Novelle e paesi valdostani. Giacosa Giuseppe

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Novelle e paesi valdostani - Giacosa Giuseppe

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miei passi, lo scordavo e quando levavo la testa seccato di trovarmi solo, il canale mi appariva vuoto fino alla cima. Dov'era andato colui? Il suo aspetto, la scelta di quella via inusata, la sua andatura, e quello scomparire misterioso, tutto ciò mi metteva in sospetto. Ero sicuro che l'oste, non mi avrebbe affidato ad un cattivo soggetto, ma questa sicurezza non bastava a tranquillarmi. Seguitavo a salire e quando levavo di nuovo la testa, eccolo un'altra volta a suo posto, ma lontano lontano e sempre incurante di me. In principio avevo pensato che in certi punti il canale divenisse impraticabile e che convenisse uscirne per ripigliarlo più sopra, ma mano mano che procedevo mi accorgevo che il passaggio c'era sempre, anzi che andava sempre facendosi più agevole. Gli gridai di fermarsi, ma bisogna dire che la mia voce non gli giungesse, perchè fu gridare al vento. Se non era della valigia, credo che me ne sarei tornato senz'altro. Finalmente lo vidi seduto a terra, aspettarmi. Lo raggiunsi di malo [pg!47] umore; il fondo quasi liscio della roccia si era fatto sdrucciolevole per una vena d'acqua, ed egli s'era fermato per darmi mano che non cadessi.

      —Perchè vi allontanate? voglio avervi presso di me.

      —Mi era parso che le piacesse di star solo non volevo seccarlo.

      —Perchè abbandonate la strada così spesso? Che fate in giro?

      —Sono della razza dei bracchi, mi piace fiutare intorno il terreno.

      —Bene, ora non mi lascierete più.

      —Come comanda.

      Cercai di intavolare io il discorso, ma questa volta era lui che non ci mordeva. Era spuntato il sole, egli s'era levata la giacca e la portava sul braccio. Dalla cinta di cuoio gli pendeva una accetta da potatore, istrumento insolito alle guide.

      —Perchè portate quell'accetta?

      —La porto sempre.

      —Per farne che?

      —Così.

      Mi guardò bene fiso e aggiunse:

      —Ho anche una pistola, guardi.

      Levò di saccoccia una pistola corta a due canne e me la diede avvertendomi che era carica. Fui tentato di serbarla: in montagna da noi nessuno [pg!48] cammina armato, le pistole sono un arnese di lusso destinato alle salve d'allegria in occasione di nozze. Ma pensai che, volendo farne cattivo uso, non me l'avrebbe mostrata e glie la ritornai senza far parola. Dopo un quarto d'ora di cammino, mi disse:

      —Scusi, torno subito. Vada pure lei, lo raggiungerò fra due minuti.

      E via per la costa. Volli levarmi di dubbio e appena fu avviato uscii dietro di lui dalla gora; lo vidi correre ad una rovina di grossi massi discosta un dieci metri; si chinò, smosse due o tre pietrone, frugando per la terra e tornò indietro. Come avvertì che lo stavo spiando, corrugò la fronte e accese lo sguardo, ma lo spianò e lo spense in un minuto.

      —Sono andato a pigliare questo pane e questa crosta di formaggio che avevo riposto ieri. Io giro spesso per le montagne e vi dispongo i depositi di viveri.—Mi guardò di nuovo negli occhi e—Non crede?

      No, non credevo; il pane lo avevo veduto levarselo di saccoccia e il suo turbamento al dubbio di esser sorpreso doveva pure avere una ragione. Cominciavo a sentirmi vivamente inquieto. Egli se ne accorse e diventò subito gioviale e verboso; mi conosceva, aveva domandato di me all'oste, sapeva che ero uno scrittore, come [pg!49] a dire un giornalista, che dev'essere un gran bel mestiere da guadagnare sacchi di quattrini. Lui conosceva la vita della città e leggeva sempre i giornali. Anche sapeva che avevo scritto delle opere per il teatro, un'altra miniera d'oro; ma se volevo dargli retta egli sì che me ne avrebbe raccontate delle storie, e fatti conoscere dei birbanti! Ah, loro vengono qui per il gusto di provare che cos'è la fatica? Se lo sapessero che cos'è! E quanto costa un pezzo di pane! E c'è della gente che ce lo vorrebbe rubare; ma (e si toccava in saccoccia la pistola) ma c'è qui il giudice, il giurato, il pretore, il presidente, e tutti gli accidenti della terra, e se vogliono venire vengano che mi troveranno. Aveva una facondia abbondante e collerica, come di un uomo persuaso di qualche persecuzione continua ed accanita; spezzava il discorso e saltava da un soggetto all'altro come spinto da un tumultuoso getto d'idee e pauroso di smarrirle discorrendo. Aveva certo qualche acerrimo nemico che governava misteriosamente tutti gli atti della sua vita; tutti i suoi discorsi mettevano capo a quello e precipitavano in minaccie indeterminate ed oscure, profferite ridendo, coi denti stretti, i denti bianchissimi e saldi, capaci di spezzare uno scudo. E nel fondo degli occhi gli tremava una inquietudine timida ed umile che contrastava colle violente [pg!50] parole e aveva finito per rassicurarmi interamente. Anche di questo si avvide, e quando gli offersi un sigaro mi disse:

