Decameron. Giovanni Boccaccio
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Fatta adunque la concession dal soldano a Sicurano, esso, piagnendo e inginocchion dinanzi al soldano gittatosi, quasi a un’ora la maschil voce e il più non volere maschio parere si partì, e disse: «Signor mio, io sono la misera sventurata Zinevra, sei anni andata tapinando in forma d’uom per lo mondo, da questo traditor d’Ambruogiuolo falsamente e reamente vituperata, e da questo crudele e iniquo uomo data a uccidere a un suo fante e a mangiare a’ lupi.» E stracciando i panni dinanzi e mostrando il petto, sé esser femina e al soldano e a ciascuno altro fece palese, rivolgendosi poi a Ambruogiuolo ingiuriosamente domandandolo quando mai, secondo che egli avanti si vantava, con lei giaciuto fosse; il quale, già riconoscendola e per vergogna quasi mutolo divenuto, niente dicea.
Il soldano, il quale sempre per uomo avuta l’avea, questo vedendo e udendo venne in tanta maraviglia, che più volte quello che egli vedeva e udiva credette più tosto esser sogno che vero. Ma pur, poi che la maraviglia cessò, la verità conoscendo, con somma laude la vita e la constanzia e i costumi e la virtù della Ginevra, infino allora stata Sicuran chiamata, commendò. E fattile venire onorevolissimi vestimenti feminili e donne che compagnia le tenessero, secondo la dimanda fatta da lei a Bernabò perdonò la meritata morte. Il quale, riconosciutala, a’ piedi di lei si gittò piagnendo e domandò perdonanza, la quale ella, quantunque egli mal degno ne fosse, benignamente gli diede, e in piede il fece levare teneramente sì come suo marito abbracciandolo.
Il soldano appresso comandò che incontanente Ambruogiuolo in alcuno alto luogo nella città fosse al sole legato a un palo e unto di mele, né quindi mai, infino a tanto che per se medesimo non cadesse, levato fosse; e così fu fatto. Appresso questo comandò che ciò che d’Ambruogiuolo stato era fosse alla donna donato, che non era sì poco che oltre a diecemilia dobbre non valesse: e egli, fatta apprestare una bellissima festa, in quella Bernabò come marito di madonna Zinevra e madonna Zinevra sì come valorosissima donna onorò, e donolle che in gioie e che in vasellamenti d’oro e d’ariento e che in denari, quello che valse meglio d’altre diecemilia dobbre. E fatto loro apprestare un legno, poi che fatta fu la festa, gli licenziò di potersi tornare a Genova al lor piacere: dove ricchissimi e con grande allegrezza tornarono, e con sommo onore ricevuti furono, e spezialmente madonna Zinevra, la quale da tutti si credeva che morta fosse; e sempre di gran virtù e da molto, mentre visse, fu reputata.
Ambruogiuolo il dì medesimo che legato fu al palo e unto di mele, con sua grandissima angoscia dalle mosche e dalle vespe e da’ tafani, de’ quali quel paese è copioso molto, fu non solamente ucciso ma infino all’ossa divorato: le quali bianche rimase e a’ nervi appiccate, poi lungo tempo, senza esser mosse, della sua malvagità fecero a chiunque le vide testimonianza. E così rimase lo ’ngannatore a piè dello ’ngannato.
NOVELLA DECIMA
Paganino da Monaco ruba la moglie a messer Ricciardo di Chinzica; il quale, sappiendo dove ella è, va, e diventa amico di Paganino; raddomandagliele, e egli, dove ella voglia, gliele concede; ella non vuol con lui tornare e, morto messer Ricciardo, moglie di Paganin diviene.
Ciascuno della onesta brigata sommamente commendò per bella la novella dalla loro reina contata, e massimamente Dioneo, al qual solo per la presente giornata restava il novellare. Il quale, dopo molte commendazioni di quella fatte, disse.
Belle donne, una parte della novella della reina m’ha fatto mutar consiglio di dirne una, che all’animo m’era, a doverne un’altra dire: e questa è la bestialità di Bernabò, come che bene ne gli avvenisse, e di tutti gli altri che quello si danno a credere che esso di creder mostrava: cioè che essi, andando per lo mondo e con questa e con quella ora una volta ora un’altra sollazzandosi, s’immaginan che le donne a casa rimase si tengan le mani a cintola, quasi noi non conosciamo, che tra esse nasciamo e cresciamo e stiamo, di che elle sien vaghe. La qual dicendo, a un’ora vi mostrerò chente sia la sciocchezza di questi cotali, e quanto ancora sia maggior quella di coloro li quali, sé più che la natura possenti estimando, si credon quello con dimostrazioni favolose potere che essi non possono, e sforzansi d’altrui recare a quello che essi sono, non patendolo la natura di chi è tirato.
