Poesie scelte. Giovanni Prati
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Col suo dolce Pastor l’agna perduta;
Rifiutata dal mondo, ella è raccolta
Nelle braccia di Dio.
Godi, infelice,
Questo bene supremo. Ogni vivente
Ch’oggi stolto scendesse a contristarti,
Senza misura irriterìa l’Eterno. —
E là, dinanzi al più remoto altare,
Non turbata pregò; pregò pei figli,
Per Arrigo, per sé, per quel ramingo
Ch’era lunge, per tutti; e non potendo
Quel ramingo scordar, chiedea dal cielo
Che gli dèsse fortuna; indi pentita,
Il periglio sentia di quella prece;
E pensando ad Arrigo, in sé chiudendo
Qualche rancor pel rifiutato pane,
Non finiva di piangere – e col pianto
Dimandava che Dio le perdonasse.
Indi, tornata alle deserte case,
Trovò dell’oro. Il generoso ignoto,
Arrossendo, conobbe.
«Or dunque estinta
Son io per lui, senza riparo?… Estinta
Sarò per tutti.»
Ma venìa frequente
Quell’amor tenebroso a conturbarla,
E pensava al lontano – e aver novelle
Pregava sempre – e sempre era delusa.
Più sperar non volea; dopo un istante
Ritornava a sperar.
– Misera! acqueta
La tormentata anima tua; da lui,
Se ti è concesso, ogni pensier distogli.
Amor che nasce e si matura in colpa,
Che col rimorso e col terror s’annoda,
Senza voto né legge, infausto fiore
Lungamente non dura. Aprir le foglie
Alla vampa del sol, chiuderle ai baci
Rugiadosi dell’alba, abbandonarle
Non vigilate ai venti – ed una sera
Inchinarsi e morire, ecco la sorte
Di quell’infausto fiore.
Egli – il cui nome
T’è rimprovero al cor – d’ogni allegrezza
Essiccate ha le fonti, e intensi amori
Più custodir non puote. Egli oggi obblia
Quel che ieri adorava, ed oggi adora
Quel che domani obblïerà.
Malvagia
E steril landa è di costor la vita.
Solitari la passano; e l’estrema
Necessità di morte li sorprende
Nudi d’affetto; e non han figli, o sposa,
Non un caro superstite, che doni
Lagrimando alle fredde ossa una croce!
Edmenegarda umilïar la fronte
Tra le genti non seppe. E se talvolta
Qualche compagna dei giocondi tempi
Spïò da lunge, in altra parte mosse
Delicata e superba.
Uscian le turbe
Agli allegri tumulti? – Ella nell’orto
Restava, ore con ore, contemplando
Una vïola del pensier, diletto
Fiorellin ad Arrigo. O di feroci
Note di sdegno o d’armonie d’amore
Sonavano i teatri? – Ella con mesta
Voce sommessa modulava un canto,
Che ad altri tempi in calda estasi Arrigo,
Arrigo suo rapì. Poi quando i raggi
Languian nell’occidente, e qualche stella
Scintillava nel ciel, sulla solinga
Finestretta venia guardando al mare;
Perchè ogni sera alla medesim’ora
Una barca radea l’eremo lido,
Non a’ suoi dolorosi occhi straniera.
Ella da lunge la vedea sull’acque
Avvicinarsi; le tremava il core;
Le rivolgea qualche romito accento;
La seguìa sospirando; insin che il breve
Suo fanaletto si perdea tra l’ombre.
Un dì, scendendo a visitar nell’orto
Quella vïola del pensier… curvata
Sul tenue gambo e pallida la vide
Presso a esalare i moribondi incensi
Nell’etere materno. Anche quel caro
Memore fior languiva! Al vedovato
Vasellino lo tolse, in cor pensando
Di lasciarlo cader sull’aspettata
Navicella fuggente.
«Oh tu, pietoso
Messaggio almen, sulla corolla estinta
Recherai loro questi caldi baci!»
Aspettando ella sta. Che roseo sogno
Le si dipinge nel pensier! – Non sempre
Volgon dure le sorti, e il duolo in parte
Fu riscatto alle colpe, e la memoria
Di quel lontan si discolora e passa.
Chi sa che un giorno la pietà non parli
All’anima d’Arrigo, ed ei non voglia
Dimenticar, – e le rïapra il seno,
E monda dalle lacrime la chiami
Novellamente sua! Dio che perdona
Più che l’uom non fallisca, eternamente
Lascerà l’odio nella sua fattura?
Aspettando ella sta. L’acume intende
Delle pupille ad esplorar le vaghe
Lontananze; non ode urto di remo.
L’ora è trascorsa; ancor silenzio. Addoppia
Gli occhi e l’udito; e il navicel non giunge.
Ahi! la viola del pensier, funesto
Vaticinio è di mali.
Una pedata
Ode; si volge; un sigillato foglio
Le si reca; lo guarda, impallidisce;
La man d’Arrigo lo vergò; tremante
L’apre e vi legge… (Misera! dagli occhi
Quante lacrime ancor ti gronderanno!)
«Edmenegarda! I tuoi miseri falli
Rimetta Iddio! Ma non sperar parole
Di perdono da me. Tu mi rapisti
Tutte le gioie; maledir m’hai fatto
Questa tua bella Italia, ov’io sperava
Viver lieto e morir; privi di madre
Tu rendesti i miei figli. Alla natale
Inghilterra io mi reco a seppellirvi
Il dolor, se m’è dato; e pensa come
Lieta