Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. Emilio Salgari

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Jolanda, la figlia del Corsaro Nero - Emilio Salgari

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quanti tentavano di opporre resistenza.

      Capitolo sesto. Don Raffaele

      Mentre i filibustieri s’abbandonavano al saccheggio, Morgan con una cinquantina dei suoi marinai si era diretto verso il palazzo del governo, dove sperava di sorprendere ancora il governatore e dove supponeva di trovare qualche resistenza.

      Non vi era invece più nessuno. Tutti erano fuggiti, lasciando il portone spalancato ed il ponte levatoio abbassato.

      Solo sette forche, dalle quali pendevano i sette corsari che avevano accompagnato il piantatore, facevano triste mostra, proprio nel mezzo dell’ampia e deserta piazza.

      Nello scorgerli, un urlo di rabbia era scoppiato fra il drappello di Morgan.

      «Bruciamo il palazzo del governatore!… Vendetta, capitano, vendetta!… Trucidiamo tutti!…»

      Pierre le Picard, che faceva parte del drappello, gridò:

      «Portate qui due barili di polvere e facciamo saltare il palazzo!…»

      Già degli uomini stavano per slanciarsi in varie direzioni, quando un comando breve ma energico di Morgan li arrestò.

      «Sono io che comando qui!… Chi si muove è uomo morto!…»

      Il filibustiere si era gettato fra la turba furibonda, colla spada nella destra e una pistola nella sinistra.

      «Insensati!…» urlò. «Che cosa siamo venuti a far qui? E non pensate che forse in questo palazzo, in qualche antro segreto si trova la figlia di cavalier di Ventimiglia? Volete ucciderla per una stupida vendetta?»

      A quelle parole l’ira furibonda dei filibustieri era improvvisamente sbollita. Chi poteva assicurare che il governatore, prima di fuggire, non avesse nascosta in qualche sotterraneo la fanciulla, per la cui salvezza avevano tentato quell’ardito colpo di mano?

      «Invece di gridare come oche» disse l’almirante della flotta corsara, «cercate di fare quanti prigionieri potete. Qualcuno saprà dirci dove si trova la figlia del Corsaro Nero.

      «Questo si chiama parlare d’oro» disse Carmaux che faceva parte del drappello. «Ehi, amburghese, dove sei?»

      «Eccomi, compare» rispose Wan Stiller.

      «In caccia, amico mio. Cerchiamo di prendere qualche pezzo grosso».

      Mentre Morgan entrava con parecchi dei suoi ufficiali nel palazzo del governo, per frugarlo da cima a fondo, e gli altri si disperdevano in varie direzioni per procurarsi dei prigionieri, Carmaux e l’amburghese, che conoscevano sufficientemente la città essendovi stati già due volte col Corsaro Nero molti anni prima, presero un viottolo che serpeggiava fra le muraglie di alcuni giardini.

      «Dove mi conduci?» chiese l’amburghese, dopo aver percorso un centinaio di passi, senza aver incontrato alcuno. «Non è da questa parte che fuggono gli abitanti».

      «Voglio andare a fare una visita alla taverna El Toro» rispose Carmaux. «Scommetterei una piastra contro un doblone di Spagna che troveremo qualcuno da quelle parti».

      «I nostri non devono ancora essere giunti fino là».

      «Infatti non odo alcun colpo di fucile echeggiare verso la laguna».

      «Allunga il passo, amburghese».

      I filibustieri della squadra, che avevano appena allora cominciato il saccheggio, si trovavano ancora nei sobborghi, che si prolungavano dietro il forte della Barra e non erano giunti ancora nel cuore della città.

      Da quella parte si udivano clamori spaventevoli, seguìti da qualche scarica di fucili e si vedevano alzarsi anche delle colonne di fumo. Nei giardini e nelle case adiacenti, regnava invece un silenzio assoluto. La popolazione doveva aver approfittato della breve resistenza opposta dalle truppe, per sgombrare precipitosamente, salvandosi nei boschi o sulle isole della laguna.

      Carmaux e l’amburghese, di quando in quando scorgevano bensì qualche uomo o qualche donna attraversare velocemente i giardini, ma non si prendevano la briga di dare loro la caccia.

      Correvano da dieci minuti, quando si trovarono su una piazzetta all’estremità della quale, dinanzi ad una porta, pendevano due enormi corna.

      «La taverna» disse Carmaux.

      «Sì, la riconosco dall’insegna» rispose l’amburghese.

      «Pare che anche qui tutti abbiano sgombrato».

      «Taci!…»

      «Che cos’hai?»

      «Qualcuno s’avvicina».

      Presso la taverna s’apriva una via e da quella parte si udivano delle persone avanzarsi, correndo disperatamente.

      «Attento amburghese» gridò Carmaux, slanciandosi da quella parte.

      Aveva appena raggiunto l’angolo, quando un uomo gli cadde fra le braccia. Carmaux fu pronto a stringerselo al petto, gridandogli con voce minacciosa:

      «Arrenditi!…»

      Nel medesimo istante otto o dieci negri che correvano all’impazzata, carichi di pacchi voluminosi, urtarono l’amburghese così violentemente da mandarlo a gambe levate, prima ancora che avesse potuto alzare il moschetto.

      «Tuoni d’Amburgo!…» aveva esclamato Wan Stiller. «Mi accoppano!…»

      Udendo quella voce, l’uomo che era caduto fra le braccia di Carmaux aveva alzato il capo, lasciandosi sfuggire subito un grido d’angoscia.

      «Sono morto!…»

      Carmaux era scoppiato in una risata fragorosa.

      «Ah!… Il piantatore!… Che bell’incontro!… Come state señor Raffaele?…»

      Il disgraziato piantatore, sentendosi allentare la stretta, aveva fatto due passi indietro, ripetendo con voce strozzata:

      «Sono morto!… Sono morto!…»

      «È dunque una vera mania che avete di credervi sempre morto?» chiese Carmaux che non cessava di ridere. «Eppure mi sembra che scoppiate per troppa salute».

      «Toh!» esclamò in quel momento Wan Stiller, che si era alzato. «Chi vedo?… Il piantatore?… Buona presa, Carmaux!»

      Don Raffaele, muto per il terrore, guardava or l’uno or l’altro, tirandosi i capelli.

      «Ohimè!…» sospirò il piantatore. «Mi impiccherete per vendicare i vostri camerati, che il governatore ha fatto appendere alle forche della Plaza Mayor».

      «Non siete stato voi».

      «Lo so, però il vostro comandante potrebbe crederlo».

      «Bah!… Bah!…» fece Carmaux, che si divertiva immensamente e che faceva sforzi sovrumani per conservarsi serio. «Coraggio, signor mio; ecco là Wan Stiller che porta in trionfo quattro bottiglie, che devono essere state turate ai tempi di papà Noè. Perbacco!… Che fiuto che ha quell’amburghese!… Ha scoperto la cantina di colpo!…»

      Carmaux aveva preso per un braccio

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