Fu adunque in Pisa un giudice, più che di corporal forza dotato d’ingegno, il cui nome fu messer Riccardo di Chinzica; il quale, forse credendosi con quelle medesime opere sodisfare alla moglie che egli faceva agli studii, essendo molto ricco, con non piccola sollecitudine cercò d’avere e bella e giovane donna per moglie, dove e l’uno e l’altro, se così avesse saputo consigliar sé come altrui faceva, doveva fuggire. E quello gli venne fatto, per ciò che messer Lotto Gualandi per moglie gli diede una sua figliuola il cui nome era Bartolomea, una delle più belle e delle più vaghe giovani di Pisa, come che poche ve n’abbiano che lucertole verminare non paiano. La quale il giudice menata con grandissima festa a casa sua, e fatte le nozze belle e magnifiche, pur per la prima notte incappò una volta per consumare il matrimonio a toccarla e di poco fallò che egli quella una non fece tavola; il quale poi la mattina, sì come colui che era magro e secco e di poco spirito, convenne che con vernaccia e con confetti ristorativi e con altri argomenti nel mondo si ritornasse.
Or questo messer lo giudice, migliore stimatore delle sue forze che stato non era avanti, incominciò a insegnare a costei un calendaro buono da fanciulli che stanno a leggere e forse già stato fatto a Ravenna. Per ciò che, secondo che egli le mostrava, niun dì era che non solamente una festa ma molte non ne fossero, a reverenza delle quali per diverse cagioni mostrava l’uomo e la donna doversi abstenere da così fatti congiugnimenti, sopra questi aggiugnendo digiuni e quatro tempora e vigilie d’apostoli e di mille altri santi e venerdì e sabati e la domenica del Signore e la quaresima tutta, e certi punti della luna e altre eccezion molte, avvisandosi forse che così feria far si convenisse con le donne nel letto, come egli faceva talvolta piatendo alle civili. E questa maniera, non senza grave malinconia della donna, a cui forse una volta ne toccava il mese e appena, lungamente tenne, sempre guardandola bene, non forse alcuno altro le ’nsegnasse conoscere il dì da lavorare, come egli l’aveva insegnate le feste.
Avvenne che, essendo il caldo grande, a messer Riccardo venne disidero d’andarsi a diportare a un suo luogo molto bello vicino a Monte Nero, e quivi per prendere aere dimorarsi alcun giorno, e con seco menò la sua bella donna. E quivi standosi, per darle alcuna consolazione fece un giorno pescare, e sopra due barchette, egli in su una co’ pescatori e ella in su un’altra con altre donne, andarono a vedere; e tirandogli il diletto parecchi miglia quasi senza accorgersene n’andarono infra mare. E mentre che essi più attenti stavano a riguardare, subito una galeotta di Paganin da Mare, allora molto famoso corsale, sopravenne e, vedute le barche, si dirizzò a loro; le quali non poteron sì tosto fuggire, che Paganin non giugnesse quella ove eran le donne: nella quale veggendo la bella donna, senza altro volerne, quella, veggente messer Riccardo che già era in terra, sopra la sua galeotta posta andò via. La qual cosa veggendo messer lo giudice, il quale era sì geloso che temeva dell’aere stesso, se esso fu dolente non è da dimandare. Egli senza pro, e in Pisa e altrove, si dolfe della malvagità de’ corsari, senza sapere chi la moglie tolta gli avesse o dove portatala.
A Paganino, veggendola così bella, parve star bene; e non avendo moglie, si pensò di sempre tenersi costei, e lei che forte piagnea cominciò dolcemente a confortare. E venuta la notte, essendo a lui il calendaro caduto da cintola e ogni festa o feria uscita di mente, la cominciò a confortar co’ fatti, parendogli che poco fossero il dì giovate le parole; e per sì fatta maniera la racconsolò, che, prima che a Monaco giugnessero, e il giudice e le sue leggi le furono uscite di mente, e cominciò a viver più lietamente del mondo con Paganino; il quale, a Monaco menatala, oltre alle consolazioni che di dì e di notte le dava, onoratamente come sua moglie la tenea.
Poi a certo tempo pervenuto agli orecchi di messer Riccardo dove la sua donna fosse, con ardentissimo disidero, avvisandosi niuno interamente saper far ciò che a ciò bisognava, esso stesso dispose d’andar per lei, disposto a spendere per lo riscatto di lei ogni quantità di denari: e, messosi in mare, se n’andò