Decameron. Giovanni Boccaccio

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Decameron - Giovanni Boccaccio

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sia, io intendo che egli e non altri abbia questo beneficio che il re promette così grande per te, e ti rinsegni sì come figliuolo del conte d’Anguersa, e per la Violante tua sorella e sua mogliere, e per me che il conte d’Anguersa e vostro padre sono.»

      Perotto, udendo questo e fiso guardandolo, tantosto il riconobbe: e piagnendo gli si gittò a’ piedi e abbracciollo dicendo: «Padre mio, voi siate il molto ben venuto!»

      Giachetto, prima udendo ciò che il conte detto avea e poi veggendo quello che Perotto faceva, fu a un’ora da tanta maraviglia e da tanta allegrezza soprapreso, che appena sapeva che far si dovesse. Ma pur, dando alle parole fede e vergognandosi forte di parole ingiuriose già da lui verso il conte ragazzo usate, piagnendo gli si lasciò cadere a’ piedi e umilmente d’ogni oltraggio passato domandò perdonanza: la quale il conte assai benignamente, in piè rilevatolo, gli diede. E poi che i varii casi di ciascuno tutti e tre ragionati ebbero, e molto piantosi e molto rallegratosi insieme, volendo Perotto e Giachetto rivestire il conte, per niuna maniera il sofferse ma volle che, avendo prima Giachetto certezza d’avere il guiderdon promesso, così fatto e in quello abito di ragazzo, per farlo più vergognare, gliele presentasse.

      Giachetto adunque col conte e con Perotto appresso venne davanti al re e offerse di presentargli il conte e i figliuoli, dove, secondo la grida fatta, guiderdonare il dovesse. Il re prestamente per tutti fece il guiderdon venire maraviglioso agli occhi di Giachetto, e comandò che via il portasse dove con verità il conte e’ figliuoli dimostrasse come promettea. Giachetto allora, voltatosi indietro e davanti messisi il conte suo ragazzo e Perotto, disse: «Monsignore, ecco qui il padre e ’l figliuolo; la figliuola, ch’è mia mogliere e non è qui, con l’aiuto di Dio tosto vedrete.»

      Il re, udendo questo, guardò il conte: e quantunque molto da quello che esser solea transmutato fosse, pur dopo l’averlo alquanto guardato il riconobbe, e quasi con le lagrime in su gli occhi lui che ginocchione stava levò in piede e il basciò e abracciò; e amichevolmente ricevette Perotto, e comandò che incontanente il conte di vestimenti, di famiglia e di cavalli e d’arnesi rimesso fosse in assetto, secondo che alla sua nobilità si richiedea; la qual cosa tantosto fu fatta. Oltre a questo, onorò il re molto Giachetto e volle ogni cosa sapere di tutti i suoi preteriti casi; e quando Giachetto prese gli alti guiderdoni per l’avere insegnati il conte e’ figliuoli, gli disse il conte: «Prendi cotesti doni dalla magnificenza di monsignore lo re, e ricordera’ti di dire a tuo padre che i tuoi figliuoli, suoi e miei nepoti, non son per madre nati di paltoniere.»

      Giachetto prese i doni e fece a Parigi venir la moglie e la suocera, e vennevi la moglie di Perotto; e quivi in grandissima festa furono col conte, il quale il re avea in ogni suo ben rimesso, e maggior fattolo che fosse già mai; poi ciascuno con la sua licenzia tornò a casa sua. E esso infino alla morte visse in Parigi più gloriosamente che mai.

      NOVELLA NONA

      Bernabò da Genova, da Ambruogiuolo ingannato, perde il suo e comanda che la moglie innocente sia uccisa; ella scampa e in abito d’uomo serve il soldano: ritrova lo ’ngannatore e Bernabò conduce in Alessandria, dove, lo ’ngannatore punito, ripreso abito feminile, col marito ricchi si tornano a Genova.

      Avendo Elissa con la sua compassionevole novella il suo dover fornito, Filomena reina, la quale bella e grande era della persona e nel viso più che altra piacevole e ridente, sopra sé recatasi, disse: – Servar si vogliono i patti a Dioneo, e però, non restandoci altri che egli e io a novellare, io dirò prima la mia e esso, che di grazia il chiese, l’ultimo fia che dirà. – E questo detto così cominciò.

      Suolsi tra’ volgari spesse volte dire un cotal proverbio: che lo ’ngannatore rimane a piè dello ’ngannato; il quale non pare che per alcuna ragione si possa mostrare esser vero, se per gli accidenti che avvengono non si mostrasse. E per ciò, seguendo la proposta, questo insiememente, carissime donne, esser vero come si dice m’è venuto in talento di dimostrarvi; né vi dovrà esser discaro d’averlo udito, acciò che dagl’ingannatori guardar vi sappiate.

