Le due tigri. Emilio Salgari

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Le due tigri - Emilio Salgari

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disse Sandokan.

      Scese a terra, poi volgendosi verso i malesi, disse:

      – Voi rimarrete qui ad aspettarci.

      – Sí capitano, – rispose il timoniere, che aveva guidata la baleniera.

      Kammamuri si era messo in marcia inoltrandosi attraverso la vasta spianata. Sandokan e Yanez lo avevano seguito tenendo una mano sotto il dubgah per essere piú pronti a estrarre le armi nel caso che fosse stato bisogno di servirsene.

      La spianata però era deserta o almeno appariva tale, poiché in quell’oscurità non era facile poter distinguere un uomo.

      Dopo pochi minuti imboccarono la via Durumtolah, fermandosi dinanzi ad un vecchio palazzo di stile indiano, di forma quadrata, sormontato da tre piccole cupole e da terrazze.

      Kammamuri trasse una chiave e la introdusse nella toppa. Stava per aprire la porta, quando Sandokan, la cui vista era piú acuta di quella dei compagni, scorse un’ombra umana staccarsi da una delle colonne che reggevano una piccola veranda e allontanarsi rapidamente, scomparendo fra le tenebre.

      Per un momento ebbe l’idea di precipitarsi sulle tracce del fuggitivo; però si trattenne temendo di cadere in qualche agguato.

      – L’avete scorto quell’uomo? – chiese a Kammamuri e a Yanez.

      – Chi? – domandarono a una voce il portoghese e il maharatto.

      – Un uomo che si teneva celato dietro a una di quelle colonne. Avevi ragione Kammamuri di sospettare che i Thugs sorveglino la casa. Ne abbiamo avuto or ora la prova. Poco importa; quello spione non ha potuto vederci in viso con questa oscurità, e poi non mi conosce. Cercheremo però di sorprenderlo.

      Kammamuri aprí la porta che poi richiuse senza far rumore e salita una scala di marmo che era ancora illuminata da una specie di lanterna cinese, introdusse i due comandanti del praho in una saletta ammobiliata semplicemente all’inglese, con sedia e tavola di bambú artisticamente lavorate.

      Un globo di cristallo azzurro, sospeso al soffitto, proiettava una luce dolcissima, facendo scintillare le pietre lucidissime del pavimento, graziosamente intarsiate in nero, in rosso ed in giallo.

      Erano appena entrati, quando una porta s’apri e un uomo si precipitò fra le braccia di Sandokan prima, poi fra quelle di Yanez, esclamando:

      – Miei amici! Miei valorosi amici! Quanto vi ringrazio di essere venuti. Voi mi renderete la mia Darma, è vero?

      L’uomo che cosí parlava era un bellissimo tipo d’indiano bengalino, di trentacinque o trentasei anni, dalla taglia elegante e flessuosa senz’essere magra, dai lineamenti fini ed energici colla pelle lievemente abbronzata e lucentissima e gli occhi nerissimi e pieni di fuoco.

      Vestiva come i ricchi indiani modernizzati della Young-India, i quali hanno ormai lasciato il dootée e il dubgah pel costume anglo-indiano, piú semplice, ma anche piú comodo: giacca di tela con alamari di seta, fascia, ricamata e altissima, calzoni stretti, pure bianchi e turbantino ricamato.

      Sandokan e Yanez avevano contraccambiato l’abbraccio dell’indiano, poi il primo gli aveva risposto con voce affettuosa:

      – Calmati, Tremal-Naik, se noi abbiamo lasciata la nostra selvaggia Mompracem e siamo qui, vuol dire che siamo pronti a impegnare la lotta contro Suyodhana e tutti i suoi sanguinari banditi.

      – La mia Darma! – gridò l’indiano con un singhiozzo straziante, mentre si comprimeva gli occhi come per impedire alle lacrime di sgorgare.

      – La ritroveremo, – disse Sandokan. – Tu sai che cosa è stata capace di fare la Tigre della Malesia, quando tu eri prigioniero di James Brooke, il rajah di Sarawak.

      Se io ho detronizzato quell’uomo che si chiamava lo sterminatore dei pirati e che con una sola parola faceva tremare tutti i sultani e i rajah del Borneo, saprò vincere anche Suyodhana e costringerlo a renderti la figlia.

      – Sí, – disse Tremal-Naik, – tu e Yanez soli potreste misurarvi contro quei settari maledetti, contro quei sanguinari adoratori di Kalí e vincerli. Ah! Se dovessi perdere anche la figlia, dopo d’aver perduto la mia Ada, la sola donna che io abbia amata al mondo, sento che non sopravviverei e che impazzirei.

      Aver tanto lottato e sofferto per strappare a quei mostri la donna che doveva diventare un giorno mia moglie e veder ora nelle loro mani mia figlia. È troppo! Sento che il mio cuore scoppia.

      – Tranquillizzati, Tremal-Naik, – disse Yanez, che era vivamente commosso pel profondo dolore dell’indiano. – Non si tratta ora di piangere, bensí d’agire e di mettersi in campagna senza perdere tempo.

      Udiamo, mio povero amico: sei tu convinto che i Thugs si siano nuovamente riuniti nei sotterranei di Rajmangal?

      – Ne ho la certezza, – rispose l’indiano.

      – E che Suyodhana sia là?

      – Si dice che sia tornato fra di loro.

      – Dunque la piccola Darma sarà stata portata a Rajmangal? – disse Sandokan.

      – Non ne ho la certezza.

      Essa però deve aver rimpiazzato il posto che occupava un giorno sua madre, mia moglie.

      – Può correre qualche pericolo?

      – Nessuno: la «Vergine della pagoda» incarna sulla terra la mostruosa Kalí e la si adora e la si teme come una divinità autentica.

      – Dunque nessuno ardirebbe farle alcun male.

      – Nemmeno Suyodhana, – rispose Tremal-Naik.

      – Quanti anni ha la tua Darma?

      – Quattro anni.

      – Che strana idea di fare d’una bambina una divinità! – esclamò Yanez.

      – Era la figlia della «Vergine della pagoda» che per sette anni rappresentò Kalí nei sotterranei di Rajmangal, – disse Tremal-Naik, con un singhiozzo soffocato.

      – Fratellino mio, – disse Yanez, volgendosi verso Sandokan, – Tu mi hai parlato d’un progetto.

      – E l’ho anche maturato, – rispose la Tigre della Malesia. – Solamente vorrei, prima di metterlo in esecuzione, avere la certezza che i Thugs si trovino realmente nei sotterranei di Rajmangal. Ciò è necessario.

      – Come fare dunque?

      – Bisogna impadronirci di qualche thug e costringerlo a confessare. Suppongo che a Calcutta ve ne saranno.

      – E non pochi, – disse Tremal-Naik.

      – Cercheremo di scovarne qualcuno.

      – E poi? – chiese Yanez.

      – Se si sono nuovamente radunati a Rajmangal, andremo a fare una partita di caccia fra quelle jungle. Kammamuri mi ha detto che fra quei pantani le tigri abbondano.

      Andremo quindi a ucciderne alcune: prima quelle a quattro zampe, piú tardi quelle a due e senza coda.

      Cosí

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