I misteri della jungla nera. Emilio Salgari

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I misteri della jungla nera - Emilio Salgari

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nascondiglio. Un lampo squarciò le tenebre seguito da una strepitosa detonazione ed il vecchio, colpito in pieno petto dalla palla del cacciatore di serpenti, cadde sul corpo di Hurti.

      IV. Nella jungla

      All’improvvisa detonazione, gl’indiani erano balzati in piedi col laccio nella dritta e il pugnale nella sinistra. Vedendo il loro capo dibattersi per terra tutto imbrattato di sangue, dimenticarono per un istante l’uccisore, per accorrere in suo aiuto. Questo momento bastò perché Tremal-Naik e Kammamuri si dessero alla fuga, senza essere scorti.

      La jungla coperta di fitti cespugli spinosi e di bambù giganteschi, che promettevano rifugi introvabili, era a pochi passi. I due indiani vi si precipitarono nel mezzo, correndo disperatamente per cinque o sei minuti, poi si lasciarono cadere sotto un gruppo assai folto di bambù, alti non meno di diciotto metri.

      – Se ti è cara la vita, – disse rapidamente Tremal-Naik a Kammamuri, – non muoverti.

      – Ah padrone! Cosa hai fatto! – disse il povero maharatto. – Li avremo tutti addosso e ci strangoleranno come il disgraziato Hurti.

      – Ho vendicato il mio compagno. Del resto non ci troveranno.

      – Sono spiriti, padrone.

      – Sono uomini. Taci e guardati ben d’attorno.

      In lontananza si udivano le urla dei terribili abitanti del banian.

      – Vendetta! Vendetta! – gridavano.

      Tre note acute, le note del ramsinga, echeggiarono nella jungla e sotto terra s’udì cupo rimbombo di poco prima. I due cacciatori si aggomitolarono, facendosi più piccini e rattenendo persino il respiro. Sapevano che se venivano scoperti, sarebbero stati irremissibilmente strangolati dai lacci di seta di quei mostruosi individui, che avevano di già sacrificato tante vittime.

      Non erano ancora trascorsi tre minuti che s’udirono i bambù aprirsi violentemente e fra le tenebre fu scorto uno di quegli uomini. col laccio nella destra ed il pugnale nella sinistra, passare come una freccia dinanzi alla macchia e scomparire nel folto della jungla.

      – L’hai veduto, Kammamuri? – chiese sottovoce Tremal-Naik.

      – Sì, padrone, – rispose il maharatto.

      – Essi ci credono assai lontani e corrono, sperando di raggiungerci.

      Fra pochi minuti non avremo un solo uomo alle spalle.

      – Diffidiamo, padrone. Quegli uomini mi fanno paura.

      – Non temere, che son qui io. Zitto e sta’ bene attento.

      Un altro indiano, armato come il primo, passò correndo qualche istante dopo, e pur esso scomparve nel folto dei bambù.

      In lontananza s’udì ancora qualche grido, qualche fischio che pareva, che anzi doveva essere un segnale, poi tutto tacque.

      Trascorse mezz’ora. Tutto indicava che gli indiani, lanciati forse su di una falsa traccia, erano assai lontani. Il momento non poteva essere più propizio per fare un giro sui talloni e fuggire in direzione della riva.

      – Kammamuri, – disse Tremal-Naik, – noi possiamo metterci in marcia.

      Gli indiani, a mio parere, devono essere tutti dinanzi a noi e nel mezzo della jungla.

      – Sei proprio sicuro, padrone?

      – Non odo rumore alcuno.

      – E dove andremo? Al banian forse?

      – Sì, maharatto.

      – Vuoi cacciarti là dentro, forse?

      – No per ora, ma domani notte ritorneremo qui e sveleremo il mistero.

      – Ma chi supponi che sieno quegli uomini?

      – Non lo so, ma lo saprò, Kammamuri, come pure saprò chi sia quella donna che veglia nella pagoda della loro terribile dea. Hai udito tu, ciò che disse quel vecchio?

      – Sì, padrone.

      – Non so, ma mi parve che parlasse di me ed ho il sospetto che quella Vergine sia…

      – Chi mai?

      – La donna che m’ha stregato, Kammamuri. Allorché quel vecchio parlò di lei, ho sentito il cuore battermi con veemenza strana e ciò mi succede tutte le volte che…

      – Zitto, padrone!… – mormorò Kammamuri, con voce soffocata.

      – Cos’hai udito?

      – Un bambù s’è mosso.

      – Dove?

      – Laggiù… a trenta passi da noi. Zitto!

      Tremal-Naik alzò il capo e lo girò all’intorno, scrutando con attenzione la nera massa dei bambù, ma non scorse alcuno. Tese gli orecchi, rattenendo il respiro e trasalì. Un fruscìo appena distinto si udiva nella direzione indicata dal maharatto, si avrebbe detto che una mano scostava con somma precauzione le larghe e cuoriformi foglie delle gigantesche piante.

      – Qualcuno s’avvicina, – mormorò egli. – Non muoverti, Kammamuri.

      Il fruscio cresceva e s’avvicinava, ma assai lentamente. Di lì a poco videro due bambù piegarsi e comparire un indiano il quale si curvò verso terra, portando una mano all’orecchio. Stette un minuto così, poi si rialzò e parve che fiutasse l’aria.

      – Gary! – bisbigliò egli.

      Un secondo indiano uscì da quei bambù, a sei passi di distanza dal primo.

      – Odi nulla? – domandò il nuovo venuto.

      – Assolutamente nulla. – Eppure, mi parve che qualcuno bisbigliasse.

      – Ti sarai ingannato. Sono cinque minuti che me ne sto qui, cogli orecchi ben tesi. Siamo su di una falsa via.

      – Dove sono gli altri?

      – Tutti dinanzi a noi, Gary. Si teme che gli uomini che hanno ardito qui sbarcare, tentino un colpo di mano sulla pagoda.

      – A quale scopo?

      – Quindici giorni fa, la vergine della pagoda incontrò un uomo. Furono scorti da uno dei nostri a scambiarsi dei segnali.

      – E perché?

      – Si crede che l’uomo voglia liberare la Vergine.

      – Oh! L’orrendo delitto! – esclamò l’indiano che chiamavasi Gary.

      – Questa notte un indiano, compagno del miserabile che osò alzare gli occhi sulla Vergine della nostra venerabile dea, è sbarcato. Senza dubbio veniva a spiare.

      – Ma quell’indiano fu strangolato.

      – Sì, ma dietro di lui sono sbarcati altri uomini, uno dei quali assassinò il nostro sacerdote.

      – E

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