Novelle e paesi valdostani. Giacosa Giuseppe

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Novelle e paesi valdostani - Giacosa Giuseppe

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spina al cuore del vecchio! I quattrini perduti erano nulla rispetto all'orgoglio umiliato; li avrebbe buttati a sacca pure di spuntarla. Pensò perfino di impiantare un servizio alla svizzera, ma non era impresa da pochi giorni. La salute ne soffriva, l'asma gli s'era fatta più forte e frequente, non parlava più, non scendeva in cortile che per traversarlo e portare al caffè, nel piccolo crocchio taroccante, i rancori che in forma di scherni stentati gli uscivano dall'animo.

      [pg!18] Gin, impietosita, stava meditando una confessione generale, sperandone pace.

      Una notte, sul principio d'agosto, si scatenò nella valle un temporale furiosissimo. Sul fare dell'alba, già rasserenatosi il cielo, un merciaiolo parlò, giungendo, di guasti gravi lungo lo stradale. Pochi minuti dopo Lasquaz, l'usciere, recò che alla diligenza erano morti fulminati il cocchiere e due cavalli. Ignorava se alla posta o alla concorrenza, la notizia proveniva dal forte di Bard, avvisato per soccorsi.

      L'oste, mancategli le gambe, sedeva sullo scalino della cucina guardando intorno e tenendosi il petto. L'asma lo soffocava, ma non c'era verso di farlo salire in stanza. Gin pallidissima avrebbe voluto lanciarsi di corsa per lo stradale a sincerare la notizia, ma l'aspetto sfinito del padre la tratteneva; il cortile era pieno di gente e ne veniva sempre. A quell'ora tutte e due le carrozze erano in grande ritardo. La folla inerte aspettava; i carabinieri erano partiti verso Bard.

      Dopo un gran silenzio, Barba Gris disse:

      —La posta ha la cornetta e l'America i sonagli.

      E tacque di nuovo.

      Un altro tempo di ansia silenziosa. Il cane del fornaio, dall'altro capo del paese, abbaiava forte come di notte; l'acqua della fontana chiaccherava nell'abbeveratoio.

      [pg!19] Si udì lontano il pêê pêê della cornetta.

      Allora il vecchio sorse come respinto da una molla, boccheggiò un momento, gli uscì dalle labbra due o tre volte: la mia! la mia! si lanciò nel mezzo del cortile, fra la gente che s'allargava in cerchio paurosa di pazzie, e si pose a ballare, dimenando alte le braccia, una danza pesante e dolorosamente scomposta.

      La cornetta trombettava più vicino, poi il carrozzone sboccò nel cortile. Il vecchio ballando sempre mosse ad incontrarla, ridendo con degli ah! singhiozzanti. Come la vide, allargò le braccia, mutò l'ah! della risata in un oh! di maraviglia angosciosa, e stramazzò a terra sul colpo come un sacco.

      Giac fece in tempo a trattenere i tre cavalli che quasi gli erano addosso. L'America incolume aveva raccolto parte del carico e il postiglione mal concio della diligenza postale. Avvicinandosi al paese aveva suonato la cornetta in segno di gioia per il pericolo scampato.

      Barba Gris era morto.

      Giac e Gin si sposarono dopo tre mesi. [pg!20]

      [pg!21]

       Indice

      Negli ultimi anni del regno di Vittorio Emanuele, i cacciatori di contrabbando erano in val d'Aosta tanto cresciuti di numero e di baldanza, che il Re aveva trovato di non potersene altrimenti liberare se non accogliendo fra i proprii guardacaccia alcuni degli stessi contravventori, i più audaci e fortunati.

      Tutti conoscono la gran passione che il Re aveva per la caccia alpina, della quale era gelosissimo; di più i frodatori cacciano purchessia, senza discrezione nè discernimento, ed al Re premeva non si estinguesse la bella razza degli [pg!22] stambecchi, della quale in tutta Europa sopravvivono pochi individui, rifugiati sulle falde e nei seni di quell'altissimo gruppo di montagne che si chiama il Gran Paradiso.

