Le due tigri. Emilio Salgari

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Le due tigri - Emilio Salgari

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la figlia.

      I suoi timori, pur troppo, dovevano avere una terribile e dolorosa conferma.

      Conoscendo le astuzie e l’audacia dei Thugs, avevamo prese grandi precauzioni onde non potessero giungere nella stanza della piccina.

      Avevamo fatto mettere delle sbarre di ferro alle sue finestre, corazzare la porta, visitare minutamente le pareti per timore che esistesse qualche passaggio segreto, come ve ne sono tanti negli antichi palazzi indiani.

      Per di piú io dormivo nel corridoio che conduceva alla stanza, assieme alla tigre addomesticata ed a Punthy, il feroce cane nero, animali che come sapete, i Thugs conoscevano.

      Passammo sei mesi fra continue ansie e continue vigilanze, senza però che i Thugs dessero segno di vita.

      Un mattino Tremal-Naik ricevette un dispaccio da Chandernagor firmato da un suo amico, un piccolo rajah spodestato, compromesso nell’ultima insurrezione che aveva trovato sicuro asilo nella piccola colonia francese.

      – Che cosa diceva quel dispaccio?– chiesero ad una voce Yanez e Sandokan, che non perdevano una sola parola del maharatto.

      – Non conteneva che quattro sole parole: «Vieni, urgemi parlarti. Mucdar.»

      Il mio padrone, che si era stretto di profonda amicizia con quell’ex principotto da cui aveva ricevuto non pochi favori quando noi tornammo in India, credendolo minacciato dalle autorità inglesi, partí senza indugio dopo avermi raccomandato di vigilare sulla piccola Darma.

      Durante il giorno nulla accadde che potesse mettermi in sospetto, sul colpo che forse dal lungo meditavano i settari di Kalí, per avere la figlia della loro «ex-Vergine della pagoda».

      Era già giunta la sera, quando ricevetti anch’io un telegramma da Chandernagor e che portava la firma del mio padrone.

      Mi rammento ancora parola per parola ciò che diceva:

      «Parti immediatamente con Darma, la quale corre un grave pericolo da parte dei nostri nemici.»

      Spaventato assai, mi recai alla stazione senza perdere un solo minuto assieme alla piccola Darma e alla sua nutrice.

      Il dispaccio mi era giunto alle 6 e 34, e un treno partiva per Chandernagor e Houghy alle 7 e 28.

      Salii in uno scompartimento che era vuoto, ma alcuni istanti prima che il treno partisse, due bramini salirono pure, sedendosi di fronte a me.

      Erano due personaggi dalle lunghe barbe bianche, dall’aspetto grave ed imponente, che avrebbe rassicurato l’uomo piú sospettoso.

      Partimmo senza che alcun che di straordinario fosse accaduto, quando un’ora dopo, appena oltrepassata la stazione di Sirampur, accadde un fatto semplicissimo in apparenza e che doveva avere invece terribili conseguenze.

      La valigia d’uno dei due bramini era caduta e nell’aprirsi era sfuggito un globo di sottilissimo cristallo che nell’interno conteneva dei fiori.

      Dall’urto fu spezzato e quei fiori si sparsero per lo scompartimento senza che i due bramini si curassero di raccoglierli.

      Vidi però che entrambi avevano subito estratto un fazzoletto, accostandoselo alla bocca e al naso come se il profumo di quei fiori, che era acutissimo, avesse dato loro noia.

      – Ah! – esclamò Sandokan, che s’interessava assai di quello strano racconto. – Continua, Kammamuri.

      – Che cosa successe poi? – disse il maharatto la cui voce era diventata tremante. – Io non ve lo saprei dire.

      Mi ricordo solo d’aver sentito la mia testa diventare a poco a poco pesante… poi piú nulla.

      Quando mi svegliai un profondo silenzio regnava attorno a me ed ero al buio. Il treno non correva piú, in lontananza udii invece un fischio prolungato.

      Balzai in piedi chiamando la nutrice e Darma e nessuno mi rispose. Credetti per un momento di essere diventato pazzo o di essere in preda a uno spaventevole sogno.

      Mi precipitai verso lo sportello: era chiuso.

      Completamente fuori di me, con un pugno sfondai il vetro tagliandomi la mano, aprii lo sportello e mi slanciai fuori.

      Il treno era fermo su un binario morto e non vi erano piú né macchinisti, né frenatori.

      In lontananza vidi però dei fanali che pareva illuminassero una stazione. Mi misi a correre gridando sempre:

      «Darma! Ketty! Aiuto! Le hanno rapite! I Thugs! I Thugs!»

      Venni fermato da alcuni policeman e da alcuni impiegati della stazione. Dapprima mi credettero pazzo tanta era la mia esaltazione e mi ci volle non meno di un’ora per persuaderli che il mio cervello era sano e narrare loro quanto mi era toccato.

      Io mi trovavo non già nella stazione di Chandernagor bensí in quella di Houghy, che è situata a una ventina di miglia piú al nord.

      Nessuno del personale si era accorto della mia presenza, quando il treno fu fermato nel binario morto, sicché ero rimasto nello scompartimento fino al mio risveglio.

      Dal policeman della stazione furono fatte pronte ricerche, che lí per lí non dettero risultato.

      Al mattino partii per Chandernagor per avvertire Tremal-Naik della scomparsa di Darma e della nutrice. Non era piú là e appresi dal suo amico che non aveva spedito al mio padrone alcun telegramma.

      Nemmeno quello da me ricevuto era stato mandato da Tremal-Naik.

      – Quanto sono astuti quei Thugs! – esclamò Yanez. – Chi avrebbe potuto architettare un piano cosí infernale?

      – Prosegui, Kammamuri, – disse Sandokan.

      Il maharatto si asciugò due lagrime, poi riprese con voce rotta:

      – Non riuscirei mai a descrivere il dolore del mio padrone, quando apprese la scomparsa della piccola Darma e della nutrice.

      Fu un vero miracolo se non impazzí.

      La polizia intanto continuava le sue indagini, unitamente a quella francese di Chandernagor, per scoprire i rapitori della bambina e di Ketty.

      Fu cosí constatato che quei due dispacci erano stati spediti da un indiano, che prima di allora non era mai stato veduto dagli impiegati dell’ufficio telegrafico di Chandernagor e che parlava malissimo il francese. Poi che i due bramini che erano saliti con me, eran scesi alla stazione ferroviaria di quella città sorreggendo una donna che pareva fosse stata colpita da un grave malore e portando in braccio una bambina bionda.

      Il giorno seguente la nutrice era stata trovata morta in mezzo a un bosco di banani, con un fazzoletto di seta nera stretto al collo.

      I Thugs l’avevano strangolata!

      – Miserabili! – esclamò Yanez, stringendo i pugni.

      – Ciò però non prova che siano stati i Thugs di Suyodhana a rapire la piccola Darma, – osservò Sandokan. – Possono essere stati dei banditi volgari che…

      – No, signore, – disse il maharatto, interrompendolo. – Sono i Thugs di Suyodhana che hanno fatto il colpo perché una settimana dopo il mio padrone trovò nella

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