I misteri della jungla nera. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу I misteri della jungla nera - Emilio Salgari страница 12
Dinanzi a lui, sul limitare di una porta dorata, stavasene ritta una fanciulla di meravigliosa bellezza, col più angoscioso terrore dipinto sul volto.
Poteva avere quattordici anni. La sua taglia era graziosa e di forme superbamente eleganti.
Aveva i lineamenti d’una purezza antica, animati dalla scintillante espressione della donna anglo-indiana.
La pelle era rosea, d’una morbidezza impareggiabile, gli occhi grandi neri e scintillanti come diamanti; un naso diritto che nulla aveva d’indiano, labbra sottili, coralline, schiuse ad un melanconico sorriso che lasciava scorgere due file di denti d’abbagliante bianchezza una opulenta capigliatura d’un castano cupo, fuliginoso, separata sulla fronte da un mazzetto di grosse perle, era raccolta in nodi ed intrecciata con fiori di sciambaga dal soave profumo.
Tremal-Naik come si disse, era vivamente indietreggiato fino alla mostruosa statua di bronzo.
– Ada!… Ada!… L’apparizione della jungla! – esclamò egli con voce soffocata.
Non seppe dire di più e rimase lì, muto, ansante, trasognato a mirare quella superba creatura che continuava a fissarlo con profondo terrore. Ad un tratto quella fanciulla fece un passo innanzi lasciando cadere a terra l’ampio sari di seta, orlato d’una larga striscia azzurra, fregiata di complicati disegni, che ricoprivala come un ampio mantello.
Un fascio di luce abbagliante l’avvolse, togliendola alla vista del cacciatore di serpenti che fu forzato a chiudere gli occhi.
Quella fanciulla era coperta letteralmente d’oro e di pietre preziose d’inestimabile prezzo. Una corazza d’oro, tempestata dei più bei diamanti del Golconda e del Guzerate, decorata del misterioso serpente colla testa di donna, le racchiudeva tutto il seno e spariva in un largo scialle di cachemire trapunto d’argento, che cingevale i fianchi; molteplici collane di perle e di diamanti le pendevano dal collo, grossi come nocciuole; larghi braccialetti pur tempestati di pietre preziose le ornavano le nude braccia, ed i calzoncini larghi, di seta bianca, erano stretti sul collo dei piedi nudi e piccini, da cerchietti di corallo della più bella tinta rossa. Un raggio di sole, penetrato da uno stretto pertugio, battendo sopra quella profusione di ori e di gioie aveva per così dire immersa la giovanetta in un mare di luce d’un fulgore acciecante.
– La visione!… La visione!… – ripeté per la seconda volta Tremal-Naik, tendendo le braccia verso di lei! – Oh! quanto è bella!…
La giovanetta si guardò attorno con smarrimento e portò un dito sulle labbra, come per invitarlo a tacere, poi camminò dritta verso di lui.
– Sciagurato! – diss’ella con ispavento. – Cosa sei venuto a far qui?… Qual follia ti trascinò in quest’orribile luogo?…
Il cacciatore di serpenti, senza volerlo, era caduto in ginocchio tendendo le mani verso di lei che indietreggiò con maggiore spavento.
– Non toccarmi! – diss’ella, con un filo di voce.
Tremal-Naik aveva emesso un sospiro:
– Sei bella! esclamò egli con passione.
– Taci, Tremal-Naik!
– Sei bella!… – ripeté il selvaggio figlio della jungla. Ella gli pose un dito sulle labbra.
– Se non vuoi perdermi, non fare rumore, – disse la giovanetta con dolce rimprovero. – Tu non sai ancora, i tremendi pericoli che ci minacciano.
– Io sono Tremal-Naik! Chi è quest’uomo che ti minaccia? Dimmelo ed io, il cacciatore di serpenti, ti giuro che domani questo nemico sarà scomparso dalla terra!…
– Non parlare così, Tremal-Naik!
– Perché?… Senti, fanciulla: non aveva mai veduto un volto di donna nella mia jungla popolata dalle sole tigri. Quand’io per la prima volta ti vidi, agli ultimi raggi del sole morente, là, dietro quel cespuglio di mussenda, mi sono sentito scuotere tutto. Mi parve che tu fossi una divinità scesa dal cielo e t’adorai.
– Taci! taci! – ripeté con voce rotta la fanciulla, nascondendosi il volto fra le mani.
– Non posso tacere, vago fiore della jungla! – esclamò Tremal-Naik con maggior passione. – Quando tu scomparisti, mi parve che qualche cosa si staccasse dal mio cuore. Ero come ubriaco, dinanzi agli occhi mi danzava la tua visione, nelle vene scorrevami più rapido il sangue e lingue di fuoco mi salivano in volto e più su fino al cervello. Si avrebbe detto che tu mi avevi stregato!
– Tremal-Naik! – mormorò con ansia la fanciulla.
– Quella notte non dormii, – proseguì il cacciatore di serpenti. – Avevo la febbre indosso e una smania furiosa di rivederti. Perché? Io l’ignorava, né sapeva capacitarmi come ciò accadesse. Era la prima volta in vita mia che provavo una tale emozione. Passarono quindici giorni. Tutte le sere, al calar del sole, io ti rivedeva dietro al mussenda ed io mi sentivo felice dinanzi a te; mi pareva di esser trasportato in un altro mondo mi pareva di essere diventato un altro uomo. Tu non mi parlavi, ma mi guardavi e per me era anche troppo; quei tuoi sguardi erano eloquenti e mi dicevano che tu…
S’arrestò ansante, guardando la fanciulla che teneva il volto nascosto fra le mani.
– Ah! – esclamò egli con dolore. – Tu adunque non vuoi che parli.
La fanciulla si scosse e lo fissò, con occhi umidi.
– Perché parlare, – balbettò ella, – quando tra noi v’è un abisso? Perché sei venuto qui, sciagurato, a ridestare nel mio cuore una speranza vana? Non sai tu adunque, che questo luogo è maledetto, interdetto soprattutto a colui che io amo?
– Che io amo! – esclamò Tremal-Naik, con gioia. Ripeti, ripeti questa parola, vago fiore della jungla! È vero adunque che tu mi ami? È vero dunque che tu venivi ogni sera dietro il mussenda perché mi amavi?
– Non farmi morire, Tremal-Naik, – esclamò la fanciulla con angoscia.
– Morire! Perché? Qual pericolo ti minaccia? Non sono qui io a difenderti? Che importa se questo luogo è maledetto? Che importa se fra noi due v’è un abisso? Io sono forte, tanto forte che per te scrollerei questo tempio e infrangerei quell’orribile mostro, dinanzi al quale tu versi dei profumi.
– Come, tu sai questo? Chi te lo disse?
– T’ho veduta questa notte.
– Questa notte eri qui dunque?
– Sì, ero qui, anzi lassù aggrappato a quella lampada, proprio sopra al tuo capo.
– Ma chi ti condusse in questo tempio?
– La sorte, o meglio il laccio degli uomini che abitano questa terra maledetta.
– T’hanno dunque veduto?
– M’hanno dato la caccia.
– Ah! disgraziato, sei perduto! – esclamò la fanciulla con disperazione.
Tremal-Naik si slanciò verso di lei.