Il Dono Del Reietto. Mario Micolucci

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Il Dono Del Reietto - Mario Micolucci

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mangiando uova o piccoli pennuti non ancora pronti per il volo.

      Quando fu in vista della città, scorgendone le alte mura di legno, ne rimase impressionato e in un qualche senso intimorito. In quel momento, comprese appieno perché i razziatori si limitassero a saccheggiare solo i piccoli e poveri villaggi, evitando le più ricche e prospere città. Assediare e conquistare una città fortificata non era impresa da poco e, sapendo che le sue mura erano di legno trasmutato e ignifugo, l'impresa appariva pressoché impossibile.

      Eppure, c'erano stati tempi in cui le orde dei goblin erano in grado di conquistare e radere al suolo fortezze ben più maestose di quella che gli si prospettava davanti:

      «Nessuna fortezza resisteva alle schiere di Corrupto a milioni giungevano e come uno sciame di termiti scalavano mura, attraversavano fossati e aprivano brecce. Cadde Roccathon con le mura alte cinquanta passi; cadde Velatia circondata dalle acque mortali; cadde Aquiladria arroccata sulle alte vette; cadde Artanthia dalle dieci cinte...» recitava Djeek mentre, uscito dal folto della vegetazione, si avvicinava a Forte di Legno.

      Quando si approssimò ulteriormente, vide che la grande porta occidentale era aperta: evidentemente, la situazione era abbastanza tranquilla e le scorribande dei pochi goblin rimasti a Grande Palude, da tempo, non interessavano più le città. Sulle mura, garrivano tre grandi bandiere: una con il simbolo di un umano nudo a gambe e braccia spalancate su sfondo bianco, l'altra con un arco e freccia su sfondo verde e quella centrale con un'ampolla sempre su sfondo verde. L'ampolla doveva essere il vessillo del Marchese, visto che, come aveva appreso da Aliah, fondava la sua fortuna sulla produzione della resina per il legno; l'arco e la freccia erano il simbolo del Regno di Faunna, dato che le foreste erano il territorio di caccia prediletto da tutti i nobili del continente, mentre per esclusione, l'umano nudo rappresentava l'Impero, anche se non ne comprendeva bene il significato. A guardia della porta, erano appostate due sentinelle, mentre altre due erano posizionate sulle torrette poste ai due lati dell'accesso. Fu proprio una di queste che scoccò una freccia: essa si andò a conficcare sul legno del carretto in segno di monito.

      «Altolà, goblin! Come osi avvicinarti così spavaldamente alla nostra città?»

      Djeek, era terrorizzato, gli umani che era uso vedere erano quelli schiavizzati che i razziatori riportavano nudi, incatenati e disarmati. Questi, invece, indossavano una cotta di maglia che copriva anche la testa e su di essa era posta una corazza verde di cuoio indurito recante il simbolo dell'ampolla. Oltre che dell'arco, disponevano di una spada mantenuta tramite un fodero alla cintura e di un coltello da caccia inserito in un'apposita fibbia sul corsetto.

      Il goblin, disorientato e un po' inibito, esitò troppo nel dare una risposta e ciò gli costò che un'altra freccia gli passasse sibilando accanto all'orecchio.

      «S-so... sono stato inviato dalla Signora della Palude, devo vedere il Maestro Aaron Mansil. Non tirate vi prego!»

      «Ah! Quella vecchia strega mostruosa. Sei in anticipo» osservò quello che doveva essere il capitano. «Arnold, va a controllare la merce!» ordinò poi.

      «Signor sì. Capitano Marbel!» Una delle guardie al cancello, un tipo magro dall'aspetto astuto, si avvicinò a Djeek con passo al tempo stesso rapido e circospetto. Puntandogli coltello da caccia, gli ordinò: «Apri quel barile in basso a destra!» e, fatti un paio di passi indietro, rimase a guardare arrotolandosi tra le dita uno dei suoi baffetti all'insù.

      Djeek, non disponendo di alcun attrezzo per aprire il barile, provo in tutti i modi; tuttavia il coperchio non voleva saperne di venire fuori dall'incastro. Stava per desistere, ma quando vide un'altra freccia conficcarsi nel terreno nei pressi di un suo piede ce la mise tutta: strinse il barile tra le gambe, infilò le dita tra le fessure e tirò con tutta la forza di cui disponeva, sentì anche un unghia spezzarsi, ma continuò. Il coperchio saltò fuori di colpo facendolo ruzzolare a terra e parte del contenuto polveroso gli si versò addosso pietrificando all'istante gran parte della sua veste e anche alcune zone della sua pelle. Provò a rialzarsi, ma il vestito, ormai rigido, gli impediva ogni movimento. Si ritrovò a dimenarsi inerme con la schiena a terra come una tartaruga rovesciata sul dorso.

