I misteri della jungla nera. Emilio Salgari

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I misteri della jungla nera - Emilio Salgari

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quel serpente dalla testa di donna che tu hai impresso sulla corazza? Chi sono questi uomini che strangolano i loro simili e che vivono sotto terra? Io lo voglio sapere, o Ada, io lo voglio!

      – Non interrogarmi, Tremal-Naik.

      – Perché?

      – Ah! se tu sapessi qual terribile destino pesa su me!

      – Ma io son forte.

      – Che vale la forza contro questi uomini?

      – Farò a loro una guerra spietata.

      – T’infrangeranno come un giovane bambù. Non sfidano essi la possanza dell’Inghilterra? Sono forti, Tremal-Naik, e tremendi! Nulla resiste a loro: né le flotte, né gli eserciti. Tutto cade dinanzi al velenoso loro soffio.

      – Ma chi sono adunque essi?

      – Non posso dirlo.

      – E se io te lo comandassi?

      – Rifiuterei.

      – Dunque tu… diffidi di me! – esclamò Tremal-Naik con rabbia.

      – Tremal-Naik! Tremal-Naik! – mormorò l’infelice giovanetta, con accento straziante.

      Il cacciatore di serpenti si torse le braccia.

      – Tremal-Naik, – proseguì la fanciulla, – una condanna pesa su di me, una condanna terribile, spaventevole, che non cesserà che colla mia morte. Io t’ho amato, prode figlio della jungla, t’amo sempre, ma…

      – Ah! tu mi ami! – esclamò il cacciatore di serpenti.

      – Sì, ti amo, Tremal-Naik.

      – Giuralo su quel mostro che ci sta dappresso.

      – Lo giuro! – disse la giovanetta, tendendo la mano verso la statua di bronzo.

      – Giura che tu sarai mia sposa!…

      Uno spasimo scompose i lineamenti della giovanetta.

      – Tremal-Naik, – mormorò ella con voce cupa, – sarò tua sposa, se pure sarà possibile!

      – Ah! ho forse un rivale.

      – No, né vi sarà alcuno tanto audace da fissare il suo sguardo su di me. Appartengo alla morte.

      Tremal-Naik aveva fatto due passi indietro colle mani strette al capo.

      – Alla morte!… – esclamò.

      – Sì, Tremal-Naik, appartengo alla morte. Il giorno in cui un uomo poserà le sue mani su di me, il laccio dei vendicatori troncherà la mia vita.

      – Ma sogno io forse?

      – No, sei sveglio e colei che ti parla è la donna che ti ama.

      – Ah! tremendo mistero!

      – Sì, tremendo mistero, Tremal-Naik. Tra noi v’è un abisso che nessuno sarà capace di colmare… Fatalità! Ma cosa ho fatto io per essere così disgraziata? Qual delitto ho commesso io, per essere maledetta?

      Uno scoppio di pianto soffocò la sua voce ed il suo volto s’irrigò di lagrime. Tremal-Naik emise un sordo ruggito e strinse le pugna con tale forza da far crocchiare le ossa.

      – Che posso fare per te? – chiese egli, commosso fino al fondo dell’anima. – Queste tue lagrime mi fanno male, vago fiore della jungla. Dimmi che devo fare, comanda ed io ti ubbidirò più d’uno schiavo. Vuoi che io ti tragga da questo luogo, io lo farò, dovessi lasciare la vita nel tentativo.

      – Oh! no, no! – esclamò la giovanetta, con ispavento. – Sarebbe la morte per entrambi.

      – Vuoi che io parta di qui? Senti, io ti amo assai, ma se la tua esistenza richiedesse la separazione eterna fra noi due, io infrangerò l’amore che nacque nel mio cuore. Sarò dannato, sarà un martirio continuo per me, ma lo farò. Parla, cosa devo fare?

      La giovanetta taceva e singhiozzava. Tremal-Naik l’attirò dolcemente a sé e stava per aprire le labbra, quando al di fuori echeggiò l’acuta nota del ramsinga.

      – Fuggi! fuggi, Tremal-Naik! – esclamò la giovanetta, fuori di sé pel terrore. – Fuggi o siamo perduti!

      – Ah! maledetta tromba! – urlò Tremal-Naik, digrignando i denti.

      – Essi arrivano, – proseguì la giovanetta con voce spezzata. – Se ci trovano, ci immoleranno alla loro spaventevole divinità. Fuggi! fuggi!

      – Oh giammai!

      – Ma vuoi tu adunque farmi morire!

      – Io ti difenderò!

      – Ma fuggi, disgraziato! fuggi!

      Tremal-Naik per tutta risposta raccolse da terra la carabina e l’armò.

      La giovanetta comprese che quell’uomo era irremovibile.

      – Abbi pietà di me! – diss’ella con angoscia. – Essi vengono.

      – Ebbene, io li aspetterò, – rispose Tremal-Naik.– Il primo uomo che ardirà alzare su di te la sua mano, giuro sul mio dio che lo ammazzo come una tigre della jungla.

      – Ebbene rimani, giacché sei irremovibile, prode figlio della jungla; io ti salverò.

      Ella raccolse il suo sari e si diresse verso la porta dalla quale era entrata. Tremal-Naik si slanciò verso di lei trattenendola.

      – Dove vai? – gli chiese.

      – A ricevere l’uomo che sta per arrivare ed impedirgli che qui entri.

      Questa sera, alla mezzanotte, io ritornerò da te. Allora si compirà la volontà dei numi e forse… fuggiremo.

      – Il tuo nome?

      – Ada Corishant.

      – Ada Corishant! Ah! quanto è bello questo nome! Va’, nobile creatura, a mezzanotte t’attendo!

      La giovanetta s’avvolse nel sari, guardò un’ultima volta, cogli occhi umidi, Tremal-Naik e uscì soffocando un singhiozzo.

      VI. La condanna di morte

      Uscita dalla pagoda, Ada, ancora commossa, col volto ancor bagnato di lagrime, ma gli occhi sfavillanti di fierezza, era entrata in un piccolo salotto coperto da stuoie dipinte e decorato da mostruose divinità, poco dissimili da quelle di già descritte. Il serpente dalla testa di donna, la statua di bronzo dal volto orribile e la vasca di marmo bianco col pesciolino rosso, non mancavano.

      Un uomo era di già entrato e passeggiava innanzi e indietro con visibile impazienza. Era un indiano di alta statura, magro come un bastone, col volto energico, lo sguardo lampeggiante e feroce, e il mento coperto da una piccola barba nera ed arruffata. Portava, avvolto attorno al corpo, un ricco dootèe, specie di mantello di seta gialla, trapunto in oro con in mezzo

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