggi di Gulliver doveano sempre più aumentare, siccome accadde, il favore di cui godeva il loro autore alla corte del principe di Galles. Ricevè lettere le più cortesi, le più affettuose e sparse anche di amichevoli lepidezze su Gulliver, su gl'Yahoo, su gli abitanti di Lilliput. Nel partirsi dall'Inghilterra, Swift avea chiesto alla principessa e a mistress Howard un picciolo dono, un pegno che attestasse qual differenza entrambe ponevano tra l'autore dei Viaggi di Gulliver e un ordinario pretazzuolo. Non pretendeva che il regalo della principessa oltrepassasse in valore dieci lire sterline, nè una ghinea quello di mistress Howard. La principessa promise un dono di medaglie che non furono mai spedite. Mistress Howard, più memore della parola data, spedì a Swift un anello; alla lettera che lo accompagnava Swift rispose a nome di Gulliver, ed aggiunse alla sua risposta una picciola corona d'oro che rappresentava il diadema di Lilliput. La principessa accettò un taglio di drappo di seta, di manifattura irlandese, del quale si fece una veste. Nella sua corrispondenza, Swift torna un po' troppo spesso su questo presente; e vi è gran luogo di credere che se il principe fosse salito sul trono, Gulliver, valendoci dell'espressione di lord Peterborough, avrebbe fatto dar del gesso ai suoi scarpini, ed imparato a ballar su la corda per diventar vescovo.

       Indice

      Swift era uomo d'alta statura, robusto e ben fatto. Aveva occhi turchini, carnagione bruna, sopracciglia nere e folte, un naso piuttosto aquilino, lineamenti che esprimevano tutta l'austerità, l'altezza e l'intrepidezza del suo carattere.

      In sua giovinezza passava per bellissimo uomo; in vecchiezza, la fisonomia, benchè severa, ne era nobile e dignitosa. Aveva il dono di parlare in pubblico con facilità e calore: il talento delle sue risposte apparve sì atto alle discussioni politiche, che i ministri della regina Anna dovettero più d'una volta esser dolenti perchè non riuscirono a farlo sedere al banco dei vescovi nella Camera dei pari. I governatori inglesi spediti in Irlanda ne temettero l'eloquenza non men della penna.

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