Poesie scelte. Giovanni Prati
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«Quanto son vile! Non è ver. Sì, vile…
Sì, demente son io.»
Ma, ad ogni passo
Verso la ripa, una gelata mano
Sentia calar sul divampante petto,
A respingerlo addietro. Egli räuna
Ogni sua forza, quell’incubo orrendo
Per debellar. Nè vinta era la pugna.
«Tornarmen’io?… Pormi in agguato?… All’arti
Del sospetto discendere?… Follia!
Ma inumano è lo strazio. E in un dì solo
Io quest’inferno dissipar potrei.
Tanto è ch’io peno! E in un sol dì la vita
Potrei mutarmi in paradiso eterno!»
Lieve una piuma a traboccar bastava
Quella bilancia, e non tardò la sorte
A gittarvela su.
Già il piè d’Arrigo
Monta la prora; già la corda è sciolta;
Ei volse il capo… e fu per caso; e sopra
La man passovvi; e vide… e non s’illuse…
Vide colui, che con pupille ardenti
Lunge, in agguato, a contemplar lo stava.
Leoni sparve. Arrigo si raccolse
Un istante: ha risolto. A terra scese;
La via rifece; per ignota parte
Entrò; salì non visto: in una stanza
Orba di lume si celò; la fronte,
Quasi per molto faticar, gli cadde
Sull’ansio petto; e un’onda di pensieri
Lunghi ostinati gli muggìa d’intorno.
Immenso amor, vergogna, ira, sospetti,
E terrori e speranze, eran commiste
Quasi in un vario e vorticoso nembo
Di tenèbra e di luce; e dentro a quella
Tempestosa meteora – spïando —
Stava l’inglese all’infernal tortura
Ogni piè, che sonasse alle sue scale,
Gli era un colpo nel petto; ogni persona
Che arrivasse, una morte. E in pochi istanti
Ore ed ore passarono. Arrossiva
Già di sé l’infelice… allor che un’ombra
Rapida intese. Ei trema; la pedata
Si ferma all’uscio; e l’uscio s’apre; ei guarda,
Misero! guarda; e vede un’ombra… un uomo…
Vede Leoni trapassar!
Le fibre,
Le vene, l’ossa gli divampan tutte.
Ma sbarrata e di vetro è la pupilla;
Cadaverico il volto; e sol la vita
Da un tremor lieve delle labbra appare.
Inchiodato così stette un istante
Indi sorrise; e due gelate stille
Dagli occhi morti gli colar sul petto.
Stette ancora un istante. Alfin si mosse
Quel pallido fantasma; ad ineguali
Passi arrivò sulla tradita soglia;
E l’aperse – e li vide – e d’uno sguardo
Li fulminò. – Poi chiuse.
Annichiliti,
Trascolorati, come fredde pietre
Restäro entrambi. Edmenegarda tenta
Trar dalla gola un solo accento; è indarno.
E, a forza sollevando la convulsa
Testa, gli accenna di partir. Leoni
La man ghiacciata le serrò.
«Congiunti,
Donna, per sempre!…»
E a proseguir non valse:
E, sovra il gel delle livide labbra
Non baciato baciandola, col capo
Vertiginoso, a strascico le membra
Disviluppando, di colà si tolse.
Arrigo il vide ripassar. Fu un punto,
Ch’ei non pose sovr’esso l’omicida
Mano a strozzarlo. Ma, serrati i denti
E incrociate le braccia, ei si contenne.
E quando il seppe dileguato, un cupo
Urlo mandò qual di ferito tigre;
E sull’infame limitar, di nuovo
Ritto, immobile, apparve.
La tapina
Nol vide già: chè le cadea la fronte,
Quasi con peso d’agonia, sul petto.
Ma pur – senza vederlo – a sè davanti
Lo sentia, lo sentia, muto e tremendo.
E si sforzò di sollevar le braccia,
E congiunte le palme, senza pianto,
Senza parola, verso lui le stese.
«Non pregate, o signora. Ospite io v’ebbi
Sett’anni; or basta. Ad altre mense, ad altri
Talami andrete.»
Uscir quelle parole
Fulgoreggiando. Traboccò riversa
Edmenegarda, e una schiumosa riga
Mista di sangue sui guanciali apparve.
Un urto!… un urto ancora… e a terminarla
Sarìa bastato.
Ma il Signor non volle!
CANTO QUARTO
Vedesti mai della Città fatata
Sulle sponde amorose, ove s’innalza
Perpetuo il canto tra l’oceano e il Sole,
Vedesti mai le lucide sembianze
D’un’angelica forma ir diffondendo
Fascini arcani, e dietro lei confusi
Mille cuori agitarsi, e in rapimento
Scintillar mille sguardi, a cui dinanzi
Ella verrà nei sorridenti sogni?
Mai non vedesti una leggiadra donna
Col suo dolce compagno irsene altera,
E preceduta da due biondi figli,
Qual da una coppia di nascenti rose?
E non ti parver quelle anime amiche
Irradïate da un medesmo affetto
Quattro corde sonanti e risonanti
Sotto il ciel che le ascolta e s’innamora?
Qual core è mai che non esulti a queste
Melodie, che morir su le perdute
Soglie del paradiso, e a far men triste
La fulminata razza, un giorno ancora
Sotto le dita dell’Amor son vive?
Le sollecite madri alle fanciulle
Quella donna additavano, esclamando:
– Beate voi, se avrete una, sol