Il Segreto Dell'Orologiaio. Jack Benton
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“Sì, un amico.”
“Quindi immagino che questa le appartenga,” disse, scuotendo la busta come per ricordare a Slim della sua esistenza.
Slim la prese, percependo immediatamente la delicatezza della carta invecchiata insieme all’umidità. Se avesse provato ad aprirla, la busta si sarebbe sgretolata fra le sue dita e ogni messaggio contenuto al suo interno si sarebbe perduto.
“Ah, ecco dov’era andata a finire,” disse, sfoggiando un sorriso poco convincente. “La stavo cercando.”
“Immagino, Signor—?”
“Hardy. John Hardy, ma le persone mi chiamano Slim.”
“Non oserò chiedere il perché.”
“Meglio così. Non è una storia che merita di essere raccontata.”
Bunce sospirò di nuovo. Rigirò l’orologio un’ultima volta. “È incompiuto,” disse, confermando ciò che Slim aveva già ipotizzato. “Immagino che il suo amico Birch glielo abbia lasciato come regalo? Non avrebbe potuto venderlo in queste condizioni, un uomo con la sua reputazione.”
“Sembra che lo conoscesse bene.”
“Eravamo amici ai tempi della scuola. Amos aveva due anni in più di me, ma non c’erano molti bambini. Ci conoscevamo tutti.”
“Una comunità molto affiatata.”
“Non è di qua, vero, Signor Hardy?”
Slim aveva sempre ritenuto di avere una parlata piuttosto neutra, ed era proprio questo che lo rendeva un forestiero in terre dove ci si aspettava un forte accento dell’ovest.
“Lancashire,” disse. “Ma ho trascorso molto tempo all’estero.”
“Esercito?”
“Come faceva a saperlo?”
“I suoi occhi,” disse Bunce. “Infestati da fantasmi.”
Slim fece un passo indietro. Una serie di ricordi indesiderati cominciò a passargli davanti, così se li scrollò di dosso, facendoli svanire.
“Anche lei era nell’esercito?”
“Isole Falkland. Meno ne parlo, meglio è.”
Slim annuì. Almeno avevano un punto d’incontro. “Beh, credo di averle rubato anche troppo del suo tempo—”
“Potrebbe farci qualche centinaia,” disse Bunce improvvisamente, con in mano l’orologio. “Forse qualcosa in più se riesce a metterlo all’asta. Ci sono collezionisti di orologi di Amos Birch, per quanto rari. È incompleto e ha qualche danno estetico, me è comunque un Amos Birch originale. Erano molto ricercati un tempo. Amos creò un’industria artigianale prima che iniziasse ad andare di moda.”
“Un tempo?”
Bunce aggrottò la fronte e Slim sentì le proprie bugie sgretolarsi tutto d’un tratto.
“L’interesse per Amos Birch fu scemando dopo la sua scomparsa.”
“Dopo la…?”
“Ne è al corrente, non è vero, Signor Hardy, che il suo amico risulta scomparso da oltre vent’anni?”
5
Il Crown & Lion, il malinconico pub sul confine di Penleven, emarginato dal quartiere più vicino da una fitta cortina di alberi, non era mai stato tanto invitante. Dall’unica fermata dell’autobus del paese, Slim non aveva altra scelta che passarci davanti per raggiungere il Bed & Breakfast e, anche se normalmente si sarebbe fermato per cenare nel malandato salone per famiglie, bramando un sorso di ciò che avrebbe cancellato gli ultimi tre mesi di sobrietà nel battito di ciglio di un incredulo abitante del luogo, stasera era vittima di quella vecchia tensione, quella nervosa agitazione che avrebbe potuto farlo crollare. Le persone dicono che non si smette mai di essere un alcolista e, anche se Slim sperava di potersi godere una birra di tanto in tanto un giorno, quegli anni di libertà e appagamento erano solo un lontano ricordo. Lanciò un’occhiata nostalgica alle luci del pub dalla finestra, per poi rimettersi in marcia.
La pensione era silenziosa al suo arrivo, ma oltre una porta chiusa si sentiva il suono soffocato di una tv a basso volume. Slim aprì la porta e vide la Signora Greyson addormentata sulla sua poltrona, davanti alla stufa elettrica. Il telecomando del televisore era appoggiato sul bracciolo, come se avesse abbassato il volume prevedendo di addormentarsi.
Slim si diresse di sopra. Mise l’orologio sul letto e uscì di nuovo. A poco meno di un chilometro di distanza, fuori dall’unico alimentari della città, Slim trovò una cabina telefonica.
Chiamò un amico del Lancashire. Kay Skelton era un esperto in linguistica e traduzioni, che Slim aveva conosciuto ai tempi dell’esercito e con cui aveva già collaborato. Slim gli raccontò dell’antica lettera trovata sul retro dell’orologio.
“Se c’è scritto qualcosa, devo sapere cos’è,” disse Slim.
“Inviamela come raccomandata,” disse Kay. “Non è qualcosa che io sappia fare, ma ho un amico che può aiutarti.”
Dopo aver concluso la chiamata, Slim si sorprese di trovare l’alimentari ancora aperto, quasi alle sei e un quarto.
“Sto chiudendo,” fu il benvenuto severo della commerciante, una donna anziana dal volto così amareggiato che Slim iniziò a dubitare che, anche volendo, riuscisse a sorridere.
“Ci metto solo un minuto,” disse Slim.
“Quello che dicono tutti, non è vero?” rispose con un ghigno, accompagnato da una risata sarcastica, che lasciarono Slim incapace di decifrare se stesse scherzando o essendo scortese.
Dopo aver comprato una busta, Slim scoprì che, sì, il negozio era anche l’ufficio postale del paese, e sì, inviavano anche raccomandate, nonostante una sovrattassa per il servizio fuori dall’orario di funzionamento delle poste.
“Trelee è lontana da qui?” chiese, mentre la commerciante lo stava scortando alla porta senza troppi giri di parole.
“Perché dovrebbe andarci? Non c’è molto da vedere per i turisti.”
“Ho sentito dire che è un posto alquanto misterioso.”
La commerciante alzò gli occhi al soffitto. “Ah, sta parlando di Amos Birch, l’orologiaio. Pensavo fosse acqua passata. Cosa le importa di un vecchio scomparso?”
“Sono un investigatore privato. La sua storia ha catturato il mio