Europa en su teatro. AAVV
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Reperti archeologici, documenti storici, testi letterari e fonti iconografiche ci informano della reale entità, consistenza e persistenza di un fenomeno che gli antropologi culturali, gli etnologi, gli storici delle religioni, ci insegnano essere stato sempre collegato con eventi rituali che caratterizzavano i fatti fondamentali della vita sociale.20
Le relazioni ebbero il merito di riportare all’attenzione di un pubblico moderno paesaggi culturali e artistici circoscritti agli specialisti, come il mondo conviviale dei Greci21, degli Etruschi, dei Romani22 e dei Latini dell’Alto medioevo23; per cui il maggior numero delle relazioni fu dedicato a temi riguardanti: la musica24, la danza e l’acrobazia25, perché momenti di intrattenimento, non soltanto all’interno delle Corti, ma qualche volta anche per un più variato pubblico.
Lo spettacolo fu la messinscena di Cena Cypriani, un testo attribuito a San Cipriano, una attribuzione che non ha alcun fondamento storico. Storicamente certo è il rifacimento che ne fece Rabano Mauro di Magonza nell’855, come è certo che fu rappresentato nell’875 a Roma, forse per l’incoronazione di Carlo il Calvo.
A Viterbo fu allestito all’interno della Rocca Albornoz; fu un’esperienza di rara novità per gli spettatori e prova di una grande inventiva per il gruppo degli interpreti, dagli attori ai costumisti. Scriveva il regista:
Ci troviamo chiaramente davanti al divertimento e al delirio verbale di uno spirito allegro che attingendo a piene mani dal Vecchio e dal Nuovo Testamento si diverte a tracciare in assoluta libertà un canovaccio, una traccia verbale per una messinscena tutta da inventare per quei registi che si accingessero alla eventuale realizzazione.26
La rappresentazione, di fatto, consisteva nell’ingresso e nel passaggio in scena di personaggi tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, riconoscibili sia per la battuta con la quale si presentavano, cinquecentocinquanta citazioni dai Testi Sacri, sia per un segno appartenente alla loro immagine. Nessun dialogo, nessun monologo e, pertanto, nessuna fabula. Riproporre quel testo a più di mille anni di distanza fu un’operazione di grande rilevanza culturale.
Nel 1983 Il «Centro Studi sul Teatro Medievale e Rinascimentale» fu designato dalla Société Internationale pour l’Étude du Théâtre Médiéval per organizzare il Quarto colloquio. Si trattò di una designazione che era il riconoscimento in campo internazionale del valore scientifico che il «Centro» aveva a fondamento della sua attività: organizzazione dei Convegni, pubblicazione degli At-ti, allestimento degli spettacoli e documentazione filmica di questi. Attività che si completava con gli incontri che il «Centro» organizzava con i docenti delle scuole medie di Secondo grado di Viterbo, poi di Roma, incontri nei quali, proprio attraverso i filmati, venivano presentati documenti che proponevano un patrimonio culturale posto ai margini dei programmi scolastici.
Il Quarto colloquio della Société Internationale pour l’Étude du Théâtre Médiéval, per la quantità e qualità delle relazioni fu, nell’ambito degli studi sul teatro medievale, un evento di vaste proporzioni, il cui tema non poteva essere circoscritto a uno specifico argomento, ma doveva spaziare in più campi. E così poteva essere schematizzato:
Gli argomenti specifici, prescelti e segnalati dall’assemblea dei parte
cipanti al precedente Colloquio, erano:
1) quello assai vasto e generico dei «misteri»;
2) quello circoscritto ed esemplificativo del «processo di Paradiso e processo d’inferno e loro realizzazione scenica»;
3) infine quello operativo della «tecnologia della messa in scena».27
Ai partecipanti fu offerta, fuori degli orari del Convegno, la possibilità di visionare i documenti filmati delle rapresentazioni allestite per i precedenti incontri, ma anche la messinscena di un nuovo testo, Dittico di Erode. Laudi drammatiche perugine del 1300, realizzata nel Chiostro della Chiesa di Santa Maria del Paradiso.
Nel presentare la loro interpretazione del testo, gli attori con il loro regista avvertirono l’esigenza di puntualizzare il senso della loro operazione nei confronti di un testo del passato. E il regista scriveva:
È per questo che, nonostante ogni sforzo di filologia, noi non possiamo (e non vogliamo) arrivare al vero storico: ci basta il probabile, il verisimile, l’ipotetico, ed è per questo che non possiamo presentare un testo senza contaminarlo con le nostre interpretazioni e con la nostra invadente coscienza di uomini venuti dopo.28
Lo spettacolo era composto da due laudi, che, di fatto, nel XIV secolo si recitavano in giorni diversi nell’arco dell’anno.
Il luogo nel quale fu allestita la rappresentazione era quello nel quale quattro anni prima era stata proposta l’Ecerinis. Ma questa scelta non fu determinata dalla mancanza di altre ipotesi, perché la città di Viterbo, tra Chiostri e Chiese, offre tanti altri ambienti all’interno dei quali le suggestioni del passato sono tangibili, ma fu dovuta a convenienze dell’immediato. Il Chiostro di Santa Maria del Paradiso, in realtà, da sessanta anni in qua ha perso il suo isolamento e, ora, è circondato da nuovi edifici; ed è, forse, questa realtà urbanistica che suggerisce a chi entra nel Chiostro la sensazione di lasciarsi alle spalle palazzi e traffico e di trovarsi in una dimensione lontana nel tempo. Di fatto il tessuto urbano della città lascia ancora percepire, anche se immersi nel cemento, quelli che dovevano essere i poli della società medioevale e rinascimentale: l’ambito urbano del potere religioso e l’ambito urbano del potere politico interni alle mura, con i conventi e monasteri dentro e fuori di queste.29 Ciò che di essi è stato smarrito nell’assetto urbanistico moderno è una lettura paratattica della città come riflesso della società, per cui le piazze, le chiese, i chiostri attualmente esprimono una loro decisa soggettività e possono generare quella trasfigurazione del reale che può accogliere la rivivificazione di frammenti di cultura a loro coevi.
Nel 1984 tema del Convegno fu Origini del dramma pastorale in Europa, tema che ancora affascina per la sua apparente distanza dal reale; e gli studiosi, prevalentemente italiani, oltre a un francese e a uno spagnolo, non mancarono di far riferimenti a questioni di ordine metodologico. Per tanto: quanto c’è di reale della vita dei pastori nella letteratura del tempo? Quale relazione sussiste tra la figurazione poetica e la realtà storica del XV secolo, oppure tra figurazione pastorale e ricreazione scenica? Furono questi i temi che disegnarono la trama dello svolgimento del Convegno e che può essere riassunta nella seguente affermazione:
Non si tratta insomma di semplice gusto della finzione e dell’artificio, ma di sfruttamento interessato di un fertile canovaccio e di accoglienti fondali che si prestano ad ospitare ed inquadrare