      Erano in Parigi in uno albergo alquanti grandissimi mercatanti italiani, qual per una bisogna e qual per un’altra, secondo la loro usanza; e avendo una sera fra l’altre tutti lietamente cenato, cominciarono di diverse cose a ragionare, e d’un ragionamento in altro travalicando pervennero a dire delle lor donne, le quali alle lor case avevan lasciate.

      E motteggiando cominciò alcuno a dire: «Io non so come la mia si fa: ma questo so io bene, che quando qui mi viene alle mani alcuna giovinetta, che mi piaccia, io lascio stare dall’un de’ lati l’amore il quale io porto a mia mogliere e prendo di questa qua quello piacere che io posso.»

      L’altro rispose: «E io fo il simigliante, per ciò che se io credo che la mia donna alcuna sua ventura procacci, ella il fa, e se io nol credo, sì ’l fa; e per ciò a fare a far sia: quale asino dà in parete, tal riceve.»

      Il terzo quasi in questa medesima sentenza parlando pervenne: e brievemente tutti pareva che a questo s’accordassero, che le donne lasciate da loro non volessero perder tempo.

      Un solamente, il quale avea nome Bernabò Lomellin da Genova, disse il contrario, affermando sé di spezial grazia da Dio avere una donna per moglie la più compiuta di tutte quelle virtù che donna o ancora cavaliere in gran parte o donzello dee avere, che forse in Italia ne fosse un’altra: per ciò che ella era bella del corpo e giovane ancora assai e destra e atante della persona, né alcuna cosa era che a donna appartenesse, sì come di lavorare lavorii di seta e simili cose, che ella non facesse meglio che alcuna altra. Oltre a questo, niuno scudiere, o famigliare che dir vogliamo, diceva trovarsi il quale meglio né più accortamente servisse a una tavola d’un signore, che serviva ella, sì come colei che era costumatissima, savia e discreta molto. Appresso questo la commendò meglio saper cavalcare un cavallo, tenere uno uccello, leggere e scrivere e fare una ragione che se un mercatante fosse; e da questo, dopo molte altre lode, pervenne a quello di che quivi si ragionava, affermando con saramento niuna altra più onesta né più casta potersene trovar di lei; per la qual cosa egli credeva certamente che, se egli diece anni o sempre mai fuori di casa dimorasse, che ella mai a così fatte novelle non intenderebbe con altro uomo.

      Era tra questi mercatanti che così ragionavano un giovane mercatante chiamato Ambruogiuolo da Piagenza, il quale di questa ultima loda che Bernabò avea data alla sua donna cominciò a far le maggior risa del mondo; e gabbando il domandò se lo ’mperadore gli avea questo privilegio più che a tutti gli altri uomini conceduto. Bernabò un poco turbatetto disse che non lo ’mperadore ma Idio, il quale poteva un poco più che lo ’mperadore, gli avea questa grazia conceduta.

      Allora disse Ambruogiuolo: «Bernabò, io non dubito punto che tu non ti creda dir vero, ma, per quello che a me paia, tu hai poco riguardato alla natura delle cose, per ciò che, se riguardato v’avessi, non ti sento di sì grosso ingegno, che tu non avessi in quella cognosciute cose che ti farebbono sopra questa materia più temperatamente parlare. E per ciò che tu non creda che noi, che molto largo abbiamo delle nostre mogli parlato, crediamo avere altra moglie o altramenti fatta che tu, ma da un naturale avvedimento mossi così abbian detto, voglio un poco con teco sopra questa materia ragionare. Io ho sempre inteso l’uomo essere il più nobile animale che tra’ mortali fosse creato da Dio, e appresso la femina; ma l’uomo, sì come generalmente si crede e vede per opere, è più perfetto; e avendo più di perfezione, senza alcun fallo dee avere più di fermezza e così ha, per ciò che universalmente le femine sono più mobili, e il perché si potrebbe per molte ragioni naturali dimostrare, le quali al presente intendo di lasciare stare. Se l’uomo adunque è di maggior fermezza e non si può tenere che non condiscenda, lasciamo stare a una che ’l prieghi, ma pure a non disiderare una che gli piaccia, e, oltre al disidero, di far ciò che può acciò che con quella esser possa, e questo non una volta il mese ma mille il giorno avvenirgli: che speri tu che una donna, naturalmente mobile, possa fare a’ prieghi, alle lusinghe, a’ doni, a’ mille altri modi che userà uno uom savio che l’ami? credi che ella si

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