Decameron. Giovanni Boccaccio

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Decameron - Giovanni Boccaccio

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chi mai non t’offese, per servire altrui. Idio, che tutto conosce, sa che io non feci mai cosa per la quale io dal mio marito debbia così fatto merito ricevere. Ma lasciamo ora star questo; tu puoi, quando tu vogli, a un’ora piacere a Dio e al tuo signore e a me in questa maniera: che tu prenda questi miei panni e donimi solamente il tuo farsetto e un cappuccio, e con essi torni al mio e tuo signore e dichi che tu m’abbi uccisa; e io ti giuro, per quella salute la quale tu donata m’avrai, che io mi dileguerò e andronne in parte che mai né a lui né a te né in queste contrade di me perverrà alcuna novella.»

      Il famigliare, che malvolentieri l’uccidea, leggiermente divenne pietoso: per che, presi i drappi suoi e datole un suo farsettaccio e un cappuccio e lasciatile certi denari li quali essa avea, pregandola che di quelle contrade si dileguasse, la lasciò nel vallone a piè; e andonne al signor suo, al quale disse che ’l suo comandamento non solamente era fornito, ma che il corpo di lei morta aveva tra parecchi lupi lasciato. Bernabò dopo alcun tempo se ne tornò a Genova e, saputosi il fatto, forte fu biasimato.

      La donna, rimasa sola e sconsolata, come la notte fu venuta, contraffatta il più che poté n’andò a una villetta ivi vicina; e quivi da una vecchia procacciato quello che le bisognava, racconciò il farsetto a suo dosso, e fattol corto e fattosi della sua camiscia un paio di pannilini e i capelli tondutisi e trasformatasi tutta in forma d’un marinaro, verso il mare se ne venne, dove per avventura trovò un gentile uom catalano, il cui nome era segner En Cararh, il quale d’una sua nave, la quale alquanto di quivi era lontana, in Alba già disceso era a rinfrescarsi a una fontana. Col quale entrata in parole, con lui s’acconciò per servidore e salissene sopra la nave faccendosi chiamare Sicuran da Finale. Quivi, di miglior panni rimesso in arnese dal gentile uomo, lo ’ncominciò a servir sì bene e sì acconciamente, che egli gli venne oltre modo a grado. Avvenne ivi a non guari tempo che questo catalano con un suo carico navicò in Alessandria e portò certi falconi pellegrini al soldano e presentogliele: al quale il soldano avendo alcuna volta dato mangiare e veduti i costumi di Sicurano, che sempre a servir l’andava, e piaciutigli, al catalano il dimandò, e quegli, ancora che grave gli paresse, gliele lasciò.

      Sicurano in poco di tempo non meno la grazia e l’amor del soldano acquistò col suo bene adoperare, che quella del catalano avesse fatto: per che in processo di tempo avvenne che, dovendosi in un certo tempo dell’anno a guisa d’una fiera fare una gran ragunanza di mercatanti e cristiani e saracini in Acri (la quale sotto la signoria del soldano era), acciò che i mercatanti e le mercatantie sicure stessero, era il soldano sempre usato di mandarvi, oltre agli altri suoi uficiali, alcuno de’ suoi grandi uomini con gente che alla guardia attendesse. Nella quale bisogna, sopravegnendo il tempo, diliberò di mandare Sicurano, il quale già ottimamente la lingua sapeva; e così fece.

      Venuto adunque Sicurano in Acri signore e capitano della guardia de’ mercatanti e della mercatantia, e quivi bene e sollecitamente faccendo ciò che al suo uficio appartenea e andando da torno veggendo, e molti mercatanti e ciciliani e pisani e genovesi e viniziani e altri italiani vedendovi, con loro volentieri si dimesticava per rimembranza della contrada sua. Ora avvenne tra l’altre volte che, essendo egli a un fondaco di mercatanti viniziani smontato, gli vennero vedute tra altre gioie una borsa e una cintura le quali egli prestamente riconobbe essere state sue, e maravigliossi; ma senza altra vista fare, piacevolemente domandò di cui fossero e se vendere si voleano.

      Era quivi venuto Ambruogiuolo da Piagenza con molta mercatantia in su una nave di viniziani; il quale, udendo che il capitano della guardia domandava di cui fossero, si trasse avanti e ridendo disse: «Messer, le cose son mie e non le vendo; ma s’elle vi piacciono, io le vi donerò volentieri.»

      Sicurano, vedendol ridere, suspicò non costui in alcuno atto l’avesse raffigurato; ma pur, fermo viso faccendo, disse: «Tu ridi forse perché vedi me uom d’arme andar domandando di queste cose feminili.»

      Disse Ambruogiuolo: «Messere, io non rido di ciò, ma rido del modo nel quale io le guadagnai.»