      Ma la caccia sovrana faceva gola ai touristes, la carne di stambecco è prelibata e molti Svizzeri avrebbero lautamente pagato un maschio ed una femmina vivi, per trapiantarne la razza e farla allignare nelle proprie montagne. Ne seguiva che parecchi degli stessi guardacaccia, se veniva loro il destro, tiravano la sua brava schioppettata e l'inverno salivano alle più alte foreste a cercarvi i novelli, volgendo a profitto della propria industria l'autorità di cui erano rivestiti e seguitando, s'intende, a far la guerra ai contrabbandieri, anzi tanto più perseguitandoli quanto più la comunanza dal ladroneggio li danneggiava. I contrabbandieri dal canto loro odiavano cordialmente le guardie, perchè erano guardie e perchè rubavano loro il mestiere e ne nascevano spesso delle scene violente e nelle alte solitudini non tutte le schioppettate miravano agli stambecchi, nè tutti i lamenti di feriti erano urli di fiera.

      Qualche volta, a sera, un montanaro rincasava col braccio e colla gamba fasciati alla meglio, la moglie impasticciava con erbe la ferita, faceva rapprendere il sangue con polvere da schioppo [pg!23] o tabacco trito, l'uomo stava per dei giorni al buio, nella tana umida, sotto il soffio sonnifero delle vacche, masticando cicche e bestemmie e in paese lo dicevano sceso a qualche fiera del Piemonte e tutti conoscevano l'accaduto e nessuno fiatava. Poi il feritore ed il ferito andavano insieme alla bettola, si puntellavano a vicenda tornandone briachi e sapevano tutti e due che alla prima salita in montagna guai trovarsi a tiro.

      Morto il Re, nei primi mesi fu una cuccagna generale di cacciatori ed uno sterminio di stambecchi e camosci.

      Un giorno, sul finire della primavera Gregorio Balmet e Vincenzo Marquettaz detto il Rosso, partirono per le vette della Nouva, colle altissimo che si connette alla punta di Lavina e di là al Gran Paradiso per una breve giogaia di creste rocciose pressochè inaccessibili. Sul versante che scende in Val Soana, la Nouva non ha nevi eterne, ma dalla parte di Cogne tutta la costiera del Gran Paradiso è fasciata da una cintura di piccole ghiacciaie ripidissime e più sotto da nevati che soltanto i solleoni di luglio e d'agosto possono sciogliere. Quei nevati sono causa di ritardo ai pastori, cosicchè la montagna tardi abitata e presto abbandonata dà sicurezza di vita e di pascolo all'abbondante selvaggina. Tutta la catena in alto si sviluppa in [pg!24] forma di un anfiteatro vastissimo del quale i punti estremi sono la Becca di Nona ed il Monte Emilius da un lato e dall'altro la Grivola colla sua affilata lama di ghiaccio. Dalla Grivola alla Becca di Nona l'occhio gira per i nevati del Lauzon, per il Gran Paradiso, la Lavina, la Nouva e la Tersiva, formidabile cerchia di nevi e ghiacci eterni, eterna sorgente di freschezza e di vigoria ai pascoli delle chine ed alle foreste della valle. Tali anfiteatri si incontrano spesso nelle Alpi, ma sogliono per lo più aprirsi a valle in un basso orizzonte di cielo; qui, dove i due estremi della catena scendono in Val d'Aosta, l'orizzonte è chiuso dalla larga mole del Monte Bianco; sicchè, veduta dalle alture della Nouva, tutta la vallata di Cogne appare come una gran conca, senza via d'uscita, smaltata in fondo di un verde cupo, più in alto del nericcio o rossastro colore delle roccie nude e sugli orli di un bianco immacolato e sfolgorante.

      Sotto le mezze luci crepuscolari o nelle giornate grigie, la conca di Cogne ha un dolce aspetto di tranquillità pastorale. Si direbbe che tutta la pace del mondo sia venuta a rifugiarvisi. Il colore quieto ed eguale, che addolcisce l'asprezza delle linee sembra impedirvi ogni moto violento. Le case basse dal largo tetto sporgente hanno l'aria di chioccie covanti; il velluto nuovo dei [pg!25] prati non ha un sol pelo irto. La foresta dorme immobile, rigida; le roccie non mostrano sporgenze e le nevi mute di riflessi paiono immensi guanciali morbidissimi.

      Ma al sole essa si agita ed assume una sembianza corrucciata e violenta. Incisa da valloni profondissimi essa non è mai tutta illuminata, nemmeno al meriggio. Sempre qualche ombra gigantesca lacera i prati, estingue per larghi tratti di corso il luccicare del torrente, spinge il nero profilo su per le pinete e mette in mezzo alla gaia fioritura estiva dei freddi lembi invernali. Veduta dall'alto, la conca mostra sempre

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