Poesie scelte. Giovanni Prati
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La invidïata crëatura amante
O nel rumor d’un ballo avvilupparsi,
O star composta ad una sacra pompa,
O lungo il mare vagolar solinga;
Tu la vedesti; e la più cara stella
Del felice Adriatico ti parve.
Or leva gli occhi all’ultima finestra
Di quel palagio, a cui lambe la luce
Le fondamenta brune, e, digradando
Via digradando, sul canal si perde.
Quel palagio il conosci? – È di Leoni. —
Conosci or tu quella femminea forma
Col crin dimesso, con le mani scarne,
Con la febbre nel cor, con le pupille
Macchinalmente immobili sull’acque?
Ahi! come poco ella ti par diversa
Dalla gelida pietra a cui s’appoggia!
Sol l’ignominia d’un ripudio puote
L’umano aspetto tramutar cotanto.
Invan tu cerchi nella tua memoria
Di quella donna indizio. E se una traccia
Lontan, lontano al tuo pensier balena,
È un lieve sogno qual di cosa morta
Da lunghissimo tempo, a cui tornando,
L’anima tenta di rifarne intera
La somiglianza – e più e più s’attrista.
Or, l’hai trovata?…
Quel crollar del capo,
Quel doloroso tuo lungo sospiro
Mi rispondon che sì.
– Quanta pietade
Sentirà dell’afflitta anima il mondo! —
Oh nol pensar!
Questo rettile abbietto
Non ha voci per piangere. Egli manda
Sull’infelice il suo grido di scherno,
E lo dispera col livor dei morsi,
E nell’ora del mal fischia di gioia.
Così, quando scoppiò l’orrido nembo
Sul fragil capo alla reietta, i labbri
Verecondi di mille, a cui non note
Son le vie del peccato, amaramente
Fecero il ghigno; e da quei labbri il nome
D’Edmenegarda si gittò nei crocchi,
Senza vergogna; e fu divelto a brani
Con maligna pietà dalle opulente
Peccatrici, che menano a trionfo
La tolleranza del codardo sposo.
E se qualche pudica anima ai casi
Sospirò miserata, ebbe il dileggio;
E fin si diede a quel gentil compianto,
Con demente rigor, la scellerata
Nominanza di colpa!
Ed or che il nappo
Ella finì sino alla feccia, il mondo,
Pietoso o stanco, l’obliò!…
– Che importa,
Se precipita un’alma e senza madre
Gemon due figli e pesa il vitupero
Dove rise la gioia? Ordine è questo
Di natura e dei fati! —
Or esce appena
Qualche rea celia, a ricordar la nuova
Ospite di Leoni.
Egli da canto
Caramente le siede:
«– Alza la fronte,
Ti consola, amor mio! Su quel feroce
Si scagliarono tutti. E se anco l’ira
Ti ferisse de’ tristi, io la divido
Con te, dolce amor mio! Tu la mia vita,
Tu la mia gioia; tu di me possiedi
Il giocondo avvenir. Come esser puote
Se non giocondo?… Che ci cal di questa
Così ampia terra? Anco in angusto asilo
Amor compone il paradiso!… Io tanto
T’amerò e tanto, che potrai, (lo spero!)
Dimenticare il doloroso sogno
Del tuo passato!…»
«Oh! mio Leoni…»
«Arresta —
Non turbarti, non piangere!… E se d’uopo
N’hai veramente, non badarmi; e piega
Qui la tua testa, poveretta, e piangi!…
Merto ben io che mi trafigga il dardo
De’ tuoi dolori!!» —
Edmenegarda il capo
Riscosse alquanto, e con più lunga stretta
Serrò Leoni tra le braccia:
– «Amico!…
Vedi se i giorni del patir son giunti!…
Io tel diceva!… Ma tu sempre meco
Resterai, non è ver?… Tu questa mia
Misera vita non vorrai coperta
Di più dure vergogne. Io farò forza
Per oblïar; per non ti dar mai segno
Che ti contristi!… Ma se tu mi vedi
Sospirar qualche volta… oh! non dolerti,
Te ne prego a man giunte… Io già non penso
Che a’ miei poveri figli!…»
«Angelo amato!
Perchè dirmi così?… Pria che una sola
Lieve pena costarti, io mille volte
Vorrei morir!… Ma tu… mi amerai sempre?»
«– Sin che il cor batterà. Deh così presto
Questa febbre mortal non mi consumi!»
«– Sei ben crudele, Edmenegarda!»
«Oh ridi,
Leoni mio. Ma… così piena ho l’alma
Di tanti sogni! Ed un di loro è bello;
E mi par che s’avveri; e già lo sento
Nell’esser teco!»
«E lo sarai, diletta
Compagna mia, nel dì dell’allegrezza,
Lo sarai nel dolor!…»
«Taci! Assopite
Reminiscenze tu nel cor mi desti.
Non sono ancor molto lontani i tempi,
Ch’ei così mi parlava!…»
«Or via, se m’ami,
Tu dèi lo spirto allontanar da queste
Sconsolate memorie. Odi la brezza
Che via pei flutti vagolando spira?…
Vieni a goderla.»
«Il tuo voler m’è caro,
Caro più d’ogni ben che un dì mi avesse
Potuto dar la terra!» —
E lungamente
Favellaron coi baci, entro la bruna
Lor navicella