      A cui Sicuran disse: «Deh, se Idio ti dea buona ventura, se egli non è disdicevole diccelo come tu le guadagnasti.»

      «Messere,» disse Ambruogiuolo «queste mi donò con alcuna altra cosa una gentil donna di Genova chiamata madonna Zinevra, moglie di Bernabò Lomellin, una notte che io giacqui con lei, e pregommi che per suo amore io le tenessi. Ora risi io, per ciò che egli mi ricordò della sciocchezza di Benarbò, il quale fu di tanta follia, che mise cinquemila fiorin d’oro contro a mille che io la sua donna non recherei a’ miei piaceri: il che io feci e vinsi il pegno; e egli, che più tosto sé della sua bestialità punir dovea che lei d’aver fatto quello che tutte le femine fanno, da Parigi a Genova tornandosene, per quello che io abbia poi sentito, la fece uccidere.»

      Sicurano, udendo questo, prestamente comprese qual fosse la cagione dell’ira di Bernabò verso lei e manifestamente conobbe costui di tutto il suo male esser cagione; e seco pensò di non lasciarglielne portare impunità. Mostrò adunque Sicurano d’aver molto cara questa novella, e artatamente prese con costui una stretta dimestichezza, tanto che per gli suoi conforti Ambruogiuolo, finita la fiera, con essolui e con ogni sua cosa se n’andò in Alessandria, dove Sicurano gli fece fare un fondaco e misegli in mano de’ suoi denari assai: per che egli, util grande veggendosi, vi dimorava volentieri. Sicurano, sollecito a voler della sua innocenzia far chiaro Bernabò, mai non riposò infino a tanto che con opera d’alcuni gran mercatanti genovesi che in Alessandria erano, nuove cagioni trovando, non l’ebbe fatto venire: il quale, in assai povero stato essendo, a alcun suo amico tacitamente fece ricevere, infino che tempo gli paresse a quel fare che di fare intendea.

      Aveva già Sicurano fatta raccontare a Ambruogiuolo la novella davanti al soldano e fattone al soldano prender piacere; ma poi che vide quivi Bernabò, pensando che alla bisogna non era da dare indugio, preso tempo convenevole, dal soldano impetrò che davanti venir si facesse Ambruogiuolo e Bernabò, e in presenzia di Bernabò, se agevolmente fare non si potesse, con severità da Ambruogiuolo si traesse il vero come stato fosse quello di che egli della moglie di Bernabò si vantava. Per la qual cosa, Ambruogiuolo e Bernabò venuti, il soldano in presenzia di molti con rigido viso a Ambruogiuol comandò che il vero dicesse come a Bernabò vinti avesse cinquemilia fiorin d’oro: e quivi era presente Sicurano, in cui Ambruogiuolo più avea di fidanza, il quale con viso troppo più turbato gli minacciava gravissimi tormenti se nol dicesse. Per che Ambruogiuolo, da una parte e d’altra spaventato, e ancora alquanto costretto, in presenzia di Bernabò e di molti altri, niuna pena più aspettandone che la restituzione di fiorini cinquemilia d’oro e delle cose, chiaramente, come stato era il fatto, narrò ogni cosa.

      E avendo Ambruogiuol detto, Sicurano, quasi essecutore del soldano, in quello rivolto a Bernabò disse: «E tu che facesti per questa bugia alla tua donna?»

      A cui Bernabò rispose: «Io, vinto dall’ira della perdita de’ miei denari e dall’onta della vergogna che mi parea avere ricevuta dalla mia donna, la feci a un mio famigliare uccidere; e, secondo che egli mi rapportò, ella fu prestamente divorata da molti lupi.»

      Queste cose così nella presenzia del soldan dette e da lui tutte udite e intese, non sappiendo egli ancora a che Sicurano, che questo ordinato avea e domandato, volesse riuscire, gli disse Sicurano: «Signor mio, assai chiaramente potete conoscere quanto quella buona donna gloriar si possa d’amante e di marito: ché l’amante a un’ora lei priva d’onor con bugie guastando la fama sua e diserta il marito di lei; e il marito, più credulo alle altrui falsità che alla verità da lui per lunga esperienza potuta conoscere, la fa uccidere e mangiare a’ lupi; e oltre a questo, è tanto il bene e l’amore che l’amico e il marito le porta, che, con lei lungamente dimorati, niun la conosce. Ma per ciò che voi ottimamente conoscete quello che ciascun di costoro ha meritato, ove voi mi vogliate di spezial grazia fare di punire lo ’ngannatore e perdonare allo ’ngannato, io la farò qui in vostra e in lor presenza venire.»

      Il soldano, disposto in questa cosa di volere in tutto compiacere a Sicurano, disse che gli piacea e che facesse la donna venire. Maravigliavasi

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