La perla sanguinosa. Emilio Salgari
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Читать онлайн книгу La perla sanguinosa - Emilio Salgari страница 7
Due teste si alzarono da due letti, guardarono il nuovo arrivato, poi si abbassarono subito scomparendo sotto le lenzuola.
«Va› a coricarti, – disse il capo, spingendo innanzi Will. – Il medico ripasserà appena avrà terminato il pranzo e la partita di whist col governatore.»
Il quartiermastro si diresse verso un letto, si spogliò e si cacciò sotto le coperte fingendosi completamente esausto, mentre il capo rinchiudeva la porta, ripetendo:
«Sarà qui dopo il whist.»
Era appena uscito che si udì una voce dire con accento un po’ beffardo:
«Eccoci finalmente in compagnia. Cerchiamo ora di guarire presto e tutto andrà a meraviglia. Il cilindro è finito?»
Da un letto si era alzata una testa tutta avvolta in pannilini, che mostrava due gote mostruosamente gonfie, colla pelle assai abbronzata e due occhietti nerissimi, vivaci, intelligenti.
«Non sono bello è vero, signor Will!» disse il malato con una risata.
«No, davvero, mio bravo Jody,» rispose il quartiermastro.
«Ah, signor Will, – disse in quell’istante un’altra voce. – Come mi hanno conciato quei cani idrofobi! Mi pare che mi abbiano fracassato perfino le costole.»
Un’altra testa si era alzata da un letto vicino: quella del malabaro. Il disgraziato indiano era completamente trasfigurato ed il suo viso aveva perduto la sua tinta bronzea per assumere un colore grigiastro, il pallore delle razze colorate.
Dovevano averlo orribilmente conciato e certo il suo dorso doveva essere tutta una piaga, poiché il gatto a nove code, usato ancora nel secolo scorso sui vascelli da guerra della marina inglese e nei penitenziari, non è meno terribile dello knut russo.
Si tratta d’una vera frusta formata da nove strisce di corde guernite di piccole palle di piombo, ognuna delle quali traccia, sul dorso del condannato, un vero solco sanguinoso. Cinquanta colpi bastano per produrre la morte, talvolta anche meno; perciò a quelle barbare esecuzioni si usava far assistere un medico, onde le facesse interrompere se la vita del paziente sembrava in pericolo. Ciò però non graziava il poveretto dai colpi che gli erano stati assegnati: si attendeva che le ferite si fossero ben rimarginate per somministrargli i rimanenti.
«Come stai, mio povero Palicur?» chiese il quartiermastro, commosso dalla figura spettrale del malabaro.
«Non bene di certo, signor Will, – rispose il pescatore di perle, sforzandosi di sorridere. – Non mi hanno graziato nemmeno un colpo. Fortunatamente sono robusto e noi indiani abbiamo la pelle un po’ dura.»
«Per quanto ne avrai?»
«Per otto giorni almeno, signor Will.»
«Ti hanno fasciato bene le piaghe?»
«Sì e le hanno anche disinfettate. Ma come vi trovate voi qui?»
«Ho l›itterizia.»
«Vera?»
«Si, come le gote gonfie di Jody,» rispose il quartiermastro.
Il malabaro, che si era un po’ alzato, guardò l’altro ammalato e, nonostante i dolori acuti che lo tormentavano, scoppiò in una risata.
«Anche il mulatto ammalato! – esclamò. – Chi farà funzionare ora la macchina del battello a vapore?»
«Nessuno per ora, – rispose Jody. – Bisogna che attendano la mia guarigione se vorranno servirsene, non essendovi alcuno che possa surrogarmi. La mia malattia non guarirà se non quando voi sarete in piedi.»
«Come hai fatto, Jody, a gonfiare le gote in quel modo? – chiese Will. – Sei mostruoso.»
«Una cosa da nulla, signor Will. Mi sono graffiato profondamente, con uno spillo, le mucose della bocca e da un forzato compiacente mi sono fatto soffiare dentro con una paglia, finché le gote sono diventate grosse come palloni. Tenete bene in mente questa ricetta; potrebbe esservi utile un giorno per farvi mandare all’ospedale.»
«Non ne avremo più bisogno, spero, – disse il quartiermastro, con voce grave. – Tutto è pronto, vero?»
«Non mi trovereste qui, signor Will, se fosse altrimenti. Vi avevo avvertito che mi sarei dato per ammalato appena terminato il cilindro. L’ho finito ieri sera ed avendo saputo poco fa che vi si voleva far provare il gatto a nove code, mi sono prontamente ammalato per essere qui insieme a voi.»
«Ah! Tu credevi che infliggessero anche a me quell›atroce supplizio?»
«Sì, signor Will, avendovi veduto chiudere nella cella assieme a Palicur. Sono lieto che vi abbiano risparmiato.»
«Dunque?» chiese sotto voce il pescatore di perle, che li aveva ascoltati attentamente, cogli occhi ardenti.
«Non aspetto che voi,» disse Jody.
«Sei riuscito a sottrarre dei viveri?» chiese il quartiermastro.
«Sono tre settimane che nascondo un paio di gallette al giorno e che accumulo noci di cocco.»
«Dove?»
«In una cavità della scogliera.»
«E armi?»
«Ho potuto sottrarre un paio di pistole e duecento cartucce dall›armeria, senza che i guardiani se ne siano accorti. D›altronde nessuno avrebbe sospettato di me.»
«Vi è carbone nella scialuppa?»
«Ne avremo per un paio di giorni, signor Will. Poca cosa davvero, che c’impedirà di andare molto lontano, ma ho preparato un albero e nascosto due coperte che ci serviranno da vela.»
«Armerò io la scialuppa e la faremo egualmente filare,» disse il quartiermastro.
«E dove andremo?» chiese Palicur con una certa inquietudine.
«Per me, purché si vada, non m›importa affatto del luogo, – rispose il mulatto. – L›India o la Birmania fa lo stesso.»
«Non temere, Palicur, – disse il quartiermastro, che s›era accorto della profonda angoscia che torturava il cuore del pescatore. – Noi andremo a Ceylon, prima di tutto, se non verremo catturati in alto mare.»
«Vi sono delle isole sul nostro itinerario ed in caso di pericolo ci getteremo alla costa. Io conosco le Nicobar, signor Will, – rispose il malabaro. – Ciò che deve preoccuparci è il modo di potercene andare.»
«Da queste finestre alla spiaggia non vi sono che duecento passi,» disse Jody.
«E quattro sentinelle, mio caro.»
«La sera che voi prenderete il largo esse saranno ubriache, signore. Voi sapete che sono amico di tutti i guardiani e che nella mia qualità di macchinista addetto alla scialuppa del governatore, godo di favori speciali e di una certa libertà, oltre che di una paga che voi non avete e che mi permette di acquistare qualche bottiglia di gin.»
«Sappiamo che tu sei un uomo fortunato.»
«Sì,