La perla sanguinosa. Emilio Salgari

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La perla sanguinosa - Emilio Salgari

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scogliera. La luna, al suo ultimo quarto, s’alzava allora sull’orizzonte specchiandosi in mare ed una fresca brezza soffiava da levante facendo stormire dolcemente le foglie piumate dei cocchi. Alla base della scogliera la risacca rumoreggiava, accartocciando le onde con ritmo monotono e rigettando sulla sabbia le conchiglie.

      Avevano percorso una cinquantina di passi, costeggiando sempre i boschetti, quando il cingalese, che pareva ruminasse da un po’ qualche cosa nel suo cervello, chiese improvvisamente al macchinista:

      «Hai più veduto Palicur?»

      «Il malabaro? – domandò Jody. – No, non l›ho più veduto; mi hanno detto che è ancora all›infermeria e per causa tua.»

      «Cioè sua,» rispose il cingalese.

      «Sia come vuoi, ma vorrei sapere perché mi hai fatto quella domanda,» disse il mulatto, guardandolo sospettosamente.

      «Sai che ho saputo una bella storia sul suo conto?»

      «E quale?»

      «Che egli si trova al bagno per aver ucciso due o tre tiruvamska dell’antico monastero di Annarodgburro.»

      «Che i granchi mi strappino un braccio se io so che cosa tu voglia dire,» rispose il macchinista, alzando le spalle.

      «E ha una fanciulla in quel monastero.»

      «Non so nulla io.»

      «E si dice che egli sia un discendente degli antichi rajah di Calicut.»

      «Tu mi narri delle frottole,» disse Jody.

      «No, è Palicur che ha detto ciò all›europeo, e quando narrò la sua storia io l›ho udito più volte singhiozzare. Mi trovavo nella cella prossima a quella da loro occupata ed ho potuto udire tutto.»

      «E che cosa importa a me quella storia?»

      «È vero, sono uno stupido, – disse il cingalese ridendo. – Non può interessarti, avendo noi tutti una storia. È meglio che ci occupiamo dei granchi. Ne troveremo altri? Il mio non lo cederò al governatore; me lo hai regalato e me lo mangerò.»

      «Nessuno te lo disputa; d›altronde non torneremo con quello solo. Vieni nella macchia dove ho collocato le noci di cocco cotte nel forno. A quest›ora ve ne saranno altri che stanno mangiandole.»

      Si diressero verso il gruppo di piante impugnando la mazza e, giunti sul margine, udirono subito gli scricchiolii prodotti dalle poderose tenaglie dei crostacei sui gusci delle frutta. Cinque o sei granchi erano calati dagli alberi od erano sorti dal mare e si erano gettati avidamente sulle esche. «Addosso, Guercio!» gridò Jody.

      Si precipitarono in mezzo alle piante percuotendo furiosamente i dorsi dei poveri animali, i quali invano cercavano di far fronte a quella grandine, allungando ed agitando minacciosamente le loro branche.

      In meno d’un minuto furono tutti a terra semi-fracassati, colle zampe spezzate, spargendo intorno quell’odore particolare ai granchi ed ai gamberi, che emanava dalle loro ferite.

      «Ne abbiamo abbastanza per questa sera, – disse Jody. – Uno a me, uno tu l’hai già e gli altri al governatore. Imbarchiamoli e torniamo al penitenziario.»

      «Dormirei volentieri su questa scogliera, – disse il cingalese. – Si sta bene qui.»

      «Non compromettermi, Guercio, – rispose il macchinista. – Se io non ti riconducessi si potrebbe credere che io avessi cercato di farti fuggire e la doppia catena non amo portarla per nessuno.»

      «Forse nessuno s›inquieterebbe al penitenziario se io tornassi domani. Hanno fiducia in me.»

      «Ma non ne ho io, – rispose asciutto Jody. – Se tu fuggissi ne andrei di mezzo io. Basta, Guercio, non dire sciocchezze od io vado ad avvertire i guardiani.»

      «Non ce n›è bisogno; torno con te.»

      Trasportarono i granchi nella scialuppa, sciolsero la fune e presero i remi, avviandosi lentamente verso la baia. Un quarto d’ora dopo giungevano dinanzi all’imbarcadero che in quel momento non era vigilato, non essendo ancora stato suonato il copri-fuoco.

      «Prendi il tuo granchio e vattene,» disse Jody.

      «E tu? – chiese il cingalese, guardandolo maliziosamente. – Volevo invitarti a cenare con me; sai che domani dovrò tornare al cantiere e che non ci rivedremo più per qualche settimana.»

      «Ho da portare i granchi al governatore e ricevere gli ordini per domani.»

      «Allora buona notte, Jody, – disse il Guercio, mettendosi sulle spalle il granchio regalatogli e allontanandosi. – Guardati dai cattivi incontri».

      «Quali?»

      Il cingalese rispose con una risata e scomparve sotto gli alberi del viale.

      Il macchinista rimase sulla spiaggia con una mano affondata nella fascia dove celava il coltello, in preda ad una terribile perplessità.

      «Avrei fatto meglio ad ucciderlo, – disse con voce irata. – Quel furfante sa troppe cose ed ho paura che venga a guastare i nostri progetti. Mi ha spiato, ne sono certo, e sa che io da tempo vado accumulando dei viveri entro quel crepaccio. Come ha fatto a saperlo? Che sia uno stregone od un demonio costui?

      «Fortunatamente domani, se tutto va bene, noi saremo lontani di qui e sulla scogliera non rimarrà un solo biscotto, né una briciola di pesce secco. Non perdiamo tempo. Sono già le dieci.»

      Gettò i granchi entro una carriola, lasciandone però uno nella scialuppa, e li portò nella casa del governatore, poi collo stesso rotabile s’avviò verso il piccolo deposito di carbone, mormorando:

      «Cerchiamo d›imbarcarne più che si può! Nella rapidità sta la nostra salvezza. Avanti e coraggio.»

      6. La fuga dei forzati

      Mentre il bravo mulatto preparava la fuga, il quartiermastro della Britannia ed il pescatore di perle si accingevano con grande sangue freddo e coraggio disperato alla terribile impresa, che poteva costare loro la vita, perché non ignoravano che le sentinelle disposte intorno al penitenziario avevano l’ordine di sparare addosso a chiunque lasciava di notte i dormitori e l’infermeria. Per una combinazione fortunata, nessun ammalato era stato condotto in quei giorni nel loro reparto, sicché potevano agire senza testimoni pericolosi.

      Dopo la visita serale fatta dal medico, avevano finto di addormentarsi subito, facendosi abbassare il lucignolo della lampada da Foster, il quale si era ben guardato di lasciare ad altri il primo quarto della mezzanotte, per non perdere la bottiglia promessagli da quella perla di mulatto, da quel bravo giovane dal cuore così largo.

      Rannicchiati sotto le coperte i due forzati attendevano, in preda ad una certa angoscia, lo squillo che annunciava il copri-fuoco e la visita di Jody, il quale doveva recare loro, come la sera innanzi, un paio di bicchieri di ginepro. Il quartiermastro aveva già tratto dal nascondiglio la piccola sega circolare, un vero capolavoro di meccanica, mosso da un sistema di orologeria che doveva far funzionare il disco dentato contro le sbarre di ferro delle finestre; mentre il malabaro, le cui ferite si erano quasi rimarginate, levate due lenzuola da un letto vicino, le aveva rapidamente annodate per potersi calare sul tetto del magazzino senza correre il pericolo di rompersi il collo.

      Un passo piuttosto leggero,

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