Poesie scelte. Giovanni Prati
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Qualche rancor? S’infuria; e le fa pieni
Gli occhi di pianto. Allor, come accorato,
La vien baciando; e un vivo sol repente
Le si spande nel volto, e muta in perle
Quelle rugiade del dolor.
Ma il crudo
Velen della memoria ogni conforto
D’amarezza le tinge; e più non sente
Edmenegarda, come pria, quei caldi
Impeti passionati, e l’indiviso
Nuvol dell’alma le si fa più tetro.
Aridi i fior, l’aria pesante, ingrato,
Dispettoso il tumulto, aspra la vista
Delle cose e dell’uom, torbidi i giorni,
Trangosciate le notti… e il suo compagno
Non curarsi e tacer! Questa è la spina
Più sanguinosa.
Il forvïato tralcio
Trova un olmo, e s’appoggia. Ahi! se quell’olmo
Stanco sarà di sostenerlo!…
«Oh Arrigo!…
Oh miei poveri figli! Oh mia perduta
Casa! Oh speranze della vita infrante!»
E profondo gemea. Ma nella voce
Del suo Leoni un refrigerio ancora
Sapea trovar.
Necessità od affetto,
Gli era avvinta e bastava. Anzi, in quell’alma,
Necessità ed affetto, onta e rimorso,
Pentimento e peccato era una cosa.
«Ahi, son fiere amarezze! Ecco il fedele
Prometter suo! sola mi lascia. E quando
Alta è la notte, io pallido mel veggio
Comparir, non so donde. E fa risposta
Alle parole mie con disdegnosi
Gesti, o muti sospiri, o vïolento
Suon di dolcezza… e d’ingannarmi ei crede.
Mio Dio! quanto mutato! Oh s’io sapessi
Quel ch’ei cela nel cor! Gli tedian forse
Queste rive del Garda?… O ch’io gli costo
Qualche grave pensier?…»
Sì fatte cose
Tra sé volgendo, abbandonò le stanze,
Nel giardin si recò.
Pallidamente
In grembo alle argentate acque del lago
Lucea la luna. Era diffuso il cielo.
Placida l’ôra si movea tra i rami;
E d’un novo color, sotto le stelle,
Si vestivano i fiori. Entro un cespuglio
La gentil capinera innamorata
Modulava le sue dolci canzoni.
Or sì or no, tra il folto delle piante,
Qualche lucciola intorno iva raggiando.
E vivo e terso, come argentea zona,
Mettendo un soffio di sottil frescura,
Luccicava tra l’erbe un fiumicello.
E, a compir quella pace, il caro e mesto
Suon della sera si spandea dagli alti
Campanili del Sirmio; e in una sola
Armonia fervorosa, a mille a mille,
Salir limpide voci; e cielo e terra
Pareano intesi a quel sublime accento:
«Santa Madre di Dio, prega per noi!»
Sola, non vista, in un segreto calle
Di quel giardino, la colpevol donna,
Compreso il cor d’un subito ribrezzo,
Incurvò le ginocchia, e, giunte in croce
Le ceree mani, sovra cui profuse
Giù cadevan le lagrime del volto,
Lungamente pregò.
Furon parole
Rotte, confuse, inebrïate, amare;
Furon moti e singulti.
Alfin la prece
Le uscì lucida e calda. Era pei figli
E insegnata dal core:
«O santa Madre
Dei dolorosi, non a me guardate,
Non a me, così rea! Ma i tribolati,
Ma gli innocenti, gli orfani son vostri!
Per le piaghe di Lui, che vi amò tanto,
Proteggeteli sempre. E se una volta
Sapran di me, che li lasciai nel mondo
Sì crudelmente, oh! fateli benigni
A questa loro travïata e trista,
Che aspetta pace dalla morte.»
E china
Ad un salcio la fronte e sotto i raggi
Mesti del ciel, pareva un decaduto
Spirito che pensasse al paradiso,
Quando più pesa la crudel memoria
Del commesso peccato.
Un’orma suona —
Si disperde – s’approssima – s’aggira
Pei torti calli – si raccosta – È lui.
– «Ma che fate voi là, stesa sull’erbe
Umide della notte?… Or via; sorgete.
Quel non è loco da pregar. Dimani
Torneremo a Venezia. Avrete cento
E mille chiese eternamente aperte,
Per stancar questo Dio.»
«Taci, Leoni…
Ma che ti feci io mai?… Forse gioisci
Di vedermi tremar?… Dillo una volta;
Che ti turba così?…»
«Nulla.» —
Da un cespo
Ella colse due gigli; ed un lo pose
Con umil vezzo al suo Leoni in petto.
Ma quei senza badar, foglia per foglia,
Lo stracciò con le labbra; e il nudo stelo
Lasciò cadersi, sospirando. Anch’essa,
A quella vista, il suo bel fior distrusse,
Con riboccante d’amarezza il seno,
E nessun più parlò.
Che lungo sogno
Quella notte la assalse!
In pria, da lunge,
Come in vaghi ricordi, una dimora
Nota le apparve, e due giovani amanti
E due vispi fanciulli avvicendarsi
Baci e carezze di celeste affetto.
Indi una barca, uno smaniglio infranto.
E colpevoli fremiti e fulminee
Voci dai labbri d’un fantasma uscite.
Poi mutò quella scena. E patimenti
Lunghi intravide, e care cortesie,
E ritorni alla vita, e ricambiati
Baci d’amor; ma