Le due tigri. Emilio Salgari

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Le due tigri - Emilio Salgari

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esclamò Sandokan, aggrottando la fronte.

      – E non è tutto, – prosegui Kammamuri. – Un mattino trovammo sulla porta della nostra abitazione un foglietto di carta con sopra dipinto l’emblema dei Thugs, sormontato da due pugnali incrociati fra un S.

      – La firma di Suyodhana? – chiese Yanez.

      – Sí, – rispose il maharatto.

      – La polizia inglese non ha scoperto nulla?

      – Ha proseguite le indagini per qualche settimana ancora, poi lasciò morire la cosa. Sembra che non desideri troppo imbarazzarsi coi Thugs.

      – Non ha fatto ricerche nelle Sunderbunds? – chiese Sandokan.

      – Si è rifiutata, col pretesto che non poteva disporre di uomini per organizzare una spedizione abbastanza forte per assicurare un buon successo.

      – Non ha piú soldati dunque il governo del Bengala? – chiese Sandokan.

      – Il governo anglo-indiano in questo momento è troppo occupato per pensare ai Thugs. L’insurrezione si allarga sempre piú, e minaccia di travolgere tutti i possedimenti inglesi dell’India.

      – Ah! Vi è stata un’insurrezione in India? – chiese Yanez.

      – E diventa di giorno in giorno piú terribile, signore. I reggimenti dei cipayes si sono rivoltati in piú luoghi, a Merut, a Delhi, a Lucknow, a Cawnpore e dopo d’aver fucilato i loro ufficiali accorrono sotto le bandiere di Tantia Topi e della bella e coraggiosa Rani.

      – Ebbene, – disse Sandokan, alzandosi e facendo un giro attorno alla tavola con una certa agitazione, – giacché né la polizia, né il governo del Bengala possono occuparsi dei Thugs in questo momento, ci penseremo noi, è vero, Yanez?

      Abbiamo cinquanta uomini, cinquanta pirati, scelti fra i piú valorosi di Mompracem, che non temono né i Thugs, né Kalí, armi di buona portata, una nave che può sfidare anche le cannoniere inglesi e dei milioni da gettar via.

      Con tuttociò si può sfidare la potenza dei Thugs e dare a quel mostro di Suyodhana un colpo mortale.

      La Tigre dell’India alle prese con la Tigre della Malesia! Ci sarà da divertirsi.

      Vuotò il bicchiere colmo di quel delizioso liquore, stette un momento immobile cogli occhi fissi sul fondo della tazza, poi, girando bruscamente su se stesso e guardando il maharatto, chiese:

      – Tremal-Naik crede che i Thugs siano tornati nei loro misteriosi sotterranei di Rajmangal?

      – Ne ha la convinzione, – rispose Kammamuri.

      – Dunque la piccola Darma deve essere stata condotta là?

      – Certo, signor Sandokan.

      – Tu conosci Rajmangal?

      – E anche i sotterranei. Vi dissi già che rimasi per sei mesi prigioniero dei Thugs.

      – Sí, me ne ricordo. Sono vasti quei sotterranei?

      – Immensi, signore, e si estendono sotto tutta l’isola.

      – Sotto mi hai detto! Ecco una bella occasione per affogare là dentro tutte quelle canaglie.

      – E la piccola Darma?

      – Li affogheremo piú tardi, quando saremo riusciti a strappare a loro la piccola, mio bravo Kammamuri.

      – Da quale parte si discende in quei sotterranei?.

      – Da un foro aperto nel tronco principale d’un immenso banian.

      – Ebbene, andremo a visitare le Sunderbunds, – disse Sandokan. – Mio caro Suyodhana, avrai ben presto notizie di Tremal-Naik e della Tigre della Malesia.

      In quel momento si udirono un fragor di catene e un tonfo, poi dei comandi, quindi si sentí una scossa piuttosto brusca.

      – Hanno gettato le ancore, – disse Yanez, alzandosi. – Saliamo, Sandokan.

      Vuotarono le tazze e rimontarono sulla tolda.

      La notte era scesa già da un paio d’ore, avvolgendo le pagode della città nera e i campanili, le cupole ed i grandiosi palazzi della città bianca, ma miriadi di fanali e di lumi scintillavano lungo le ampie gettate, nello Strand e nei superbi squares che sono annoverati tra i piú belli del mondo.

      Sul fiume, che in quel luogo era largo piú d’un chilometro, un numero infinito di navi a vapore ed a vela, provenienti da tutte le parti del mondo, ondulavano sulle loro ancore, coi fanali regolamentari accesi.

      La Marianna si era ancorata verso gli ultimi bastioni del forte William, la cui massa imponente giganteggiava fra le tenebre.

      Sandokan si assicurò se le ancore avevano preso buon fondo, fece abbassare le immense vele che sfioravano le grab vicine poi ordinò di calare la bandiera.

      – È quasi mezzanotte, – disse a Kammamuri. – Possiamo recarci dal tuo padrone?

      – Sí, ma vi consiglierei di indossare un costume meno vistoso per non allarmare le spie dei Thugs. Io ed il mio padrone abbiamo la certezza di essere sorvegliati dai banditi di Suyodhana.

      – Ci vestiremo da indiani, – rispose Sandokan.

      – E meglio ancora da sudra – disse Kammamuri.

      – Che cosa sono questi?

      – Servi, signore.

      – L’idea è buona. Le vesti non mancano a bordo; vieni ad acconciarci in modo da poter ingannare le spie e cominciamo la nostra campagna.

      – Se la Tigre dell’India è furba, quella della Malesia non lo sarà meno. Vieni, Yanez.

      Capitolo III. TREMAL-NAIK

      Mezz’ora dopo la baleniera della Marianna scendeva il fiume, montata da Sandokan, Yanez, Kammamuri e da sei robusti malesi dell’equipaggio.

      I due comandanti del praho si erano camuffati da servi indiani, annodandosi intorno ai fianchi un largo pezzo di tela, il dootée, e coprendosi le spalle con una specie di mantello di tela grossolana, di color marrone, il dubgah.

      Entro la fascia però avevano nascoste un paio di pistole dalla canna lunga e il kriss malese, quel terribile pugnale a lama serpeggiante lungo piú d’un piede, che produce delle ferite orribili che di rado guariscono perfettamente.

      La città era ormai immersa nelle tenebre, essendo stati spenti tutti i fanali delle gettate e degli squares; solamente i fanali delle navi rispecchiavano le loro luci bianche, verdi e rosse nelle oscure acque del fiume.

      La baleniera filò fra i velieri, le grab, i pariah, le pinasse ed i piroscafi che ingombravano le due rive, poi si diresse verso i bastioni meridionali del forte William, approdando dinanzi alla spianata che in quel momento era buia e deserta.

      – Ci siamo, – disse Kammamuri. – La via Durumtolah è a pochi passi.

      – Abita un bengalow? – chiese Yanez.

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