      —Lei ha pensato male di me. Non sono un birbante, venga qui e capirà tutto.

      Eravamo ai primi nevati. Il canale s'era allargato e la montagna intorno non aveva un filo d'erba. Era tutta una rovina di massi giganteschi, gran dadi rocciosi lucenti come un metallo, mezzo affondati in un terreno sabbioso, molle per la neve sciolta di fresco e per gli scoli del ghiacciaio. Mi condusse per mano nel labirinto finchè giungemmo ad una specie di grotta formata da due massi che contrastavano puntellandosi a vicenda. Entrò nel cavo carponi e ne uscì con un pacco di poche libbre di peso, involto in stracci laceri; lo sciolse e ne trasse sigari e tabacco. Era un contrabbandiere. Scendendo di Svizzera, disseminava la sua mercanzia in tanti nascondigli diversi, perchè, se mai, non avesse a cadere tutta nelle mani delle guardie. Come ebbe rifatto l'involto, lo ripose nel fondo e tornò a me col viso rischiarato e fidente. Ora che il suo secreto era stato lui a dirmelo, non temeva più di me.

      —Questo è il più alto magazzino; le guardie non salgono mai sin qui, sanno che a queste alture non c'è più pastori che possano far da [pg!51] testimonio occorrendo, e che qui comando io.

      E questo è il mio aiutante di campo, aggiunse, togliendo, da una fenditura lì presso, una carabina da doganiere.

      Il contadino non può persuadersi che il contrabbando sia una azione colpevole, il suo senso morale non arriva alla nozione degli artificiali diritti dello Stato. Sa che il rubare e il far violenza nel prossimo sono atti disonesti, ma non può concepire per disonesto il comprare un oggetto là dove lo si trova a miglior mercato, e lo smerciarlo dove lo pagano caro. La proibizione di un traffico tanto naturale gli pare una prepotenza intollerabile, contro la quale non solamente è lecito, ma meritorio ribellarsi. Di qui un odio violentissimo contro le guardie e il fermo proposito e la fredda capacità di fare a schioppettate se occorre. Le guardie lo sanno e bene spesso quando incontrano il contrabbandiere in luoghi aspri e deserti, se non sono in tale numero da schiacciarlo o se non presumono alla mercanzia frodata un valore eccezionale, fanno le mostre di non avvertirlo e passano guardando dall'altra. Un colpo è presto tirato e a quelle alture un cadavere è agevolmente e durevolmente trafugato. La guardia non torna in quartiere, i sospetti cadono sul vero omicida, partono drappelli e frugano per le gole in traccia del morto, [pg!52] ma prove salde non ne raccoglie nessuno. Sull'Alpe alta c'è sempre qualche voragine aperta a comodo degli avvocati difensori.

      La mia guida s'era trovata una volta, inerme, sotto il tiro di due doganieri e n'era scampata per miracolo. Un'altra volta aveva fatto smottare dall'alto, non visto, una frana di sassi addosso a due guardie che salivano la ripa e una di esse, scappando, aveva perduto la carabina.

      —Quella carabina che le ho mostrato,—aggiungeva Jacques, con un piglio trionfatore.—Ma che vitaccia! E il guadagno è poco, sa.

      E mi raccontava le traversate notturne, d'inverno, solo per le ghiacciaie mortali, carico come un mulo, le tormente che lo assalivano, lo flagellavano a sangue, e lo tenevano immobile, rannicchiato sotto un antro di rupe, pauroso di soccombere al sonno traditore della montagna, il sonno gelido, invincibile avanguardia

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