      Le guardie persero ogni freno inibitorio di serietà impostogli dal ruolo e sbottarono a ridere di gusto; ciò almeno, finché il capitano, ricomponendosi, ordinò: «Jerome porta la biga dall'alchimista e, visto che ti ci trovi, caricaci sopra quel goblin testuggine» e trattenendo a stento le risate, aggiunse: «Puoi anche non legarlo, quel cretino l'ha fatto da solo. Arnold va con loro, sarà Sir Mansil a darti nuove istruzioni.»

      Jerome, una guardia corpulenta dallo sguardo ottuso, raccolse senza sforzo il barile, lo chiuse e lo issò sul carretto, poi tirò su l'inerme goblin usando la sua cintola come fosse un manico rigido e lo depositò sul carico. Entrarono, quindi, nell’abitato. Arnold, con occhi vigili, si occupava di scortarli impedendo ai curiosi di avvicinarsi troppo.

      Djeek osservò con grande curiosità l'interno della città. Vide umani indaffarati per le strade e bambini correre e giocare per le vie: alcuni lo indicavano e lo guardavano con interesse, altri ridevano divertiti, altri ancora correvano allarmati dai genitori, piangendo. Poi, passò in un mercato e, tra tutte le cose che osservò, fu colpito da una grande gabbia di conigli: doveva essere un sogno, tanti roditori inermi pronti a essere presi e divorati con il cuore ancora pulsante. Desiderò di poter entrare in quella gabbia e dare sfogo a tutti i suoi istinti famelici assaggiando un po' qua e un po' là tutto quel tesoro culinario. Vide anche altri animali morti e appesi, ma non avevano la succulenza delle prede vive: che spreco ucciderle prima di assaggiarne il sangue ancora caldo. Ciò che non capiva era, come di fronte a tutto quel ben di Corrupto, gli umani non si azzuffassero per impadronirsi del bottino migliore.

      Le abitazioni, seppur di legno, avevano un aspetto solido e rifinito ed erano prive di falle. Le porte e le finestre potevano essere sprangate. La cosa che più lo colpì era che le case avessero più piani e che stessero comunque in piedi. Per quanto urbanisticamente caotica, per Djeek, quella città aveva un aspetto talmente ordinato e lindo da inquietarlo.

      A un certo punto, Jerome portò il carretto ai margini della via, si fermò e, insieme a l'altra guardia, si immobilizzò in una strana posa rigida ed eretta con una mano sulla fronte come per ripararsi dal sole: tutto per permettere il passaggio di una carovana formata da un grosso carro corazzato. Esso era trainato da ben sei palafreni con a seguito una dozzina di cavalieri umani vestiti con armature metalliche sfavillanti e sontuosi mantelli recanti il simbolo dell'Impero.

      Quando il convoglio fu passato, Arnold riprese a muoversi dicendo: «Finalmente, questi presuntuosi degli Imperiali lasciano la città.»

      «Ben detto! Erano qui da meno di tre giorni e già non ne potevo più della loro supponenza e del loro atteggiarsi: ci trattano come insignificanti guardie provinciali, eppure siamo noi che vigiliamo sui loro confini occidentali e, ogni giorno, teniamo lontane le insidie che vengono dalla Palude.»

      «Non ti sarai offeso perché ieri uno di loro ti ha chiamato stupido gorilla?»

      «Io offeso! Come ti permetti! E a te, allora, che hanno detto che pesi meno della tua armatura?»

      «Su non fare il permaloso! In fondo, se adesso questa città prospera lo dobbiamo soprattutto all'oro che le casse imperiali ci forniscono in cambio della resina miracolosa. E poi, ringrazia che non sia venuto anche l'Imperatore per una battuta di caccia!»

      «E già! Mi ricordo tre anni fa! Sono rimasti per ben quattro settimane e le guardie d'elite erano ancora più spocchiose e presuntuose di queste.»

      Superato il mercato, Jerome condusse la biga attraverso un'altra porta sorvegliata che, attraversando una cinta muraria, conduceva nella parte più interna della città. Lì le case, seppur lignee, erano molto

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