Novelle e paesi valdostani. Giacosa Giuseppe

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Novelle e paesi valdostani - Giacosa Giuseppe

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e soffocarlo. Ma il Monte Bianco vegliava alla sua salvezza e gli diceva di confidare, [pg!39] di non si muovere, che c'era lui, che con un soffio avrebbe sbarazzato il cielo tornandolo pulito come uno specchio. La lotta fu lunga ed accanita. Le nuvole s'accavallavano, si addensavano, diradavano, fuggivano, tornavano con moti convulsi, rigando il cielo di righe bianche esilissime, sporcandolo con grosse macchie grigiastre e color di piombo. La sete gli cresceva, era divenuta ardente, insopportabile, ma egli non poteva muoversi, sempre fisso nella raggiante gloria della grande montagna.

      La campana di Cogne suonò l'Ave Maria, le nubi vinsero, il Monte Bianco fu velato ed il Rosso chiuse gli occhi; morto.

      Il cielo s'abbassò fino a toccarlo! nella valle pioveva fitto e lassù sulle alture della Nouva, intorno al cadavere cominciò una battaglia di neve rabbiosa e cristallina che si risolvette poi in larghe falde, fioccanti silenziose a perpendicolo.

      Le donne degli alti villaggi intanto accorrevano alla chiesa e bisbigliavano fra loro di spiriti che la notte innanzi avevano empita di grida e gemiti la valle. [pg!40]

      [pg!41]

       Indice

      Ebbi una volta per guida uno strano uomo irrequieto e verboso, così dissimile da tutti gli altri del suo stato, che la prima metà della strada andai sempre cercando meco stesso un pretesto plausibile per tornar indietro e la seconda, devo dirlo, rimproverandomi di averlo giudicato male. Il modo con cui mi s'era offerto, il suo contegno, lo sguardo, il vestire, il passo, l'accento e perfino la forza erculea veramente straordinaria, tutto in lui m'era argomento di grave sospetto. Ero all'Albergo del Giomen, al Breil in Val Tournanche, e volevo recarmi in Val d'Ajaz all'albergo [pg!42] del Fiery dove avevo dato la posta a parecchi amici. Per il Colle delle Cime Bianche, che è il passaggio più diretto, ero passato altre volte, e poichè quello richiede otto buone ore di cammino, tanto valeva allungarla di tre o quattro, toccare il piccolo Cervino, una delle più mansuete vette del Monte Rosa, e scendere poi da quello in valle d'Ajaz.—Ma, avendo la valigia piuttosto greve, occorreva trovare un mulo che per le Cime Bianche me la portasse al Fiery ed una guida per me.—Ora di muli non ce n'era pur uno e la sola guida che si trovasse, uno svizzero di Zermatt, non voleva saperne di portar peso. Era dunque in pericolo, non solo la vagheggiata escursione al piccolo Cervino, ma altresì il mio passaggio più diretto per giungere al convegno.

      La vigilia del giorno che dovevo partire, stavo all'imbrunire sull'uscio dell'albergo, guardando inquieto verso le praterie che salgono al San Teodulo, caso mai capitassero guide o portatori di ritorno, quando venne il padrone a dirmi di aver trovato il mio uomo.

      —L'avete mandato a cercare?

      —È qui.

      —Quando è arrivato?

      —Ora.

      —Viene dal basso?

      —No signore, dalla montagna.

      [pg!43] —Impossibile, l'avrei visto scendere, sono qui in vedetta da un'ora.

      —Quello non passa dove passano gli altri.

      —Perchè?

      Ma l'oste non volle spiegarsi altrimenti; solo chiamò ad alta voce: Jacques.

      Era un bell'uomo alto alto, membruto, sui trent'anni; grondava di sudore e le stille gli si incanalavano in certe rughe profonde che davano al viso un'espressione di volontà dura e travagliosa. Gran naso retto, gran bocca, una selva di capelli neri e crespi, barba di due giorni. Volli rientrare per levarlo alla brezza assiderante, ma crollò le spalle e mi disse subito:

      —Lei vuole andare al Fiery e salire prima sul piccolo Cervino?

      —Al piccolo Cervino ci ho rinunziato, a meno che stassera non capiti un mulattiere che mi passi la valigia per le Cime Bianche.

      —La porto io.

      —Allora mi ci vorrebbe una guida per il Cervino.

      —Vengo io.

      —Voi volete portare la mia valigia lassù?

      —Quanto pesa?

      —Saranno quattro miria.

      —Bella roba! Mi dà quindici lire.

      Il prezzo era più che discreto; ma l'amico mi [pg!44] pareva un gradasso. Gli offersi di vedere almeno la valigia, ma ne rise. Non mi piaceva.

      —Voi fate la guida?

      —Sicuro.

      —Avete il libretto?

      —No. Ho il certificato di congedo assoluto. Ero in artiglieria.

      —Come vi chiamate?

      —Tutto per quindici lire?

      E si mise a ridere con un'aria acerba.

      —Basta, il nome glie lo dico gratis. Mi chiamo Giacomo Balma. Le accomoda?

      Visto che il suo ghigno non mi andava, mutò faccia subitamente e aggiunse con accento profondo:

      —Tre scudi mi fanno comodo, sa; domani sera mi saprà dire se li ho meritati.

      E dopo una pausa indagatrice:

      —L'oste mi ha detto che lei lo conosce da un pezzo. Gli domandi pure di me. Riverisco.

      E scese in cucina.

      L'indomani partimmo alle tre della mattina. La mia valigia a soffietto, piena zeppa gli parve un fuscello: la portava legata con corde al dorso, come un zaino. Camminava leggiero e spedito zufolando la marcia del Flick e Flock in tempo da bersagliere. La sua andatura aveva qualche cosa d'insolito: non sapevo dire che fosse, ma [pg!45] la avvertivo dissimile dall'altre; più tardi me ne diedi conto: il suo passo non faceva rumore, sembrava sfiorare la terra. Appena avviato s'era messo a discorrere, ma fosse il sonno o il senso di disagio che mi dava la sua compagnia, non gli risposi. Tentò due o tre argomenti, poi smesse e prese a zufolare affrettando il passo. Per salire al piccolo Cervino, si passa il colle del Saint Theodule, un colle di ghiacciaio, la cui altezza rimane impressa a memoria per i quattro 3 che ne formano la cifra. È alto 3333 metri. Di solito partendo dal Giomen si sale tosto per il dorso erboso del monte e si affronta poi il ghiacciaio in alto, dov'è quasi piano e quindi meno rotto dai crepacci. Il mio uomo prese invece ad aggirare il monte nella sua falda più bassa, finchè non ebbe trovato una specie di canale inciso nella rocca viva, scabrosissimo e nudo come una lavagna; lo imboccò senza interrogarmi, e vi si inerpicava lesto come uno scoiattolo. Certo a quel modo la salita era più divertente e spedita; dove ci s'aiuta di mani e di ginocchia ed ogni passo vuol essere studiato e misurato, la mente distratta non avverte la fatica; senza contare che il lavoro compiuto appare evidente e l'altezza guadagnata vi ripaga dello sforzo. Ma in certi punti il canale era così scosceso da impensierire. Sul principio, Jacques, nei punti più [pg!46] ardui si voltava e mi porgeva la mano, ma fresco di forze avevo respinto l'aiuto, orgoglioso di cimentarmi colla dura montagna. Allora l'amico s'era messo a camminare per suo conto, abbandonandomi al mio destino. Pericolo di vita non c'era mai,

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